Il dissesto si può evitare solo con una nuova norma e con riforme radicali

Il dissesto si può evitare solo con una nuova norma e con riforme radicali

di Riccardo Realfonzo

Corriere del Mezzogiorno, 12 ottobre 2021


Chiusa la fallimentare stagione de Magistris, oggi Napoli ha un nuovo autorevole sindaco, sorretto da una compagine politica ampia, e spera di riprendere il sentiero dello sviluppo. Tuttavia, la nascente amministrazione trova la strada sbarrata dal macigno del collasso economico-finanziario in cui versa il Comune con le sue società che erogano i servizi pubblici. La storia recente è nota. Nel 2011 de Magistris ereditò una condizione di bilancio difficile rispetto alla quale, come suo assessore al ramo, prospettai un insieme organico di riforme. L’anno successivo, disposta una ricognizione straordinaria per fare piena luce sui conti, dovetti lasciare l’incarico in quanto non mi fu permesso di attuare quelle riforme. Al termine di quell’anno il buco di bilancio fu stimato in 850 milioni. Seguì l’adesione del Comune alla disciplina del predissesto  che permise di ottenere cospicue risorse a fronte della predisposizione di un piano di rientro dal debito che, però, apparve subito risibile perché ignorava i problemi o provava a fronteggiarli con misure inadeguate. Non a caso, la Corte dei Conti della Campania chiese lo stato di dissesto. Dopo di allora, complici soccorsi normativi mal costruiti, lo stato comatoso del Comune si è acuito sempre più, con spreco di risorse pubbliche, crescita della pressione fiscale locale, azzeramento dei servizi pubblici. Oggi il buco di bilancio è lievitato a ben 2,5 miliardi, in barba agli aiuti e al fantomatico piano di rientro dal debito.

Ebbene, se questi sono i fatti, quale può essere la strategia della Giunta Manfredi per risanare i conti e rilanciare l’azione amministrativa?

Il primo nodo concerne la dichiarazione o meno dello stato di dissesto. Stando alla normativa vigente, ben difficilmente il dissesto potrebbe essere evitato. D’altra parte, per quanto il dissesto porti con sé conseguenze anche negative, come il blocco delle assunzioni di personale qualificato di cui vi è grande necessità, esso permette di tirare una linea tra presente e passato, lasciando a un commissario la gestione del debito pregresso e consentendo di impostare una nuova politica per il futuro. Tuttavia, il Patto per Napoli, siglato nel maggio scorso dalle forze politiche che sostengono Manfredi, fa sperare in un altro percorso possibile. L’obiettivo ambizioso verso cui si dovrebbe provare a sospingere rapidamente il governo Draghi è un intervento legislativo che modifichi il testo unico e la finanza degli enti locali. Una operazione, questa, che non riguarderebbe solo Napoli e che sarebbe nell’interesse del Paese. Occorrerebbe cancellare l’istituto del predissesto, che si è tradotto in uno sperpero di risorse e in un inutile prolungamento delle agonie amministrative locali, e viceversa confermare l’istituto del dissesto, disponendo un rafforzamento del potere di controllo della Corte dei Conti e poteri sostitutivi in capo al MEF. Ancora, occorrerebbe disporre misure di finanziamento straordinario a favore delle nuove amministrazioni dei Comuni in dissesto e insistere sulla strada aperta dal decreto legge 104 del 2020 (modificato dalla legge di bilancio per il 2021) che prende atto del sottofinanziamento strutturale di molti Comuni, in presenza di specifiche condizioni di vulnerabilità sociale e ridotto pil pro capite. Una gestione commissariale del debito pregresso, in presenza di questa nuova normativa, potrebbe attribuire alla nuova Giunta napoletana gli adeguati spazi di azione.

In ogni caso, l’eventuale nuova normativa non deve tradursi in un colpo di spugna ed è essenziale che la Giunta si attrezzi per fare piena chiarezza sulle ragioni della spaventosa bancarotta che abbiamo davanti. Questa è infatti il prodotto di una azione politica dissennata ma anche della inadeguatezza di alcuni nodi dirigenziali, di gravi problemi organizzativi e di controllo della spesa, se non di sacche grigie, che possono essere presenti nel Comune e nelle partecipate. Una operazione verità sui conti è una necessità democratica e, al contempo, uno strumento per fare luce sulle tante falle del sistema gestionale-amministrativo.

Queste considerazioni ci conducono all’ultimo cruciale aspetto. La dichiarazione di dissesto o una più auspicabile riforma della normativa, così come il far luce sul passato, non sono che i presupposti per rimettere in moto la macchina comunale. Lo strumento decisivo resta quello delle riforme, per le quali bisognerebbe prendere avvio dal pacchetto di misure elaborato nel 2011. La macchina comunale va drasticamente riorganizzata, valorizzando i dirigenti capaci, attivando realmente il ciclo della performance, ricorrendo a un programma di assunzioni di tecnici che forniscano linfa vitale a uffici morenti. Occorre intervenire con decisione sul controllo della spesa, facendo rivivere il sistema di monitoraggio a suo tempo varato per l’operato dei dirigenti e il contrasto dei debiti fuori bilancio (oltre 34milioni nel solo 2020). Occorre ridefinire la gestione degli immobili comunali, per il quale la società Napoli Servizi si è confermata inadeguata, ponendo fine allo sfruttamento ultradecennali dello straordinario patrimonio del Comune che, incredibile a dirsi, rappresenta una voce passiva di bilancio. Occorre imporre la legalità in tutto ciò che concerne l’occupazione del suolo pubblico, la gestione delle affissioni, il sistema delle riscossioni, anche riesumando la task force antievasione e il sistema di collaborazioni istituzionali (ad esempio con la guardia di finanza). Inutile dire che sul fronte delle riscossioni il Comune continua a mostrare risultati inaccettabili. Dal consuntivo 2020 emergono percentuali di incasso effettivo del 25% per ciò che riguarda fitti, multe, lotta all’evasione; con il risultato che, solo nel 2020, le mancate riscossioni ammontano a 1,4 miliardi, facendo salire il valore complessivo dei crediti non incassati (residui attivi) allo stratosferico importo di 4,5 miliardi. Inoltre, va attivato un vero controllo analogo sulle società partecipate, nelle quali, al riparo dei riflettori, anche in questi anni c’è da credere che siano continuati sprechi e clientele.

Un lavoro complesso e articolato attende la nuova giunta, che dovrà essere immediatamente operativa, anche per verificare il bilancio di previsione 2021, da poco approvato, che rischia di avere lo stesso valore della carta straccia. Tra l’altro, stando ai calcoli della precedente amministrazione, quel previsionale dovrebbe portare il Comune a riassorbire il buco di bilancio per 381 milioni nell’anno in corso. Una impresa che non verrà certo realizzata, basti solo considerare che l’amministrazione uscente confidava ancora sul fantomatico piano di dismissione degli immobili che dovrebbe assicurare nel 2021 incassi per 55 milioni (contro i soli 7 milioni del 2019). Un bilancio di previsione da rivedere subito, come sembra dirci persino il ragioniere generale quando scrive, nel suo parere obbligatorio, che il bilancio è “particolarmente esposto al rischio di squilibri finanziari a causa delle oggettive difficoltà  di continuare nelle principali misure finalizzate al recupero del disavanzo”.

Insomma, il compito della nuova giunta è titanico. E questo principalmente perché, a ben vedere, il buco di bilancio a Napoli non è solo il prodotto dell’inadeguatezza amministrativa o della malapolitica: dietro ogni singolo spreco e inefficienza si nascondono interessi particolari, grandi e minuti, che tendono pervicacemente a resistere al cambiamento. 


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