A Napoli la politica occupa le partecipate

Le nomine nelle società del Comune
A Napoli la politica occupa le partecipate
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 1 maggio 2014

Nel bocciare il piano di risanamento proposto dal Comune di Napoli, la Corte dei Conti della Campania ha sottolineato che il maggiore bubbone delle finanze partenopee sta nelle società partecipate del Comune. Società che dovrebbero gestire i servizi pubblici locali e che vengono ripetutamente utilizzate come carrozzoni clientelari: il principale canale attraverso il quale a Napoli la spesa pubblica viene piegata a strumento di potere e consenso.
Quando nel 2009 mi dimisi dall’incarico di assessore al bilancio della giunta Iervolino, principalmente per non avere potuto imprimere una svolta nella gestione delle società comunali, raccontai in un libro un illuminante episodio. Si doveva nominare il membro di un Cda e il curriculum che mi fu sottoposto narrava, tra gli elementi ritenuti più significativi, le virtù di ballo e canto del candidato, oltre agli occhi verdi e ai capelli castani. La mia meraviglia fu grande, anche perché, mio malgrado, il signore in questione ottenne la nomina. Mai avrei potuto immaginare che - dopo qualche anno e tante promesse di cambiamento - svolgendo il medesimo incarico con de Magistris avrei visto in qualche caso avanzare candidature di amministratori senza neppure il fastidio di allegare un curriculum.
Nel dibattito partenopeo sulle società comunali ci si divide tra sostenitori del “socialismo municipale” e fautori delle privatizzazioni. Con i primi che si aggrappano spesso a dogmi privi di sostanza e i secondi che dimenticano l’unica becera esperienza di società mista pubblico-privata realizzata a Napoli (la Elpis, più nota per le cronache giudiziarie che altro). La realtà è che, dalle nostre parti, la vera rivoluzione sarebbe avere società pubbliche gestite con criteri e metodi aziendali, tali da contemperare efficienza ed equità.
La Corte dei Conti, dunque, richiama l’attenzione su quella che Enrico Berlinguer definiva “occupazione” delle istituzioni da parte della politica. Con la differenza che oggi a Napoli l’occupazione delle istituzioni e degli enti pubblici è appannaggio di singole micro-correnti, quando non di capipopolo e lobby. Eppure è bastato che a capo della Napoli Servizi - uno dei carrozzoni creati dal Comune negli anni ‘90 - capitasse, nei primi giorni di de Magistris sindaco, un manager indipendente per portarla a livelli di produttività inimmaginabili qualche anno prima. Quel manager è stato naturalmente silurato dal sindaco, ma anche quella esperienza dimostra che la speranza di un pubblico che funzioni - e che sa anche fare passi indietro a vantaggio del privato, se necessario - non è del tutto astratta.
Un altro fatto istruttivo è relativo alla proposta di regolamento per le nomine nelle società partecipate avanzata dai consiglieri di Ricostruzione Democratica. Il gruppo propone semplicemente che per procedere a nomine in enti e aziende, come accade in quasi tutti i grandi comuni italiani, l’amministrazione effettui una comparazione tra curriculum raccolti mediante un avviso pubblico. È bastato avanzare questa proposta per gettare nel panico sindaco, giunta e consiglio, scatenando attacchi sgangherati di ogni sorta contro i proponenti. Il punto è che sarebbe sufficiente introdurre una norma simile per rendere difficili operazioni come mettere a capo della neonata holding dei trasporti – una società per la quale si ambirebbe a trovare un partner privato – un fedelissimo del sindaco, che fino al giorno precedente faceva parte del suo staff e prima ancora lavorava con Pecoraro Scanio.
Qualcuno a Napoli voleva “scassare”. Come a dire, cambiare tutto per non cambiare niente.