Repubblica commenta l'analisi di Realfonzo sul mercato del lavoro italiano e il Jobs Act

Contratti e protezione dei lavoratori: Italia meno rigida della Germania

L'analisi di Realfonzo: secondo i dati Ocse i contratti a tempo indeterminato italiani proteggono i lavoratori meno di quanto accada in Germania o Francia. Anche guardando alla sola voce del reintegro, centrale nella disputa sull'articolo 18, il mercato tedesco è più rigido.

"Mission impossible" al Comune di Napoli

Mission impossible al Comune di Napoli
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 21 ottobre 2014*

Che si voti già il prossimo anno o si giunga alla scadenza naturale del sindaco sospeso, certo è che il futuro sindaco di Napoli si troverà a gestire una situazione economica da brivido. Una eredità peggiore di quella che de Magistris raccolse da Rosa Iervolino.
Tutti sanno, infatti, che il dissesto del Comune è stato evitato grazie a due norme. Da un lato, il decreto salva-Comuni, venuto in soccorso dei Comuni in predissesto mettendo a loro disposizione - in presenza di un piano di risanamento credibile - somme consistenti da restituire in un decennio. Le difficoltà del piano predisposto a Napoli nell’ottenere il via libera sono state enormi, dal momento che la sezione regionale della Corte dei Conti era risoluta a dichiarare il dissesto del Comune, dato il buco di bilancio da un miliardo di euro e nessuna promessa credibile di risanamento. Ma poi, in un modo o nell’altro, il via libera è arrivato e oggi il piano di risanamento descrive una road map impercorribile, a meno di riforme radicali. Dall’altro lato, il Comune approfittava del pacchetto di decreti sui debiti della pubblica amministrazione che concedeva ulteriori importanti crediti, dando ossigeno alle società partecipate e allentando temporaneamente la morsa dei creditori. Questi salvataggi hanno messo però sul groppone del Comune oltre un miliardo e mezzo da rimborsare allo Stato, a suon di tasse locali, nei prossimi 30 anni.
Ma i problemi non finiscono qui e altre due norme vengono a turbare il futuro del sindaco che verrà. La riforma dei bilanci locali e la Legge di Stabilità del governo Renzi tentano, infatti, di dare una risposta a due questioni ulteriori: da un lato, le difficoltà croniche di alcuni Comuni italiani nel riscuotere tasse e tariffe, per cui nell’insieme delle loro casse mancano circa 45 miliardi (il 3% del pil del Paese); dall’altro, i vincoli asfissianti del Patto di Stabilità, che in alcuni casi impediscono ai Comuni di effettuare investimenti anche in presenza di risorse. Alla luce di tutto ciò, la riforma dei bilanci locali prevede che i Comuni dovranno creare un “fondo” a garanzia delle somme che non riescono a riscuotere e che varrà, per l’insieme dei Comuni, non meno di due miliardi e mezzo. In cambio di ciò, la manovra del governo allenterà gli obiettivi del Patto di Stabilità, ma solo a vantaggio dei Comuni virtuosi, che riescono a riscuotere tasse e tariffe. Tutto ciò peggiorerà ancora la situazione del Comune di Napoli, che riesce a incassare solo il 50% delle somme messe a bilancio e che registra persino peggioramenti delle percentuali di riscossione.
Insomma, col piano di risanamento che non funziona, un debito di oltre un miliardo e mezzo, una totale inadeguatezza della macchina comunale e con riforme che scaricano sui Comuni inefficienti gli oneri del Patto di Stabilità, c’è da credere che il futuro sindaco di Napoli avrà da svolgere una mission (quasi) impossible.

*Pubblicato con il titolo "Le tasse non riscosse che affondano il Comune"

Referendum "Stop austerità": obiettivo sfiorato, raccolte 400mila firme. La battaglia continua


Alla scadenza dei 90 giorni previsti dalla legge e dopo una estate passata ai banchetti, l'obiettivo delle 500mila firme non è stato raggiunto. Ce ne sono 400mila per il quesito di maggiore successo, oltre un milione e mezzo in totale. Insomma, non ce l'abbiamo fatta, ma siamo fieri di averci provato: unici a porre concretamente il tema della necessità di una politica economica diversa, espansiva e orientata alla piena occupazione, in un Paese che resta fermo nel tunnel della crisi.
Ma la mia battaglia contro l'austerità, cominciata già con la "Lettera degli economisti" del 2010, non finisce qui.

La battaglia contro l'austerità continua. Il comunicato stampa del Comitato promotore del referendum "Stop austerità":
7 ottobre 2014

Sedici europeisti, seppure con orientamenti politici e culturali diversi tra di loro, uniti nella critica all’attuale politica economica prevalente nel continente, dopo le elezioni europee hanno deciso di promuovere un referendum, “Stop Austerità”, per modificare la legge 243/2012, recante disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione. È così che è cominciata la nostra battaglia all’ottusa austerità, con due idee forti di fondo a guidarci.
La prima è che non eravamo convinti che la ripresa europea fosse iniziata né che gli effetti depressivi dell’austerità fossero finiti. Avevamo ragione, come ha dimostrato il crescente drammatico andamento della disoccupazione e l’avvio della deflazione in Italia e in Europa.
La seconda era la convinzione della necessità di trovare un modo per far pronunciare il popolo italiano, facendogli esprimere il suo giudizio su quelle politiche di austerità approvate in Parlamento la vigilia di Natale del 2012, in tutta fretta e di nascosto. Il rischio era quello che l’attuale crisi economica si legasse sempre più ad una crisi sociale ed entrambe ad una vera e propria crisi della democrazia.  Un rischio sempre più reale col passare del tempo.
Nel mese di luglio è partita la raccolta delle firme nel silenzio dei mezzi di comunicazione. Da settembre siamo riusciti ad attirare sul referendum l’attenzione crescente dell’opinione pubblica, anche a fronte del peggiorare persistente delle condizioni economiche in cui versano il Paese e l’Europa.
Il quesito su cui abbiamo raccolto più firme (quello che intende abrogare la corrispondenza dell’equilibrio di bilancio con l’obiettivo a medio termine concordato in sede europea) ne conta circa 400.000.  I quattro quesiti hanno raccolto, nel loro complesso, poco più di 1.500.000 firme. Il nostro ringraziamento va a tutti i cittadini che si sono impegnati con la loro firma ed il loro lavoro affinché l’iniziativa avesse successo.
E’ un risultato importante che ci porta a non desistere e a rilanciare, per sostenere una linea di politica economica alternativa per l’Europa e l’Italia. Una politica economica espansiva, necessaria per i paesi europei ma anche per il mondo intero. Molti sondaggi ci confortano: la propensione di disponibilità a votare i nostri referendum è fra le più alte, negli ultimi vent’anni, tra tutti i referendum abrogativi testati (ed è significativamente più alta della partecipazione alle ultime elezioni europee).
L’attuale volontà di non rispettare appieno i dettami del Fiscal Compact, specie in Francia ed in Italia, mentre conferma la giustezza ed il tempismo della nostra iniziativa, non deve illudere: rimane nei programmi pluriennali inviati alla Commissione europea da parte di questi Governi l’ottuso annuncio di rientri a tappe forzate, nei prossimi anni, a forza di maggiori tasse e minori investimenti pubblici. Non è possibile che la domanda interna di consumi e investimenti privati ritrovi slancio all’interno di annunci così ambigui e poco rassicuranti. La sola soluzione efficace rimane quella della sospensione senza se e senza ma della costruzione del Fiscal Compact.
Per tutti questi motivi non possiamo che rilanciare la battaglia contro l’austerità, anche con l’appoggio alla raccolta di firme a sostegno della legge di iniziativa popolare per riscrivere l'articolo 81 della Costituzione, ad iniziative analoghe di modifica che dovessero essere promosse in questa direzione in sede parlamentare nazionale ed europea per rivedere radicalmente il Fiscal compact. Il Comitato promotore proseguirà inoltre nei prossimi mesi la sua azione contro l’austerità con una serie di iniziative politiche su tutto il territorio, fra le quali eventualmente anche la raccolta di firme. Per continuare a chiedere uno STOP ALL’AUSTERITA’. La battaglia per un’Europa capace di innovare e crescere nella solidarietà reciproca non si ferma.

Le politiche della BCE e il cavallo di Keynes

Le politiche della BCE e il cavallo di Keynes
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 2 ottobre 2014

La BCE si riunisce a Napoli e tocca con mano i limiti delle misure che essa ha varato per rimettere in moto la crescita. Napoli è, infatti, una delle capitali di quelle periferie d’Europa - al pari di Atene o Lisbona - che perdono sempre più contatto dalle aree centrali del Continente. Da queste parti, l’azzeramento del costo del denaro e le operazioni straordinarie di rifinanziamento a favore delle banche commerciali non hanno minimante arrestato la decrescita.
C’è un problema di fondo nelle politiche della BCE e ha radici antiche. Dopo l’iperinflazione della Repubblica di Weimar, quando in Germania si stampavano banconote del valore di migliaia di miliardi, i tedeschi si dotarono di una Banca Centrale - la Bundesbank - indipendente dal potere politico, indisponibile ad assecondare i governi e finanziare la spesa pubblica, attenta esclusivamente alla stabilità dei prezzi. La storia italiana è diversa, anche se una “svolta tedesca” si ebbe nel 1981, quando la Banca d’Italia “divorziò” dal Tesoro e si stabilì il principio che essa non fosse più tenuta ad acquistare titoli del debito pubblico. Anche per questo, fu pacifico accettare che l’Unione Monetaria si dotasse di una BCE simile alla Bundesbank: una banca “conservatrice” - nel gergo degli economisti - che non finanzia la spesa pubblica e che ha nel controllo dei prezzi il suo obiettivo statutario.
Eppure lord Keynes aveva spiegato che una banca così concepita espone l’economia a un grave rischio. Finché il circuito economico non conosce intoppi, infatti, questo modello di banchiere centrale può funzionare. Ma quando scoppia la crisi sono guai. In questo caso, la banca centrale può anche impegnarsi ad abbassare il costo del credito e aprire i cordoni della borsa; tuttavia, come ricordava il buon Keynes, si può portare l’acqua al cavallo, ma non si può costringerlo a bere.  Fuor di metafora: perché gli imprenditori dovrebbero indebitarsi, sia pure a tassi bassissimi, se non c’è chi compra le loro merci? La politica monetaria, nel suo splendido isolamento, è largamente inefficace nel rimettere in moto l’economia e nel frenare la deflazione. Siccome poi è unica per tutti, e la sua azione è guidata da valori medi, può ancora meno per le periferie.
Gli americani hanno appreso la lezione keynesiana e si sono ben guardati dal dotarsi di una banca “conservatrice”. Dopo la crisi, Obama ha messo in campo il Recovery Act: oltre 800 miliardi di dollari finanziati per lo più con biglietti appena stampati dalla Banca Centrale e indirizzati verso politiche industriali mirate, la costruzione di grandi infrastrutture, il sostegno al reddito dei disoccupati. Insomma, la banca centrale che finanzia la spesa pubblica, politiche fiscali e monetarie coordinate, con la crisi che già è uno sbiadito ricordo. L’alternativa, è la recessione che viviamo in Europa.

Realfonzo sulla inefficacia della politica monetaria ripreso dal Washington Post

“If there’s a periphery of the euro zone’s periphery, that’s Naples”, said economist Riccardo Realfonzo, a former councilman of the Southern Italian city. “The gap between the debate at the Royal Palace in Capodimonte and everyday life can’t be filled with just monetary policy.”
The miracle would be if European governments finally agreed on expansive fiscal measures,” said economist Realfonzo. “Naples is the best proof of how even accommodative monetary policy is set to fail if not coupled with expansive fiscal policies.”