Napoli, il Robin Hood urbano

Napoli, il Robin Hood urbano
Intervista a Riccardo Realfonzo
di Francesca Pilla
il manifesto, 17 dicembre 2010

È stato assessore al bilancio del Comune di Napoli dal gennaio al dicembre del 2009 e non si è di certo conquistato la simpatia della giunta Iervolino e del sistema di potere costituito in vent’anni di bassolinismo. Riccardo Realfonzo, economista, ordinario nell’Università del Sannio, è arrivato a Palazzo San Giacomo in un momento delicatissimo, dopo lo scandalo del Global service stradale che vide coinvolto l’imprenditore Romeo e ben 4 assessori, e il suicidio di un altro, Giorgio Nugnes. Realfonzo poteva rappresentare la svolta dopo gli scandali, ma la sua permanenza in giunta ha creato resistenze e ostruzionismo, tanto che dopo le sue dimissioni la Iervolino affermò che il professore “voleva fare il Robin Hood”. “Quello è stato un autogol del sindaco – spiega l’ex assessore – perché paragonarmi a un grande eroe della letteratura è quasi una ammissione di colpa”. E così Realfonzo su questa etichetta ci ha scherzato, trasformandola nel titolo del suo libro: Robin Hood a Palazzo San Giacomo (ed. Tullio Pironti).
Realfonzo domattina il libro sarà presentato all’Istituto per gli Studi Filosofici, insieme a due aspiranti sindaci Umberto Ranieri e Libero Mancuso.
Sì e c’è anche Luigi De Magistris.
Ma nonostante le richieste non sembra intenzionato a scendere in campo…
Non so, mi pare che non abbia ancora sciolto la riserva.
In ogni caso dopo la sua esperienza cosa si sente di consigliare ai candidati?
Chiunque si presenti ai napoletani con il centrosinistra può sperare di vincere solo a condizione di proporre un’analisi severa sulle ragioni del fallimento del ventennio bassoliniano e farsi portatore di una radicale discontinuità. E comunque la situazione è gravemente compromessa: il bilancio comunale è a un passo dal dissesto e il sistema delle società partecipate, che gestiscono i servizi pubblici locali, necessità di interventi radicali.
Che è un po’ quanto hai provato a fare lei attirando molte critiche…
Direi che le critiche le facevo io, ed erano tutte dirette al blocco di potere che ruota intorno alle frange egemoni del Pd, che in questi anni ha portato Napoli al collasso. Il fatto è che ho tentato di affrontare i problemi atavici della città con un’operazione di verità sul bilancio, risanando le casse, tentando di restituire servizi pubblici dignitosi ai cittadini, evitando le privatizzazioni. Con il supporto della sinistra in consiglio comunale. E tutto ciò ha dato molto fastidio.
Nel suo libro parla della crisi rifiuti a Napoli. Non è paradossale che dopo due anni non sia cambiato nulla…
Ci sono gravi responsabilità del governo, dal momento che il piano Bertolaso era inadeguato. Ma ci sono anche gravi responsabilità del Comune di Napoli. Si pensi che la società Asia anziché aumentare la raccolta differenziata continua a diminuirla. E questo perché ha gravi problemi organizzativi e finanziari, e pur avendo oltre 2400 lavoratori appalta a privati parte del servizio. Il fatto è che a Napoli le società partecipate sono state usate in tutti questi anni per garantire un consenso di tipo clientelare, e non per assicurare servizi pubblici decorosi ai cittadini. Come è noto, ho tentato di intervenire su questi gravissimi problemi, ma dopo qualche risultato sono stato bloccato.
Perché?
È chiaro che la mia linea, all’insegna del “rigore nel pubblico per la difesa del pubblico”, entrava in contraddizione stridente con l’utilizzo delle partecipate come strumento di potere. Provavo a vederci chiaro su una serie di questioni relative all’utilizzo dei lavoratori, alle qualifiche dei dirigenti, alle assunzioni. Ma andai a sbattere contro un muro di gomma. Fui ostacolato in tutti i modi. Nel libro dimostro tutto ciò, citando ad esempio una eloquente lettera del presidente della società Stoà, Mario Colantonio, al sindaco.
È successo anche nella battaglia per mantenere le risorse idriche in mano pubblica?
Certo. Intanto, la sentenza della Corte costituzionale (quella che dà ragione allo stato nella definizione dell’acqua quale bene economico, ndr.) conferma la linea che avevo assunto: con la normativa imposta dal governo Berlusconi, per evitare le privatizzazioni occorre attribuire il servizio idrico a società per azioni al 100% pubbliche. Sperando che il referendum consentirà di fare vere ripubblicizzazioni. Quando arrivai all’assessorato bloccai il piano di privatizzazioni del mio predecessore e portai all’approvazione in consiglio comunale una delibera in favore dell’acqua pubblica. Successivamente, mandai una schema di delibera al Cda dell’Ato2, il consorzio di comuni che delibera in materia, che prevedeva l’attribuzione del servizio idrico dell’intera provincia di Napoli all’ARIN, una società al 100% pubblica. Ma quella delibera non fu mai portata ai voti. Si perse una grande occasione, considerato che il centrosinistra governava anche in Regione e Provincia. Ora resta spazio solo per una soluzione pasticciata che riguarda il solo capoluogo.
Perché l’Ato2 non approvò la delibera?
Non dovevano gradire molto l’acqua pubblica. E d’altra parte i rappresentanti del Comune di Napoli in seno all’Ato2 erano i medesimi del tentativo di privatizzazione del 2004. Non a caso, avevo insistito con il sindaco per sostituirli con alcuni sostenitori dell’acqua pubblica, come Alberto Lucarelli e Sergio Marotta. Ma anche qui non ci fu nulla da fare.

I dieci anni peggiori di Napoli

Realfonzo: i dieci anni peggiori
di Simona Brandolini
Corriere del Mezzogiorno, 15 dicembre 2010

Professor «Robin Hood», alias Riccardo Realfonzo, secondo lei l’ultimo decennio è stato il peggiore della storia napoletana?
«Sì —sorride e spiega —, perché alle difficoltà della programmazione negoziata, al fallimento delle aspettative sull’euro come volano del Sud, al taglio ai trasferimenti, le giunte regionali e comunali in difficoltà hanno risposto tentando di mantenere il consenso attraverso clientele e prebende».
Realfonzo è autore di un libro (“Robin Hood a Palazzo San Giacomo”, che sarà presentato sabato) sulla sua esperienza di un anno a Palazzo San Giacomo, da assessore al Bilancio, chiusasi con le dimissioni.
Questo decennio è il fallimento della sinistra o no?
«No, semmai di una parte, di quella parte del Pd che ha inseguito le soluzioni clientelari».
Beh, lei è stato in giunta, poteva incidere. Perché non l’ha fatto?
«E’ ben noto che, dopo qualche risultato, sono stato letteralmente bloccato. Lo dimostro nel libro. La via che indicavo, quella della buona amministrazione, del rigore nel pubblico per la difesa del pubblico, del taglio di privilegi e sprechi, è entrata in contraddizione secca con una gestione becera del sistema delle partecipate».
E la strada del consenso clientelare secondo lei ha funzionato?
«No. La città è in ginocchio e l’elettorato di sinistra ha girato le spalle, come si è visto alle ultime regionali. E sale l’astensionismo».
Il libro comincia con la telefonata della Iervolino, il 4 gennaio del 2009, in cui le chiede di fare l’assessore. Cosa sperava?
«Credevo che nel dicembre del 2008 si fosse toccato il fondo: con le inchieste, gli arresti, il drammatico suicidio di Nugnes. E speravo che con quella giunta di tecnici si volesse provare sul serio a cambiare. Ma dopo pochi mesi ci fu una chiusura totale. Non riuscivo neanche ad avere accesso ad informazioni banali. Un muro di gomma. Il sistema proteggeva le società partecipate».
Che sono realmente il bubbone delle amministrazioni locali?
«A Napoli, a parte qualche eccezione, sì».
Dunque non la stupiscono le inchieste della magistratura su parentopoli.
«In generale, non posso certo dirmi stupito, anche se la critica del mio libro si muove sul piano della politica. E vedo che si continua lungo quella strada. Recentemente è stato nominato Armando Palma nel cda di Napoli servizi. Palma è un consigliere della settima municipalità e quindi per legge non potrebbe essere nominato in una società pubblica. Ma passa in silenzio».
Altre stranezze?
«Nel libro ne racconto tante. Come il caso di una nomina proposta da Tino Santangelo per Napolipark. Mi dà un curriculum di tre pagine di un avvocato trentenne, laurea non brillantissima (92), ma uno spiccato interesse per le arti. Aveva esperienze nel Centro studi danza e ginnastica e in una cooperativa teatrale. Era alto un metro e settantaquattro, castano, occhi verdi e la patente B».
E lei che fece?
«Feci irruzione dalla sindaca. Lei si prese in carico la questione. Dopo qualche giorno mi ridiede il curriculum, diciamo asciugato, di suo pugno».
Questo giovane avvocato fu nominato?
«Certo, nonostante tutte le mie proteste».
Dopo il caso Roma, anche Napoli. Come si fanno le assunzioni nelle partecipate?
«Il meccanismo partenopeo si fonda sul reclutamento mediante società interinali, private. Che hanno una bella libertà di azione nella ricerca del personale. Quando ero assessore ebbi a bloccare diversi meccanismi di questo genere. Nel maggio del 2009 mi arrivarono una serie di note circa presunte irregolarità che riguardavano alcune assunzioni in Arin e Napolipark. Li bloccai cautelativamente».
E in Napolisociale?
«Pur essendo assessore alle partecipate alcune erano sottratte al mio controllo, Napolisociale e Elpis erano due di queste».
Lei è stato ascoltato in Procura dopo le sue denunce, ma dal Comune non c’è stata reazione?
«No. C’è un silenzio, direi un silenzio esilarante intorno a questi temi. Io e i cittadini napoletani non abbiamo avuto risposte nel merito delle questioni».
Di chi è la responsabilità e per le partecipate è solo una questione di uomini inadeguati?
«Dal punto di vista politico mi sembra chiaro che il sindaco abbia gravi responsabilità. E comunque il disastro dei servizi pubblici locali dipende anche da questioni finanziarie. Società come Anm, dove stanno tagliando i servizi, hanno decine di milioni di crediti nei confronti del Comune. Per pagare gli stipendi fanno salti mortali e hanno esposizioni fortissime verso le banche. Altro esempio, la raccolta differenziata: Asìa è molto indietro anche perché il flusso finanziario che dal Comune va alla società è insufficiente».
Questo accade perché il governo ha tagliato i trasferimenti?
«Anche. Ma il Comune di Napoli ha tre miliardi e mezzo di residui attivi, cioé crediti in bilancio per riscuotere i quali il Comune incontra gravi difficoltà. Questo dipende principalmente dalla politiche del bilancio praticate dal mio predecessore, Cardillo, e ha forte un impatto negativo sulle società partecipate, sulle forniture, sui lavori pubblici».
Dunque condivide la lettera pastorale del cardinale Sepe?
«Nel dire che si è toccato il fondo ha ragione. L’esperienza del duo Bassolino-Iervolino si chiude come peggio non potrebbe. Ora bisogna mettere punto e andare a capo».

Presentazione del libro "Robin Hood a Palazzo San Giacomo"



Sabato 18 dicembre 2010, alle ore 10,30, presso la sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Palazzo Serra di Cassano, Via Monte di Dio 14 - Napoli), si terrà un dibattito sul libro di Riccardo Realfonzo, “Robin Hood” a Palazzo San Giacomo. Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli (Tullio Pironti Editore, Napoli 2010). Ne discuteranno con l’autore: Luigi de Magistris, Libero Mancuso, Eugenio Mazzarella, Umberto Ranieri. Modera: Marco Demarco.

Troppe nomine disinvolte nella pubblica amministrazione

Troppe nomine disinvolte nella pubblica amministrazione
di Alessio Postiglione
Repubblica Napoli, 11 dicembre 2010.

Dalla nomina del capo dei vigili di Capri a quella di Armando Palma a Napoli Servizi, il sistema di scelta delle risorse umane effettuato dalla politica è al centro del dibattito.
Una buona pubblica amministrazione, per funzionare, ha bisogno di gente preparata. Secondo la Banca Mondiale, la cattiva selezione è un fattore di corruzione, un male che costa alla Campania il 2,9 per cento del Pil, cioè 496 euro ad abitante, secondo le stime della Fondazione Res. Il record in Italia. Se nel calcolo includiamo il costo sociale della camorra, il conto sale a mille euro pro capite. L’inefficienza e la corruzione pubblica, benché due fattispecie distinte, sono oramai percepite come un binomio indissolubile. Secondo uno studio di Transparency International di prossima pubblicazione, infatti, nei Paesi Ocse, il 74 per cento dei cittadini reputa direttamente il governo responsabile della corruzione, e l’85 per cento individua nei partiti i protagonisti di questa degenerazione.
Molti economisti, inoltre, hanno dimostrato che l’incancrenirsi di tali patologie, nel Mezzogiorno, influisce negativamente sul nostro (mancato) sviluppo e spinge via gli investimenti, verso Regioni più sicure e dotate di buone amministrazioni. Purtroppo, la democrazia non è fatta per essere efficiente ma per essere equa, chiosava l’ex governatore di New York Mario Cuomo. Ma, in Campania, la situazione è particolarmente grave. Se è ammissibile che, in nome della rappresentanza, vengano votati politici non illuminati, nei ruoli “tecnici”, la qualità del personale dovrebbe essere assoluta e la selezione immacolata. La querelle nomine, invece, ci suggerisce che le cose vanno diversamente. Lo ha messo nero su bianco l’ex assessore Riccardo Realfonzo, con il suo ultimo libro “Robin Hood a Palazzo San Giacomo”, sostenendo che la Giunta Iervolino si è piegata a logiche clientelari che si basano sui fondi europei e sulle società partecipate. L’analisi del professore è una diagnosi impietosa, ma anche una prescrizione preziosa per un qualsiasi governo realmente riformista che volesse mettere mano ai guai del Comune.
Fra i molti casi segnalati nel libro relativi a tecnici inadeguati, incardinati per grazia ricevuta, colpisce la storia dell’avvocato Gennaro Del Gaudio, cooptato per volontà di Sabatino Santangelo. Quando a Realfonzo fu presentato il curriculum del candidato, il professore stentava a crederci. Del Gaudio era fresco di abilitazione, quindi senza esperienza sul campo, e laureato con un mediocre 92. La lettera di presentazione, in modo tragicomico, era infarcita di amenità quali: tenore del coro, collaboratore di un centro danza, allestitore di mostre fotografiche sul caffè, alunno di corsi di gestione del tempo e automotivazione. Nel libro, l’ex assessore racconta che, alle sue obiezioni, la Iervolino, su pressione di Santagelo, blindava il candidato, asserendo di non poter far scelta diversa. Sola est voluntas, sive arbitrii libertas, dice Cartesio e, in effetti, lo stesso sindaco sembra mancipe delle alchimie della Giunta. La storia sarebbe risibile se non ci fossero in ballo soldi pubblici e Napoli non patisse una dolorosa emorragia di giovani che, brillanti plurilaureati senza benemerenze, fuggono via o lavorano nei call centre. E’ ovvio, quindi, che gli Enti locali debbano fare di più sul fronte della trasparenza.
Così, al sindaco caprese Ciro Lembo, in definitiva, per fugare le accuse relative alla scelta di Marica Avellino come capo delle polizia municipale, non resta che fare una, semplicissima, cosa. Rendere pubbliche e trasparenti le informazioni relative ai titoli e alle competenze della nominata. Sostenere, come ha fatto Lembo, che si tratta di una dottoressa, cioè di una laureata, e che ha lavorato presso “un prestigioso studio penale” è troppo poco. Nei nostri acciaccati enti, i dottori non mancano; è dei signori che si sente la mancanza.

Verso le primarie del centrosinistra

Lettera al Corriere del Mezzogiorno
di Luigi Compagna
Il Corriere del Mezzogiorno, 7 dicembre 2010


Caro direttore,
vendoliana, cofferatiana, bersaniana, o comunque sia, la candidatura di Mancuso a sindaco di Napoli si è profilata in modo davvero sguaiato. Come se il centrosinistra napoletano non abbia diritto a un confronto al proprio interno; come se siano prioritari valori primitivi e generici di moralismo di massa; come se, invece che a chiarire, le elezioni servissero a oscurare problemi e responsabilità nelle ritualità di un populismo senza popolo. Risanamento della finanza locale e trasparenza delle società municipali, che Riccardo Realfonzo e a suo modo il Corriere del Mezzogiorno avevano avuto il merito di proporre all'attenzione del dibattito politico, sembrano destinati a scomparire dall'orizzonte della campagna per Palazzo San Giacomo. In Mancuso la retorica nazionale dell'antiberlusconismo e quella locale dell'anticosentinismo mirano a cancellare ogni libertà di discussione su un bilancio sull'orlo del dissesto e sulle ragioni istituzionali e politiche che lo hanno determinato. Comunista non privo di anticonformismo, Realfonzo aveva invitato a chiedersi perché sulla base di previsioni di entrata sempre eccessive rispetto agli incassi reali si siano volute assumere decisioni di spesa faraonica, perché così poca raccolta differenziata a Napoli, perché nelle società municipalizzate lavori socialmente utili siano stati costantemente sacrificati al reclutamento di lavoratori elettoralmente utili. Conformista estraneo al comunismo, forse, ma ostile alla libertà di determinazione del confronto politico, Mancuso evoca un diritto-dovere della sinistra di prescindere dagli interrogativi e di Realfonzo. Anzi, ogni problema di gestione per Mancuso ha da considerarsi innanzitutto problema di consenso. Al vertice dell'amministrazione comunale gli piacerebbe introdurre savianismo senza contraddittorio, etica di auto-assoluzione dei propri peccati e auto-compiacimento delle proprie virtù, giacobinismo permanente praticato a carico del bilancio pubblico. In fondo, è la stessa etica da anni praticata nelle nostre procure, là dove ergersi a giudici della politica è diventato sport gratificante. A Napoli quella fra Ranieri, Oddati, Cozzolino si era avviata come competizione girondina, della quale si sarebbe avvalsa tutta la città, non solo la sinistra, riproponendo passione civile e rispetto per i propri avversari. Bassolino e la Iervolino hanno rappresentato quel che hanno rappresentato. Ora ci si aspettava in città un girondino marchese di Condorcet. Ed invece con Mancuso rischia di arrivare in città soltanto un Saint Just: efficace contenimento, magari, della candidatura di un De Magistris. Ma nulla di più.

L’ex assessore spara a zero: sprechi e clientele al Comune

L’ex assessore spara a zero: sprechi e clientele al Comunedi Claudio Silvestri
Roma, 4 dicembre 2010


Il Roma ha pubblicato anche:

Il vicesindaco voleva battere moneta, 4 dicembre 2010.

Il Comune nelle mani dei dirigenti, di Claudio Silvestri, 4 dicembre 2010.

I giudizi sui leader politici e sui colleghi di giunta, 4 dicembre 2010.

Robin Hood nella politica clientelare

Robin Hood nella politica clientelare
di Ottavio Lucarelli
Repubblica Napoli, 5 dicembre 2010

Professore Realfonzo, a distanza di un anno cosa resta del suo 2009 a Palazzo San Giacomo?
«La triste consapevolezza che la politica, a Napoli e in Campania, è scivolata dalle esperienze del primissimo Bassolino, attente alle istanze generali, verso una pratica finalizzata a un consenso clientelare. Una politica che nemmeno vede i problemi dei cittadini».
Professore di economia politica all’Università del Sannio, assessore al bilancio e alle aziende da gennaio a dicembre 2009, Riccardo Realfonzo ha scritto “Robin Hood a Palazzo San Giacomo. Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli”.
Tutte battaglie perse, professore?
«Non tutte, non all’inizio. Un’azione per restituire servizi dignitosi ai cittadini l’avevo avviata. Poi il tentativo di una reale discontinuità si è scontrato con un pratica politica becera, che non a caso ha portato il centrosinistra campano a due sconfitte alle provinciali e alle regionali».
Quando ha capito il fallimento della sua mission?
«I primi stop all’azione di rinnovamento sono arrivati in primavera. All’inizio del 2009, dopo la bufera giudiziaria di fine 2008, la lervolino era in difficoltà e la giunta dei tecnici riusciva a lavorare. Feci passare alcune delibere significative per riparare al disastro dei conti».
Qualche esempio?
«La delibera contro la piaga dei debiti fuori bilancio, quella che mirava a rafforzare il controllo sulle società comunali. In consiglio comunale ci fu anche la svolta contro le privatizzazioni e a favore dell’acqua pubblica».
Poi cosa accadde?
«I rappresentanti del Comune nell’Ato2 non sostennero la linea dell’acqua pubblica e i miei tentativi di mettere mano ai problemi dei servizi furono stoppati. Tentai di far inserire figure di tecnici, indipendenti dai partiti, nei consigli di amministrazione delle aziende ma riuscii solo a incidere con la nomina da parte del sindaco del presidente di Napolipark Francesco Saverio Lauro e del consigliere Gesac Carlo lannello».
In che modo la bloccavano a Palazzo San Giacomo?
«Non consentendomi di avere accesso alle informazioni più banali. Nel libro parlo della lettera al sindaco da parte di Colantonio, presidente Stoà, in cui mette nero su bianco che il vicesindaco Tino Santangelo gli aveva detto di non rispondere alle mie richieste».
Quando capì che la lervolino non era più dalla sua parte?
«Dopo l’estate 2009. Compresi che i continui rinvii sulle nomine rispondevano alla logica delle frange del Pd forti in giunta, una scelta funzionale alle elezioni ma del tutto estranea al mio obiettivo di migliorare la qualità dei servizi».
Chi era il braccio armato del sindaco?
«La lervolino mi disse che voleva bene a Santangelo, ma che la figura su cui Bassolino contava era Nicola Oddati».
Ma la Iervolino era ostaggio di se stessa o dei bassoliniani?
«Più volte mi ha ripetuto che Bassolino l’aveva esortata a fare il sindaco, facendole promesse di un sostegno che poi non aveva mantenuto e, anzi, che tante responsabilità, come la vicenda rifiuti, erano state scaricate sul Comune».
Il titolo del libro nasce in consiglio comunale dove la destra la definì Robin Hood?
«Mi vedevano come un soggetto estraneo al potere iervoliniano».
Anche la lervolino la chiamò Robin Hood?
«Dopo le mie dimissioni. Un’ammissione di colpa».

Monnezza comunale

Monnezza comunale
Il Foglio, 4 dicembre 2010

Il governo Berlusconi e l’amministrazione Iervolino? Hanno entrambi gravi colpe nell’emergenza rifiuti a Napoli. Le accuse reciproche, cui abbiamo assistito di recente, nascondono responsabilità da ambo le parti. A partire da quelle del Comune. L’economista Riccardo Realfonzo, oggi docente dell’Università del Sannio, parla così al Foglio dello “status monnezzae” in Campania. E lo fa con cognizione di causa: tra il gennaio del 2009 e il dicembre dello stesso anno, è stato assessore tecnico al bilancio della giunta Iervolino. Gli attriti con il sindaco e con gli amministratori locali sul risanamento delle finanze locali e sull’efficienza delle società municipali (tra cui quell’Asia responsabile della racolta rifiuti a Napoli) lo hanno portato a reassegnare le dimissioni in meno di un anno. Periodo sufficiente perché la sua carriera prendesse una curiosa piega cinematografica: Realfonzo è stato chiamato alternativamente Indiama Jones (dalla stampa, per la ricerca del “bilancio perduto” del Comune) e Robin Hood (dalla stessa Rosa Russo Iervolino, dopo le sue dimissioni all’inizio del 2010, per presunte attitudini da “bandito” solitario).
Negli anni, Realfonzo si è fatto la reputazione di uno che non se ne sta in disparte. Nel 2006 ha promosso l’appello degli economisti per la stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e pil, durante il governo Prodi è stato membro del comitato scientifico “Industria 2015” del ministro Pier Luigi Bersani, ed è stato consigliere economico del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Adesso Realfonzo si prepara a irrompere nel dibattito sulla monnezza con il suo libro in uscita: “Robin Hood a Palazzo San Giacomo – Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli” (Tullio Pironti Editore, 12 euro), che il Foglio ha letto in anteprima. “Il piano Bertolaso elaborato dal governo Berlusconi era molto debole ed è rimasto in larga parte inattuato”, commenta Realfonzo, “non offriva soluzioni compiute e definitive al problema”. “Ma anche l’amministrazione di Napoli ha responsabilità enormi: in primo luogo perché, allora come oggi, tutte le società comunali vantano decine di milioni di euro di crediti verso il Comune che non riescono a incassare». Aggiunge Realfonzo al Foglio: “Il fatto è che, prima e dopo il mio tentativo di risanamento, il Comune si è reso protagonista di una azione amministrativa inefficiente e a volte di tipo clientelare, con pesanti ripercussioni sul bilancio. Tra l’altro, le previsioni di entrata si sono rivelate eccessive rispetto agli incassi reali. E poiché sulla base di quelle previsioni venivano assunte le decisioni di spesa, il risultato è un bilancio sull’orlo del dissesto”.
Ma ci sono altre ragioni di natura strutturale alla base dell’emergenza rifiuti: “Uno dei problemi evidenti è che Asia, pur avendo circa 2500 dipendenti, ha una percentuale elevatissima di lavoratori inidonei. Parliamo di circa 300 operatori di raccolta rifiuti che però non svolgono servizio sulle strade”. Quello che servirebbe davvero, conclude Realfonzo, è uno sforzo concreto per aumentare la raccolta differenziata: “Stando a una legge del 2008, la percentuale di differenziata dovrebbe raggiungere il 35 per cento del volume dei rifiuti entro fine 2010. Siamo ancora al 16 per cento. Se il Comune non riuscirà varare una politica di rigore nell’utilizzo delle risorse pubbliche, qualsiasi tentativo di migliorare la situazione sarà vanificata dalla pesantissima situazione finanziaria».

Realfonzo, tutte le verità del "Robin Hood" di Palazzo San Giacomo

Il Corriere del Mezzogiorno, 3 dicembre 2010

Pubblichiamo ampi stralci della prefazione del libro Robin Hood a Palazzo San Giacomo, scritto da Riccardo Realfonzo, ex assessore al bilancio del Comune di Napoli (Tullio Pironti Editore), da pochi giorni in libreria.

Questo libro racconta un anno di battaglie a Palazzo San Giacomo, cominciato con la mia nomina ad assessore tecnico del Comune di Napoli nel gennaio del 2009 e terminato nel dicembre, con le mie dimissioni. All’origine di tutto vi è stato un vero e proprio “incidente della Storia”, che si è verificato allorché la crisi della politica partenopea si è manifestata tanto acuta – a seguito di una serie di scandali e alcune inchieste della magistratura – da indurre il sindaco Iervolino a ricostruire la giunta cittadina, pescando nella società civile e in particolare nel mondo accademico. È così che sono entrato in giunta, andando a ricoprire il ruolo chiave di responsabile dell’assessorato alle risorse strategiche, con le deleghe al bilancio e alle società comunali. E ho provato, con la collaborazione di un gruppo di intellettuali e il sostegno di una parte del mondo progressista partenopeo, ad aggredire alcuni problemi atavici di Napoli, nel tentativo di inserire qualche granello di buona amministrazione nella vita cittadina.
Il libro ricostruisce quelle vicende, e mette a nudo – a tratti forse impietosamente – quante e quali siano le debolezze, ed anche le inadeguatezze, di quella ristretta casta di politici che gravita intorno alle frange egemoni del Partito Democratico in Campania, e che ha avuto in tutti questi anni in mano il governo della città. E tuttavia, per quanto la narrazione indugi su quelle figure e sulla loro azione politica e amministrativa, l’insegnamento generale che ho tratto da questa mia esperienza va anche al di là del piano delle responsabilità politiche individuali.
Il punto è che in quell’anno a Palazzo San Giacomo è emerso con sempre maggiore chiarezza un conflitto di fondo tra l’esigenza inderogabile di una azione riformatrice per Napoli, ispirata a principi e istanze di carattere collettivo e generale, di cui ho cercato faticosamente di farmi interprete, e una diffusa pratica politica finalizzata alla ricerca di un consenso di tipo particolaristico e al limite anche clientelare, che continua ad essere portata avanti dal gruppo di potere che controlla il Comune, e che fino a poco fa aveva in mano anche la Regione. Benché la prima strada, quella della politica “alta”, sia stata accarezzata dallo stesso Bassolino nei primi anni Novanta, agli esordi della sua stagione di governo a Napoli, le amministrazioni del centrosinistra progressivamente sono scivolate nella seconda, quella dei particolarismi e delle “intermediazioni improprie”, mettendo in atto un complesso di strategie che insegue confusamente gruppi di interesse e consensi d’accatto. E ciò operando principalmente mediante i fondi europei, non a caso improduttivamente spezzettati e sparsi sul territorio, senza alcuna organicità, e il sistema delle società pubbliche, come veicolo più elastico e meno controllabile per costruire reti di favori e consensi. Una impostazione questa che, dopo una fase di debolezza e apparente apertura al rinnovamento, è risultata presto incompatibile con l’applicazione trasparente dei principi guida che io ho proposto, come il “rigore nel pubblico per la difesa del pubblico”, che poi significa pretendere il massimo sforzo per utilizzare al meglio le risorse pubbliche, restituire dignità e servizi decorosi ai cittadini, evitare la deriva della privatizzazione dell’acqua e degli altri servizi pubblici fondamentali, creando le condizioni per il progresso economico e sociale.
Si capisce così che il problema non consiste tanto nel fissare responsabilità politiche individuali, quanto nel chiarire che il fallimento di questa stagione amministrativa del centrosinistra a Napoli e in Campania – e in altre aree del Mezzogiorno, in particolare – è dipeso dal radicarsi di quel sistema di potere tentacolare, così caratteristico della cosiddetta Prima Repubblica, che ha prodotto sperpero delle risorse, immobilismo sociale, assenza di sviluppo. E che ha finito per aprire la strada alle destre, dal momento che si è rivelato fallimentare sul piano stesso del consenso politico, come poi hanno dimostrato le tornate elettorali del 2009 e del 2010, in Provincia e in Regione.
Ho provato ad arrestare quella deriva, ma dopo un periodo iniziale, in cui la giunta di tecnici dovette far comodo, io e le forze che mi hanno sostenuto ci siamo trovati di fronte a un muro di gomma. E per questo mi sono dimesso, nel dicembre del 2009, anche confidando che la coerenza di quel mio gesto potesse contribuire a tener viva l’idea di una nuova politica economica e sociale, che finalmente offrisse alla città la speranza di un riscatto.
Diversa è stata la lettura che ne ha proposto il Palazzo. Il problema, a dire del sindaco Iervolino, è che io volevo fare il “Robin Hood”.

Robin Hood a Palazzo San Giacomo. Il libro



Napoli in ginocchio. L’amministrazione comunale inerte, tra scandali, clientele e inchieste della magistratura. L’economia in crisi profonda. A inizio 2009, l’economista progressista Riccardo Realfonzo diventa assessore al bilancio. E prova a dire la verità sui conti, a fermare gli affaristi, a restituire servizi pubblici dignitosi ai cittadini. Ma dura solo un anno. Dopo alcuni risultati, viene bloccato e si dimette. Il sindaco Iervolino prova a difendersi e dichiara: voleva fare il “Robin Hood”.

Rassegna stampa (principale)

"Cantone: a Napoli un'amministrazione di cacicchi", di Ciro Crescentini, Cronache di Napoli, 18 marzo 2011.

"Robin Hood dalla parte di de Magistris", di Adriano Biondi, Fanpage, 16 marzo 2011.

"Le miserie di Palazzo San Giacomo", di Rita Pennarola, La voce delle voci, anno XXVIII, n. 3, marzo 2011

"Napoli, non solo camorra. È il clientelismo che governa", di Enrico Pugliese, Liberazione, 23 febbraio 2011

"Riccardo Realfonzo: il Robin Hood della politica", di Enza Nunziato, Il Sannio, 23 febbraio 2011

"La corruzione, la malapolitica e il Mezzogiorno", di Rosaria Rita Canale, Economia e politica, 31 gennaio 2011

"Pregi e limiti di Robin Hood", di Raffaele Tecce, Il Corriere del Mezzogiorno, 18 gennaio 2011

"Le clientele della sinistra", di Manuele Bonaccorsi, Left, 24 dicembre 2010

"Primarie, percorso a ostacoli", di Ottavio Lucarelli, Repubblica Napoli, 19 dicembre 2010

"Intervista a Rai 3", 18 dicembre 2010

"Iervolino bifronte", di Geo Nocchetti, Corriere del Mezzogiorno, 18 dicembre 2010

"Il libro-denuncia di Realfonzo", di Ernesto Ferrante, Rinascita, 18 dicembre 2010

La presentazione del libro di Realfonzo, TV Luna, 18 dicembre 2010

"Napoli, il Robin Hood urbano", di Francesca Pilla, il manifesto, 17 dicembre 2010

"Realfonzo: i dieci anni peggiori", di Simona Brandolini, Corriere del Mezzogiorno, 15 dicembre 2010

"Esplode la parentopoli all’ombra del Vesuvio", di Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo, Il Giornale, 14 dicembre 2010

"Pd, a Napoli hai fallito", di Alessio Postiglione, Terra, 14 dicembre 2010

"Troppe nomine disinvolte nella pubblica amministrazione", di Alessio Postiglione, Repubblica Napoli, 11 dicembre 2010

"Napoli, la legalità non è un'utopia", Micromega, 9 dicembre 2010

"Robin Hood nella politica clientelare", di Ottavio Lucarelli, Repubblica Napoli, 5 dicembre 2010

"L’ex assessore spara a zero: Sprechi e clientele al Comune", di Claudio Silvestri, Roma, 4 dicembre 2010

"Monnezza comunale", Il Foglio, 4 dicembre 2010

"Non solo monnezza. Robin Hood scudiscia Rosetta", Il Foglio, 24 novembre 2010


Il libro è uscito in anteprima nazionale a Napoli nella metà di dicembre 2010. Sarà nelle altre librerie italiane dal marzo 2011.

E' possibile acquistare il libro anche attraverso il sito della Tullio Pironti Editore.

Il libro è su facebook.

Competitività e sviluppo in Italia. Un seminario

L'Università di Macerata e il Laboratorio Vicarelli hanno organizzato un confronto sul tema: "Competitività e sviluppo in Italia: quali percorsi?".
Relatori: Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Salvatore Rossi (Direttore centrale della Banca d'Italia per la Ricerca economica e le relazioni internazionali), Stefano Perri (Università di Macerata).
Il seminario si terrà presso l'Università di Macerata, Facoltà di Economia, mercoledì 1° dicembre, alle ore 15,00.

L'acqua resti pubblica

L'acqua resti pubblica

di Riccardo Realfonzo

Corriere del Mezzogiorno, 24 novembre 2010

Caro Direttore,

la sentenza della Corte Costituzionale sui servizi pubblici locali, che rigetta i ricorsi di alcune Regioni contro i principi privatizzatori del decreto Ronchi e bolla come incostituzionale una legge della Regione Campania, mi induce a fare il punto sulla battaglia per l’acqua pubblica a Napoli. Inutile dire che la sentenza scontenta tutti quanti valutino appieno i rischi delle privatizzazioni, ma non giunge inattesa. La Corte, infatti, ribadisce – purtroppo senza aperture al movimento referendario per l’acqua pubblica – un principio esplicitato dalla normativa di questi anni: i servizi pubblici locali devono normalmente essere dati in affidamento a privati mediante gare, e l’unica forma per tenere in mano pubblica i servizi fondamentali (come l’acqua) consiste negli affidamenti diretti a società per azioni a capitale interamente pubblico. Un principio che in tanti troviamo contestabile, ma che purtroppo è legge dello Stato.
La sentenza della Corte, deve farci guardare in retrospettiva le vicende napoletane degli ultimi anni, anche per capire che fare per il futuro.
È a tutti noto che la Giunta partenopea ha tentato la privatizzazione dell’acqua. Soprattutto nel 2004 e poi con il piano predisposto nel 2008 dall’assessore Cardillo. Quando, nel gennaio 2009, presi le redini dell’assessorato al bilancio del Comune, con uno sforzo coordinato insieme a un gruppo di intellettuali e una parte del Consiglio Comunale provammo a cambiare radicalmente la politica dei servizi pubblici locali. Dopo che il Consiglio approvò, con il bilancio di previsione 2009, anche la svolta per l’acqua pubblica, predisponemmo una delibera tecnicamente perfetta che avrebbe potuto segnare una svolta storica per la provincia di Napoli e il movimento per l’acqua pubblica. Il testo prevedeva l’attribuzione del servizio idrico della provincia a una Spa interamente del Comune di Napoli (l’Arin), predisponendo anche la trasformazione di quella società in un ente di diritto pubblico appena la normativa lo avesse concesso.
In base alla legge quella delibera doveva essere assunta dall’ATO2, che è il consorzio di Comuni e Provincia che decide in materia. Per questa ragione, nel maggio del 2009 – con il centrosinistra ancora in Provincia e in Regione – inviammo formalmente la bozza di delibera al consorzio, predisponemmo i cambiamenti allo statuto dell’Arin e invitammo i rappresentanti del Comune di Napoli nel CdA dell’ATO a fare approvare la delibera.
Ma la delibera non fu mai approvata. Quei rappresentanti non la sostennero come avrebbero dovuto, anche perché avevano predisposto un progetto diverso, che prevedeva la creazione di una nuova società e portava alla privatizzazione. Né le pressioni presso il Sindaco furono utili a sostituire quei rappresentanti; né ci fu una sufficiente spinta da parte della società civile tale da costringere l’ATO2 ad deliberare. Per di più, la Regione Campania mise a gara la gestione di due importanti acquedotti.
Insomma, la logica clientelare e degli affaristi ebbe la meglio.
E oggi siamo ancora inchiodati a quel punto. La sentenza della Corte ha ormai confermato che per evitare le privatizzazioni non c’è alternativa all’affidamento a una Spa interamente pubblica. Le gare dovrebbero scattare il 31 dicembre. È ovvio che il Comune di Napoli non potrà che prorogare l’attribuzione del servizio cittadino all’Arin, anche per non sospendere il servizio pubblico. Ma è altrettanto ovvio che, a norma di legge, i Comuni non sono i soggetti che possono deliberare in materia e dunque ogni atto in quella direzione è debole. Insomma, al momento il pallino è ancora nelle mani dell’ATO2. E l’unica proposta sensata resta quella che giace nei cassetti dal maggio del 2009: affidare il servizio idrico di Napoli e provincia all’Arin.
È da quella bozza di delibera che dovrebbe riprendere la nostra battaglia, anche se molto tempo è andato perso e tutto ora è più difficile.

UE a rischio sopravvivenza

E' notizia di oggi - La Repubblica on line, 16 novembre 2010 - che secondo Herman Van Rompuy, presidente della UE, la zona euro non "sopravviverà se i problemi del debito di alcuni Paesi non saranno risolti". "Siamo di fronte a una crisi per la nostra sopravvivenza", ha detto durante un discorso a Bruxelles. "Dobbiamo lavorare tutti insieme per permettere alla zona euro di sopravvivere. Infatti, se l'euro non sopravvive, neanche l'Unione europea sopravvive" Ma ha aggiunto: "Ho fiducia che supereremo questo momento". L'intervento di Herman Van Rompuy arriva mentre la zona euro attraversa una nuova fase di turbolenza a causa degli attacchi speculativi contro Irlanda, Portogallo, Grecia e Spagna, e una nuova impennata dei differenziali dei rendimenti del debito pubblico di questi paesi rispetto ai bund tedeschi.
Secondo Van Rompuy l'Irlanda dovrebbe accettare gli aiuti del Fondo anticrisi - aiuti in cambio di più austerità - e in generale occorrerebbe che i paesi periferici praticassero politiche ancora più restrittive, per abbattere deficit e debito. Non gli sovviene minimamente il sospetto che queste politiche stiano peggiorando le cose, perchè abbattono il Pil e portano a una contrazione delle entrate fiscali. Che occorrerebbe piuttosto rilanciare la domanda e che i primi a muoversi in tal senso dovrebbero essere i paesi che hanno avanzi delle bilance commerciali e conti pubblici più robusti, a cominciare dalla Germania.
Comunque, almeno è un bene che comincino a rendersi conto della estrema gravità della situazione. Si tratta di un dato che io ed altri avevamo già sottolineato con la "Lettera degli economisti" pubblicata a giugno scorso da economiaepolitica.it e dal Sole 24 Ore. E in tutto il dibattito che aveva fatto seguito alla Lettera.
Purtroppo, in tutti questi mesi si è continuato a proporre una politica restrittiva, che sta aggravando seriamente le difficoltà dei paesi periferici.

Tornare al gold standard?

Tornare al gold standard?
di Marco Valsania
Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2010

Conti di Napoli, scoppia la polemica

Conti di Napoli, scoppia la polemica
di Gianni Trovati
Il Sole 24 ore, 9 novembre 2010

Scoppia la polemica a Napoli sui dati del bilancio del comune, dopo che nell'analisi proposta sul Sole 24 Ore di ieri il capoluogo campano è finito in cima alla classifica delle città con il più alto squilibrio di parte corrente (le spese correnti superano di 194,7 milioni le entrate stabili, una somma che vale il 12,3% del bilancio).
Ad accendere le polveri è stato Riccardo Realfonzo, docente di macroeconomia e assessore al bilancio a Palazzo San Giacomo nel 2009, che ha parlato di «rischio bancarotta del comune», e ha accusato «chi non vuol capire che le politiche del consenso pseudoclientelari non si sposano con le esigenze di bilancio e il diritto dei cittadini a ottenere servizi pubblici dignitosi».
L'attacco di Realfonzo ha provocato la reazione dell'attuale assessore alle Risorse strategiche del comune, Michele Saggese, che se l'è presa però con i numeri pubblicati sul Sole 24 Ore. «Dati incredibilmente errati – ha fatto sapere l'assessore tramite comunicato stampa –, perché lo squilibrio di parte corrente è di 62,5 milioni (invece dei 194,7, ndr), ed è finanziato dall'avanzo di amministrazione. I revisori – ha aggiunto – ha soltanto registrato una lentezza nella riscossione».
I numeri pubblicati sul Sole 24 Ore di ieri, però, sono tratti dal preventivo 2010 del comune e dal parere reso dal collegio dei revisori (da cui è tratto anche il dato sui 222,6 milioni di entrate previste da alienazioni immobiliari). I revisori nel documento hanno parlato di «notevole peggioramento» del saldo si parte corrente (riportando un valore analogo a quello pubblicato ieri), e hanno sottolineato il rischio di «conseguenze irreparabili per l'ente».

Comune di Napoli sull'orlo del baratro

Comune sull'orlo del baratro
L'ex assessore al Bilancio: «C'è chi non vuol capire che le politiche del consenso pseudoclientelari sono dannose»
Corriere del Mezzogiorno, 8 novembre 2010.

Il rischio crack del Comune di Napoli

Il rischio crack del Comune di Napoli

Opportunamente, Il Sole 24 Ore ("Maxibuco nei conti delle città", di Gianni Trovati, 8 novembre 2010) sottolinea il rischio default del Comune di Napoli.
Si tratta di una situazione estremamente grave, che ho denunciato a più riprese nel periodo in cui sono stato assessore tecnico al bilancio del Comune(dal gennaio al dicembre 2009), e anche in seguito.
Come è noto, nel dicembre 2009 ho rassegnato le mie dimissioni dall'incarico, denunciando gli ostacoli che erano stati frapposti alla mia linea di rigore, che intendeva affrontare alla radice anche le tante difficoltà del sistema delle società partecipate del Comune. In quella occasione manifestai la mia più grande preoccupazione per il fatto che gli sforzi fatti nel breve periodo del mio assessorato sarebbero stati rapidamente vanificati.
Purtroppo, c'è chi non vuol capire che le politiche del consenso pseudoclientelari, oltre ad essere inaccettabili sul piano politico della "questione morale", non si sposano con le esigenze di bilancio e il diritto dei cittadini napoletani ad ottenere servizi pubblici dignitosi.
A riguardo chi volesse documentarsi può leggere, tra gli altri, i seguenti articoli:
1) Realfonzo: disastro al Comune, ho ereditato una voragine, di R.C., Corriere del Mezzogiorno, 4 marzo 2009;
2) Tante resistenze alla mia linea del rigore, Corriere del Mezzogiorno, 1 ottobre 2009;
3) L'assessore Realfonzo si dimette. E accusa, di Marco Demarco, Corriere del Mezzogiorno, 10 dicembre 2009.
Questa primavera, ho anche avuto modo di tornare sulla questione, esprimendo forti perplessità sulle previsioni di entrata formulate nel bilancio per il 2010, in particolare per quanto attiene alle entrate relative alle dismissioni del patrimonio immobiliare (uno dei punti sui quali si sofferma l'articolo del Sole 24 Ore) e delle multe. E ho ribadito quanto sia inaccettabile quel tipo di politica di gestione del sistema delle partecipate.
Tra l'altro, si veda a riguardo: Realfonzo: Il bilancio? Elettorale, di Fabrizio Geremicca, Corriere del Mezzogiorno, 11 aprile 2010.
Tutte le mie preoccupazioni e le mie denunce per la pessima amministrazione del Comune di Napoli - che genera già pesantissime ripercussioni sulla qualità dei servizi resi cittadini (a cominciare dalla questione dei rifiuti), oltre a un ritardo dei pagamenti ormai insostenibile per l'insieme delle imprese che lavorano per il Comune - si confermano ogni giorno di più.
La giunta in carica lascia una eredità pesantissima ai suoi successori.
Ma almeno - tra pochi mesi - lascia.

Fiat: Realfonzo, problema non flessibilità ma contrazione salari

di Agenzia Giornalistica Italiana - AGI

(AGI) - Roma, 25 ott. - Rilievi a fronte delle affermazioni dell’Ad Fiat, Sergio Marchionne, vengono anche dal mondo degli economisti. Riccardo Realfonzo, professore ordinario di macroeconomia ed economia del lavoro all’Universita’ del Sannio, analizza sul sito Economia e Politica la richiesta di chi come Marchionne chiede “ulteriori iniezioni di flessibilita’ nel mercato del lavoro”, a partire dalla “decentralizzazione contrattuale” quali strumenti per “salvaguardare la competitivita’” dell’Italia nell’economia globalizzata.
Partendo dall’”unica certezza di cui disponiamo”, ovvero “che la crescita della produttivita’ del lavoro in Italia e’ andata molto al rilento rispetto ai nostri principali concorrenti”, Realfonzo nota che sulle “motivazioni possono essere avanzate tesi diverse” e, in particolare, sottolinea che “a spiegare la piatta dinamica della produttivita’ italiana” concorrono “fattori quali la bassa dimensione media delle imprese, il volume contenuto degli investimenti in nuove tecnologie, il ridotto grado di infrastrutturazione del territorio”. Percio’ “se la bassa produttivita’ delle nostre imprese dipendesse effettivamente da questi fattori, agire sulla contrattazione non costituirebbe certo la via maestra per risolvere il problema. Piuttosto, occorrerebbe evocare nuove e incisive politiche industriali”.
Il secondo elemento del problema e’ poi quello del peso della “tendenza di lungo periodo alla contrazione della quota dei salari sul Pil”, evidenziata secondo Realfonzo anche da un recente studio del Fmi, che ha “avanzato l’ipotesi che uno dei fattori di fondo della crisi, al di la’ delle variabili strettamente congiunturali”, potrebbe essere l’abbassamento della quota dei salari da cui dipende “la scarsa dinamica della domanda complessiva di merci e servizi che, nell’insieme delle economie industrializzate, non avrebbe retto il ritmo di crescita dell’offerta potenziale delle imprese”, confermando “che la riduzione della quota salariale effettivamente abbatta la domanda aggregata, con ripercussioni negative sui livelli di produzione e occupazione”. Tali osservazioni mettono in campo “tanta materia per guardare con scetticismo” a tesi come quelle di Marchionne e dovrebbero indurre, conclude Realfonzo, “a prendere sul serio le ragioni dei critici”. (AGI)

Quali politiche per uscire dalla crisi? Un seminario della Società Italiana degli Economisti

Nell’ambito della 51.ma riunione scientifica annuale, la Società Italiana degli Economisti ha organizzato una sessione di studi sul tema “Quali politiche per uscire dalla crisi?

La sessione si terrà venerdì 15 ottobre 2009 presso la Facoltà di Economia dell’Università di Catania (Corso Italia, 55 - Catania), alle ore 11,15, con il seguente programma:

Presiede: Terenzio Cozzi (Presidente della SIE)

Relazioni:

Uscita dalla crisi o molla di ricarica verso una nuova crisi globale?
di Mario Baldassarri

Distribuzione del reddito e crisi economica
di Bruno Bosco, Emiliano Brancaccio, Roberto Ciccone, Riccardo Realfonzo e Antonella Stirati

Un’analisi quantitativa delle politiche di rientro dal disavanzo pubblico in Italia
di Francesco Carlucci

Debito pubblico, crescita e riforma fiscale: idee per ripartire

di Chiara Rapallini e Aldo Rustichini

Tutte le informazioni relative al Convegno di Catania sono disponibili sul sito della Società Italiana degli Economisti.

Le false promesse dell'austerità

Le false promesse dell'austerità

di Riccardo Realfonzo

Il Sole 24 Ore, 1 settembre 2010

Come titolava ieri Il Sole 24 Ore, “Il liberismo rialza la testa” o almeno ci prova. Nel dibattito sulla politica economica in tanti si sforzano di argomentare che il riacutizzarsi della crisi negli Stati Uniti dimostrerebbe l’inefficacia delle politiche fiscali espansive, proposte da Obama, e la necessità di avanzare interpretazioni delle cause della crisi legate all’intervento pubblico in economia. Al tempo stesso, affermano che alcuni segnali di ripresa visibili in Europa già confermerebbero l’utilità delle politiche di austerità. Ma queste tesi – sostenute anche da Alberto Alesina nel suo articolo "Cara Europa il rigore è amico" (Il Sole 24 Ore, 28 agosto) – appaiono fragili.
Intanto, come argomentato in un recentissimo saggio di Alan Blinder e Mark Zandi, è difficile negare che senza le politiche espansive la situazione statunitense sarebbe assai peggiore. A ben vedere, il riacutizzassi della crisi conferma che nessuna grande area economica sta prendendo il posto degli Stati Uniti nel trainare la domanda mondiale e che è necessario insistere con le politiche espansive. Ma mostra anche che non si esce dalla crisi senza intervenire sulle sue cause più profonde, sanando il forte squilibrio presente nei paesi industrializzati, Stati Uniti in testa, tra crescita dell’offerta potenziale e ristagno della capacità di consumo dei lavoratori. Uno squilibrio che è principalmente l’esito della crescente sperequazione nella distribuzione dei redditi cui abbiamo assistito negli ultimi lustri.
Per quanto attiene all'Europa, il principale argomento dei fautori dell’austerità è costituito dalla ripresa dell’economia tedesca trainata dalle esportazioni. Ma è ben arduo ritenere che si tratti di un risultato delle politiche restrittive del governo Merkel. Piuttosto, negli ultimi mesi – come ha rilevato Sergio Cesaratto su economiaepolitica.it – la Germania ha tratto vantaggio dal deprezzamento dell'euro, risultato delle difficoltà di alcuni paesi a rimanere nell’unione monetaria, ma anche dalla dinamicità delle importazioni statunitensi dovuta proprio alle politiche espansive di Obama. E, comunque, questa ripresa tutta “opportunistica” delle esportazioni tedesche non serve a trainare lo sviluppo europeo e soprattutto ad arginare gli squilibri e gli impetuosi processi di divergenza in atto nell'eurozona.
A ben rifletterci, la fiducia con la quale gli economisti liberisti guardano ai benefici dei tagli alla spesa pubblica in Europa si dimostra smisurata. Occorre infatti rammentare che il primo ed unico effetto certo dei tagli alla spesa pubblica è quello della compressione dei redditi distribuiti, e quindi il calo della domanda. Quali sarebbero i meccanismi principali attraverso i quali l’austerità rilancerebbe lo sviluppo e la convergenza in Europa? Aumentando gli investimenti privati grazie alla riduzione del cosiddetto effetto di spiazzamento? Permettendo una riduzione della pressione fiscale? Ma questi risultati sarebbero, a ben vedere, l’esito di lunghe catene causali, aleatorie ed anzi irrealistiche. Infatti, non è detto che i tagli migliorino le condizioni della finanza pubblica, dal momento che essi retroagiscono negativamente sulle entrate fiscali. E non è detto che abbattano i rapporti deficit/Pil e debito/Pil, favorendo una “stabilizzazione” dei mercati finanziari, anche perché tendono a ridurre i denominatori di quei rapporti. E pure ipotizzando che i tagli portino davvero a una caduta dei tassi, ciò è addirittura compatibile con una ulteriore contrazione degli investimenti, visto che essi dipendono anche dalle aspettative di profitto. E poi, immaginare che in tempi di crisi sia possibile abbattere contemporaneamente il debito e la pressione fiscale appare non meno irrealistico.
Il fatto è che le tanto invocate politiche di austerità sono la peggiore scelta per affrontare la crisi. Possono arrecar poco danno esclusivamente a un paese che segua una strategia opportunistica - come fa la Germania - e che attraverso la bilancia commerciale tragga beneficio dalle politiche espansive altrui. Ma all’Europa e agli Stati Uniti non serve che il liberismo rialzi la testa.

Realfonzo stronca le primarie: rischiano di diventare una farsa

Realfonzo stronca le primarie: rischiano di diventare una farsa

di Fabrizio Geremicca,

Il Corriere del Mezzogiorno, 19 agosto 2010

«Le primarie del centrosinistra a Napoli rischiano di ridursi a una farsa». Riccardo Realfonzo, il docente universitario dimessosi da assessore della giunta Iervolino, interviene nel dibattito relativo alle elezioni comunali della primavera 2011. Fino ad oggi hanno ufficializzato la volontà di correre Umberto Ranieri e Nicola Oddati. Non ha sciolto la riserva l’ex pm Luigi De Magistris, che due mesi fa era stato lanciato da Nichi Vendola.
Perché una farsa?
«Manca del tutto una riflessione sugli aspetti programmatici. Ci si aspettava che partisse, soprattutto dal Pd, un dibattito sul fallimento amministrativo registrato a Napoli in questi anni: dallo spreco dei fondi europei alla scarsissima qualità dei servizi offerti dalle società partecipate, fino ai metodi di gestione pseudoclientelari e consociativi».
Resta il fatto che le primarie sono un elemento di partecipazione.
«Possono essere utili, non supplire all’assenza di una valutazione sugli errori di questi anni ed a un programma innovativo per rilanciare il centrosinistra. Così non si va da nessuna parte. Succede persino che il segretario provinciale del Pd, Tremante, intuisca che i servizi pubblici locali sono allo sfascio, ma non comprendendone le cause, invochi la vecchia inutile soluzione delle privatizzazioni. E poi bisogna che i responsabili di quegli errori facciano un bel passo indietro».
Che fa, inneggia al repulisti?
«Senza un nuovo programma e nuove credibili personalità la sconfitta elettorale è certa».
Come valuta i nomi emersi fino ad ora per le primarie?
«Sento che anche l’assessore Oddati si fa avanti. Ho potuto sperimentare personalmente, prima di dimettermi da assessore tecnico al bilancio del Comune, che lui ha costantemente ostacolato qualsiasi azione di rinnovamento».
Pensa che si dovrebbe dimettere da assessore per partecipare alle primarie?
«Non dovrebbe partecipare affatto, al pari di tutti i responsabili dello sfascio amministrativo di questi anni»
Perché non lasciare che decidano gli elettori? A che servono, altrimenti, queste primarie?
«In assenza di un’autocritica e in mancanza di una parità sostanziale tra i partecipanti – che certo manca se uno di loro è assessore e ha dalla sua le leve dell’amministrazione comunale – non ne comprendo bene l’utilità. A meno che non si tratti di dare una parvenza democratica e poi, nella sostanza, consentire a quelle forze interne al Pd, che sono state egemoni in questi anni, di utilizzare gli ultimi scampoli di potere per sostenere un candidato a loro organico, o magari un personaggio ripescato dal passato che garantisca loro qualche poltrona. In questo caso, le forze che chiedono un reale rinnovamento risulterebbero spiazzate in partenza».
Come valuta l’ipotesi De Magistris?
«Credo che i suoi tentennamenti nell’accettare di correre per il Comune si spieghino anche con questo ordine di riflessioni».
Dalle sue parole sembrerebbe che tutto sia già perduto, per il centro sinistra napoletano.
«Allo stato delle cose, non resta che sperare che una candidatura credibile e innovativa riesca comunque a farsi avanti, partecipando non alle primarie ma direttamente alla competizione elettorale, che tra l’altro prevede il doppio turno».

Gli economisti italiani secondo Il Sole 24 Ore

Le scuole di teoria economica in italia e gli economisti in uno schema proposto da Il Sole 24 Ore
Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2010

Cari colleghi, rileggete Keynes

Cari colleghi, rileggete Keynes
di Rosaria Rita Canale e Riccardo Realfonzo
Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2010



Dopo la pubblicazione dell'articolo a firma di Canale e mia "Cari colleghi, rileggete Keynes" pubblicato dal Sole 24 Ore (15 luglio 2010), sul medesimo giornale sono usciti due discutibili attacchi di Roberto Perotti e Antonio Guarino.
Ai due articoli hanno efficacemente risposto sul Sole 24 Ore Paolo Leon, Antonella Stirati e poi, insieme, Aldo Barba e Giancarlo De Vivo; su Economia e Politica è intervenuto Gennaro Zezza:

"L'irresistibile tentazione alla superbia degli anti-keynesiani", di Paolo Leon, Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2010

"Quando i modelli teorici falliscono è il momento dell'eterodossia", di Antonella Stirati, Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2010

"I pesci rossi e le lune di Giove", di Aldo Barba e Giancarlo De Vivo, Il Sole 24 Ore, 26 luglio 2010

"Vizi metodologici e ideologie neoliberiste", di Gennaro Zezza, Economia e Politica, 16 agosto 2010

Agonia Campania

Agonia Campania. Intervista a Riccardo Realfonzo
di Sonia Oranges

Il Riformista, 15 luglio 2010


Non comanda più nessuno, in Campania. Nessuno che si prenda la responsabilità di elaborare un progetto politico in base al quale amministrare a livello cittadino, provinciale e regionale. E la politica è ridotta a conflitto tra bande, parla a sé stessa, ignorando che il contesto socio-economico è oramai esplosivo: non fa sconti a nessuno Riccardo Realfonzo, direttore del dipartimento di economia politica dell'Università del Sannio, protagonista nel 2009 di una breve quanto conflittuale esperienza da assessore tecnico al bilancio del Comune di Napoli. Conclusasi con dimissioni irrevocabili.

Possibile che nessuno tenga le fila di un territorio così complicato?

È quello che ci domandiamo tutti. Scopriamo che il nuovo governatore, Stefano Caldoro, è stato oggetto di gravi tentativi di aggirare il suo campo d'azione. Vicende ora pubbliche che, si spera, gli consentano di disfarsi di tutti quei personaggi che hanno lavorato per indebolirlo. A cominciare da Nicola Cosentino.

Ma Caldoro, in molti modi, ha fatto intendere che non può agire oltre le sue competenze.

Non ci sono delle buone premesse. Ma per comprendere appieno la situazione, bisogna fare un passo indietro e prendere atto che il contesto socio-economico della Campania è disastroso. Ci si ricorda della Campania solo per gli scandali, ma il fatto è che la brutta esperienza amministrativa del centrosinistra, da un lato, e i tagli dei trasferimenti operati dal Governo, dall’altro, hanno contribuito a mettere in ginocchio l'intera Regione. E la situazione è diventata esplosiva. Oltre a domandarci chi comanda, dobbiamo crederci che cosa dovrebbero gestire gli amministratori. Sarebbe necessaria una sintonia tra il Governatore e il principale partito che l'ha scelto e sostenuto, il Pdl. Invece assistiamo a un aperto conflitto tra Caldoro e Cosentino.

Cosentino si è dimesso da sottosegretario per dedicarsi interamente alla politica in Campania.

Come dicevo, pessime premesse, visto che a un quadro disastrato si affiancano condizioni politiche impraticabili per governare la Regione. I condizionamenti dei partiti sulla Giunta, producono effetti gravissimi. Il caso del centrosinistra lo dimostra. Se nel secondo mandato della giunta Bassolino si è fatto così male, è anche perché quella coalizione era pesantemente condizionata da De Mita da un lato, e da Mastella dall'altro. Mentre per fare le scelte difficili che qualcuno dovrà pur prendere, ci vuole comunione d'intenti, mentre qui sembra di assistere a un conflitto tra bande. È ovvio che, di fronte alle cronache di questi giorni, anche l’intellettualità cittadina che è assai distante dal centrodestra, esprime solidarietà a Caldoro.

E la Provincia?

È silente. Non promuove alcuna azione. Come è noto sono stato assessore tecnico al bilancio nella giunta Jervolino, nel 2009, e mi sono dimesso denunciando gli ostacoli ad una azione di rinnovamento e messa in efficienza delle partecipate comunali. Durante quell'esperienza ho conosciuto il presidente della Provincia, Luigi Cesaro. Posso solamente dire che lui non c'è su troppi temi. Ma sta lì perché le amministrazioni di centrosinistra che si sono succedute in questi anni, hanno fatto tanto male da rendere preferibile, agli occhi dell'elettorato, una destra scarsamente presentabile. Un vero capolavoro.

Il Comune di Napoli è rimasto l'ultima enclave della sinistra. Lì qualcuno comanda?

Al Comune, purtroppo, la Giunta va avanti grazie al consociativismo. Se la destra avesse voluto, avrebbe potuto farla cadere in occasione dell'approvazione del bilancio di previsione. Ma non l'ha fatto perché a Palazzo San Giacomo il potere è amministrato in modo un po' accattone. Pur di conservare le poltrone, si usa ogni strumento, senza dare alcuna risposta alla città, in termini di servizi. È un'agonia. Alla fine del 2008, sembrava che ci fosse un tentativo di cambiare, inserendo alcuni tecnici in Giunta. Ma appena abbiamo provato ad abbattere i costi delle società partecipate dal comune, tagliando i consigli d'amministrazione e scegliendo figure di vertice più qualificate, siamo stati fermati, perché avevamo toccato il sistema che si abbevera a quei rubinetti.

La sinistra ora dovrebbe essere all'opposizione. Ma De Luca, l'avversario di Caldoro nelle urne, è tornato a fare il sindaco di Salerno.

Un tentativo morto sul nascere, quello con de Luca, scelto solo perché era il principale antagonista di Bassolino. La verità è che è finita un'epoca. Il Pd è assolutamente spaccato tra il cosiddetto partito del ex-Governatore che cerca di controllare ancora qualcosa al Comune sperando di trovare un candidato sindaco, e le restanti forze minoritarie incapaci di esprimere un progetto credibile. In queste condizioni, non si fa opposizione.

Altre bande?

Il fatto è che non si vedono idee, né progetti. Solamente la politica troppo presa sé, e il contesto che si degrada quotidianamente.

Gravissimi effetti della manovra Tremonti sul Mezzogiorno

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Politica --> Bilancio Statale --> Finanze, Tasse
Economia, affari e finanza
Arte, cultura, intrattenimento
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CRISI: ECONOMISTI; DA MANOVRA GRAVE EFFETTO PER CRESCITA SUD
LETTERA DI 200 ECONOMISTI PRESENTATA A ISTITUTO STUDI FILOSOFICI
(ANSA) NAPOLI, 29 GIU - ''La manovra del governo tutta
improntata sui tagli alla spesa tagliera' le gambe all'economia
italiana gia' in preda alla crisi. E l'effetto sara' ancora piu'
grave nelle regioni del sud''. E' questo l'allarme lanciato oggi
dall'economista Riccardo Realfonzo, durante il convegno 'Il
mezzogiorno nella crisi europea
' che si e' svolto all'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Il dibattito,
moderato da Sergio Marotta dell'Universita' Suor Orsola
Benincasa di Napoli, ha puntato soprattutto sugli effetti della
manovra sul sud Italia.
''La manovra - ha spiegato Realfonzo - avra' effetti
pesantissimi sul Mezzogiorno, anche perche' il taglio del 14%
della spesa regionale qui e' insostenibile. Infatti la spesa
procapite delle Regioni nel Mezzogiorno d'Italia e' gia'
significativamente piu' bassa della media italiana, con effetti
evidenti sulla qualita' dei servizi pubblici locali. Tagliare la
spesa delle regioni significa peggiorare ancora la qualita' dei
servizi e dare un ulteriore colpo all'economia
meridionale''. ''Le stime di Tremonti sulla crescita del Pil
italiano sono del tutto errate, alla luce della manovra. In
Italia ci attende un periodo di crescita praticamente zero del
Pil, e probabilmente di ulteriore caduta del Pil nel
Mezzogiorno''.
''La lettera degli economisti - prosegue Realfonzo
- spiega che l'Italia e gli altri paesi dell'Unione Europea
dovrebbero piuttosto formulare politiche di carattere espansivo
per rilanciare la produzione pubblica in quei settori dei
servizi essenziali nei quali il mercato ha dimostrato di
fallire. E' questo tipo di politica che consente di rilanciare
lo sviluppo e migliorare le condizioni della finanza pubblica,
non il contrario''. ''La manovra del governo apre la porta a una nuova
ondata di privatizzazioni ed anche a svendite del patrimonio
pubblico: il decreto sul federalismo demaniale sembra fatto
proprio apposta per questo''.
La lettera degli economisti cui si riferisce Realfonzo
e' stata sottoscritta da oltre 200 economisti italiani ed europei,
ed e' disponibile sul sito www.letteradeglieconomisti.it.
(ANSA).


Y1Z-TOR
/BOM
29-GIU-10 15:20 NNNN

Il Mezzogiorno nella crisi europea

Il Mezzogiorno nella crisi europea
Dibattito sulla critica della Lettera degli economisti alla manovra economica del Governo
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Via Monte di Dio, Napoli, Martedì 29 giugno ore 10,00
Saluti: Gerardo Marotta, Presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Modera: Sergio Marotta, Università Suor Orsola Benincasa
Presenta la Lettera degli economisti: Riccardo Realfonzo, Università del Sannio, promotore della Lettera degli economisti
Intervengono: Roberto Fico, Movimento Cinque Stelle; Franco Nappo, PRC Federazione della Sinistra; Eugenio Mazzarella, Deputato del Partito Democratico; Gennaro Migliore, Sinistra Ecologia e Libertà; Luigi de Magistris, Presidente Commissione Controllo Bilancio del Parlamento europeo, Idv; Maurizio Mascoli, Segretario Regionale della FIOM-CGIL.
Sono stati inoltre invitati ad intervenire al dibattito tutti gli studiosi delle Università campane che hanno aderito alla “Lettera degli economisti”: Luigi Aldieri (Università di Napoli ‘Parthenope’), Aldo Barba (Università di Napoli ‘Federico II’),Sergio Beraldo (Università di Napoli ‘Federico II’), Mariangela Bonasia (Università di Napoli ‘Parthenope’), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope di Napoli), Lilia Costabile (Università di Napoli ‘Federico II’), Elina De Simone (Università Orientale di Napoli), Giancarlo De Vivo (Università di Napoli ‘Federico II’), Amedeo Di Maio (Università Orientale di Napoli), Giuseppe Fontana (Università del Sannio), Adriano Giannola (Università di Napoli ‘Federico II’), Bruno Jossa (Università di Napoli ‘Federico II’), Antonio Lopes (Seconda Università di Napoli), Ugo Marani (Università di Napoli ‘Federico II’), Pietro Masina (Università di Napoli ‘L’Orientale’), Marco Musella (Università di Napoli ‘Federico II’), Andrea Pacella (Università del Sannio), Rosario Patalano (Università di Napoli ‘Federico II’), Marco Piccioni (Università di Napoli ‘Federico II’), Michele Rosco (Università di Salerno), Guido Tortorella Esposito (Università del Sannio), Carmen Vita (Università del Sannio).

El Plan Fénix italiano

El Plan Fénix italiano
di Alfredo Zaiat
Página 12, 27 giugno 2010

Le lezioni della Storia

Le lezioni della Storia, dimenticate ancora una volta
Articolo in sostegno della Lettera degli economisti
di John King (La Trobe University, Australia)
Economia e Politica, 25 giugno 2010

Il dibattito sulla "Lettera degli economisti"

La “Lettera degli economisti" è un documento sottoscritto promosso da Riccardo Realfonzo (in collaborazione con B. Bosco, E. Brancaccio, R. Ciccone e A. Stirati) e sottoscritto da oltre 200 esponenti del mondo accademico e della ricerca e pubblicato da Economia e Politica e dal Sole 24 Ore nel giugno 2010. I firmatari contestano la politica economica restrittiva messa in atto in Italia e in Europa per fronteggiare la crisi. La "Lettera" è disponibile sul sito www.letteradeglieconomisti.it.

Di seguito alcuni dei contributi al dibattito di uno dei promotori della "Lettera", Riccardo Realfonzo:

"Attenti l'euro scoppia sotto i colpi del rigore", di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo, Il Sole - 24 Ore, 16 giugno 2010

"Cari colleghi rileggete Keynes", di Rosaria Rita Canale e Riccardo Realfonzo, Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2010

"Le false promesse dell'austerità", di Riccardo Realfonzo, Il Sole 24 Ore, 1 settembre 2010

Si vedano anche gli articoli apparsi in Economia e Politica a firma di John King; Gerald Epstein; Mario Seccareccia; Alberto Muller; Alberto Alonso, Jorge Uxò e Antonio Cuerpo.

Si rinvia inoltre alla rassegna stampa presente sul sito www.letteradeglieconomisti.it.

L'allarme degli economisti: l'austerità aggrava la crisi

L'allarme degli economisti: l'austerità aggrava la crisi
di Emilio Carnevali
Micromega, 15 giugno 2010

Dichiarazioni dei leader del centrosinistra sulla Lettera degli economisti

MANOVRA/DI PIETRO: ECONOMISTI DIMOSTRANO CHE E’ SOLO DANNOSA
Roma, 15 giu. (Apcom) - "La lettera degli economisti contro la manovra di politica economica del Governo coglie nel segno. Gli economisti dimostrano che questa manovra non risana le condizioni della finanza pubblica e non serve a mettere in ordine i conti con l'estero del nostro Paese. Insomma, l'unico effetto certo è il ristagno dell'economia e la disoccupazione crescente". Lo afferma in una nota Antonio Di Pietro, presidente di Italia dei Valori, commentando l'allarme lanciato da cento economisti sulla manovra del Governo.
"Riccardo Realfonzo e i suoi autorevoli colleghi - spiega Di Pietro - hanno inequivocabilmente chiarito che l'Europa ha bisogno di ben altre politiche rispetto a quelle varate dal Governo italiano. Se l'Europa prosegue a colpi di tagli alla spesa pubblica c'è il serio rischio che alcuni paesi si vedano costretti a uscire dall'euro. In fondo è questo il pericolo che il Governo fa correre al Paese. Sarebbe opportuno - conclude - che in Italia si aprisse un dibattito sulle proposte avanzate nella lettera degli economisti. Bisognerebbe arrestare la speculazione, difendere i salari e concepire un grande piano europeo per il rilancio dello sviluppo".

CRISI: VENDOLA, CONDIVIDO ALLARME MONDO ACCADEMICO SU EUROZONA
(ASCA) - Bari, 15 giu - ''Condivido fortemente l'allarme lanciato oggi da cento economisti italiani che hanno scritto una lettera aperta ai governanti italiani ed europei e ai rappresentanti italiani presso le istituzioni dell'Unione Europea''. Lo dichiara il presidente della regione Puglia e leader di Sinistra Ecologia e Liberta' Nichi Vendola, dopo l'allarme lanciato da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo, dell'Universita' del Sannio, e da Antonella Stirati, dell'Universita' Roma Tre a nome di altri cento economisti. ''Mi sembra molto interessante e stimolante - prosegue Vendola - l'analisi secondo la quale le politiche economiche di austerita' messe in campo dai governi, compreso quello italiano che sta facendo tagli da bassa macelleria sociale, potrebbero 'forzatamente sospingere alcuni paesi fuori dall'Unione monetaria' per poter difendere i propri mercati, i propri redditi e la propria occupazione. Siamo insomma al paradosso, fuori dall'Europa per poter continuare a vivere, o meglio a sopravvivere. Ma il rischio c'e' e l'attacco al cuore dell'Europa mi sembra feroce e irresponsabile. Mi fa piacere che questo stato di cose sia stato evidenziato non da forze dell'opposizione 'eversive', bensi' da una folta e autorevole rappresentanza di quel mondo economico ed accademico che non possiede, per storia e per cultura, rigidita' ideologiche. Soffermiamoci insieme sulle motivazioni e sulle responsabilita' degli errori che sono stati commessi in politica economica e fermiamoci prima che sia troppo tardi. Ma impariamo a dirci la verita'. Io - conclude Vendola - seguiro' questa mobilitazione con grande attenzione e partecipazione''.

CRISI: FASSINA "INTERESSANTE DOCUMENTO ECONOMISTI" ROMA (ITALPRESS) "La riflessione e le proposte sull'attuale crisi economica presentate oggi da tanti importanti economisti italiani è utile e di grande interesse". Lo afferma in una nota Stefano Fassina, della segreteria del Pd, responsabile Economia e Lavoro.
"Abbiamo urgente bisogno di dare spazio nel dibattito politico a paradigmi di cultura economica alternativi a quelli egemoni nell'ultimo quarto di secolo. Questi, nonostante siano stati a fondamento delle politiche economiche responsabili della crisi, continuano ad ispirare insostenibili exit strategy. Il Partito democratico - conclude - è interessato a discutere il documento presentato questa mattina e inviterà i firmatari ad un incontro nei prossimi giorni".
(ITALPRESS, 15 giugno).

Attenti, l'euro scoppia sotto i colpi del rigore

di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo
Il Sole - 24 Ore, 16 giugno 2010
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Il governo dichiara che i cosiddetti “sacrifici” si rendono necessari per risanare i conti pubblici, tranquillizzare i mercati e salvaguardare l’euro. Nel dibattito politico questa giustificazione viene data quasi per scontata. Ma sarà vera? Oltre 100 economisti sostengono di no, e in una Lettera destinata al Parlamento e alle autorità di politica economica denunciano che le politiche restrittive approntate dai governi italiano ed europei rischiano di produrre effetti opposti a quelli dichiarati (http://www.letteradeglieconomisti.it/).
La Lettera degli economisti mette in luce un paradosso: le politiche economiche europee per la prima volta si muovono in concerto, ma lo fanno nella direzione sbagliata. In perniciosa sincronia i paesi europei realizzano delle tremende strette di bilancio in una fase storica in cui una rinnovata ripresa americana appare improbabile e non sembrano esservi altre locomotive esterne all’Unione monetaria. In un simile scenario è lecito temere che le restrizioni operate dai governi europei determineranno una ulteriore caduta dell’occupazione, un aumento della mortalità delle imprese e quindi un nuovo capitombolo dei redditi, delle entrate fiscali e dei ricavi imprenditoriali. Una ricaduta nella crisi agirebbe poi in modi diversi sulle strutture produttive dei vari paesi. Soprattutto nelle aree periferiche dell’Unione la disoccupazione e le bancarotte potrebbero crescere ai ritmi tipici di una deflazione da debiti. Di questo passo, alcuni paesi in difficoltà potrebbero a un certo punto esser sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero scegliere deliberatamente di abbandonare la moneta unica per cercare di sottrarsi alla spirale recessiva nella quale l’Europa si è infilata. Lo sganciamento dall’euro implicherebbe pure una svalutazione in termini di valuta estera dei titoli privati e pubblici dei paesi fuoriusciti. L’eventualità che ciò possa verificarsi rappresenta la molla principale della speculazione, molto più che gli andamenti dei meri rapporti tra debito pubblico e Pil. Dunque, benché vengano presentate come manovre per la salvaguardia dell’unità europea, le politiche restrittive potrebbero in realtà condurre a una vera e propria deflagrazione della zona euro. Esiste un modo per scongiurare tale pericolo? La Lettera indica in primo luogo una serie di interventi contro la speculazione, che siano più incisivi di quelli sui quali attualmente si discute e che diano tempo alle istituzioni democratiche di rivedere gli errori commessi e di ripensare la strategia di politica economica. Bisognerebbe quindi affrontare gli squilibri interni all’Unione alimentati soprattutto dalle politiche deflazioniste della Germania, che da tempo si colloca in sistematico avanzo commerciale rispetto agli altri paesi membri. Inoltre, i firmatari della Lettera ritengono necessario che l’Europa costruisca al proprio interno un autonomo motore di sviluppo, fondato sulla produzione pubblica di quei beni collettivi che tipicamente sfuggono alla logica dell’impresa privata e che generano fallimenti del mercato.
La Lettera suggerisce una via d’uscita dalla crisi che chiaramente confligge con la linea di politica restrittiva imposta soprattutto dalle autorità tedesche. Le soluzioni avanzate tuttavia non sono estranee ai lavori preparatori dei Trattati europei, ed appaiono effettivamente in grado di scongiurare il rischio di una crisi dell’Unione monetaria. Criticare nel merito le proposte contenute nella Lettera degli economisti sarebbe apprezzabile ai fini dell’avvio di un dibattito. Ancor di più lo sarebbe il riconoscimento, almeno da parte del governo italiano, che le politiche restrittive accrescono il pericolo di implosione della zona euro.

Lettera degli economisti

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LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI,
ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO’ CONDURRE ALLA
DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA
SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE
UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E DELL’OCCUPAZIONE
.
Ai membri del Governo e del Parlamento
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell’Unione europea
Ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali
E per opportuna conoscenza al Presidente della Repubblica




La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolveranno attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all’istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli.

Piuttosto, si corre il serio pericolo che l’attuazione in Italia e in Europa delle cosiddette “politiche dei sacrifici” accentui ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese, e possa a un certo punto costringere alcuni Paesi membri a uscire dalla Unione monetaria europea.

Il punto fondamentale da comprendere è che l’attuale instabilità della Unione monetaria non rappresenta il mero frutto di trucchi contabili o di spese facili. Essa in realtà costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione e dall’orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l’estero.

***

La crisi mondiale esplosa nel 2007-2008 è tuttora in corso. Non essendo intervenuti sulle sue cause strutturali, da essa non siamo di fatto mai usciti. Come è stato riconosciuto da più parti, questa crisi vede tra le sue principali spiegazioni un allargamento del divario mondiale tra una crescente produttività del lavoro e una stagnante o addirittura declinante capacità di consumo degli stessi lavoratori. Per lungo tempo questo divario è stato compensato da una eccezionale crescita speculativa dei valori finanziari e dell’indebitamento privato che, partendo dagli Stati Uniti, ha agito da stimolo per la domanda globale.

Vi è chi oggi confida in un rilancio della crescita mondiale basato su un nuovo boom della finanza statunitense. Scaricando sui bilanci pubblici un enorme cumulo di debiti privati inesigibili si spera di dare nuovo impulso alla finanza e al connesso meccanismo di accumulazione. Noi riteniamo che su queste basi una credibile ripresa mondiale sia molto difficilmente realizzabile, e in ogni caso essa risulterebbe fragile e di corto respiro. Al tempo stesso consideriamo illusorio auspicare che in assenza di una profonda riforma del sistema monetario internazionale la Cina si disponga a trainare la domanda globale, rinunciando ai suoi attivi commerciali e all’accumulo di riserve valutarie.

Siamo insomma di fronte alla drammatica realtà di un sistema economico mondiale senza una fonte primaria di domanda, senza una “spugna” in grado di assorbire la produzione.

L’irrisolta crisi globale è particolarmente avvertita nella Unione monetaria europea. La manifesta fragilità della zona euro deriva da profondi squilibri strutturali interni, la cui causa principale risiede nell’impianto di politica economica liberista del Trattato di Maastricht, nella pretesa di affidare ai soli meccanismi di mercato i riequilibri tra le varie aree dell’Unione, e nella politica economica restrittiva e deflazionista dei paesi in sistematico avanzo commerciale. Tra questi assume particolare rilievo la Germania, da tempo orientata al contenimento dei salari in rapporto alla produttività, della domanda e delle importazioni, e alla penetrazione nei mercati esteri al fine di accrescere le quote di mercato delle imprese tedesche in Europa. Attraverso tali politiche i paesi in sistematico avanzo non contribuiscono allo sviluppo dell’area euro ma paradossalmente si muovono al traino dei paesi più deboli. La Germania, in particolare, accumula consistenti avanzi commerciali verso l’estero, mentre la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Francia tendono a indebitarsi. Persino l’Italia, nonostante una crescita modestissima del reddito nazionale, si ritrova ad acquistare dalla Germania più di quanto vende, accumulando per questa via debiti crescenti.

La piena mobilità dei capitali nell’area euro ha favorito enormemente il formarsi degli squilibri nei rapporti di credito e debito tra paesi. Per lungo tempo, sulla base della ipotesi di efficienza dei mercati, si è ritenuto che la crescita dei rapporti di indebitamento tra i paesi membri dovesse esser considerata il riflesso positivo di una maggiore integrazione finanziaria dell’area euro. Ma oggi è del tutto evidente che la presunta efficienza dei mercati finanziari non trova riscontro nei fatti e che gli squilibri accumulati risultano insostenibili.

Sono queste le ragioni di fondo per cui gli operatori sui mercati finanziari stanno scommettendo sulla deflagrazione della zona euro. Essi prevedono che per il prolungarsi della crisi le entrate fiscali degli Stati declineranno e i ricavi di moltissime imprese e banche si ridurranno ulteriormente. Per questa via, risulterà sempre più difficile garantire il rimborso dei debiti, sia pubblici che privati. Diversi paesi potrebbero quindi esser progressivamente sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero decidere di sganciarsi da essa per cercare di sottrarsi alla spirale deflazionista. Il rischio di insolvenza generalizzata e di riconversione in valuta nazionale dei debiti rappresenta pertanto la vera scommessa che muove l’azione degli speculatori. L’agitazione dei mercati finanziari verte dunque su una serie di contraddizioni reali. Tuttavia, è altrettanto vero che le aspettative degli speculatori alimentano ulteriormente la sfiducia e tendono quindi ad auto-realizzarsi. Infatti, le operazioni ribassiste sui mercati spingono verso l’alto il differenziale tra i tassi dcinteresse e i tassi di crescita dei redditi, e possono rendere improvvisamente insolventi dei debitori che precedentemente risultavano in grado di rimborsare i prestiti. Gli operatori finanziari, che spesso agiscono in condizioni non concorrenziali e tutt’altro che simmetriche sul piano della informazione e del potere di mercato, riescono quindi non solo a prevedere il futuro ma contribuiscono a determinarlo, secondo uno schema che nulla ha a che vedere con i cosiddetti ‘fondamentali’ della teoria economica ortodossa e i presunti criteri di efficienza descritti dalle sue versioni elementari.

***

In un simile scenario riteniamo sia vano sperare di contrastare la speculazione tramite meri accordi di prestito in cambio dell’approvazione di politiche restrittive da parte dei paesi indebitati. I prestiti infatti si limitano a rinviare i problemi senza risolverli. E le politiche di “austerità” abbattono ulteriormente la domanda, deprimono i redditi e quindi deteriorano ulteriormente la capacità di rimborso dei prestiti da parte dei debitori, pubblici e privati. La stessa, pur significativa svolta di politica monetaria della BCE, che si dichiara pronta ad acquistare titoli pubblici sul mercato secondario, appare ridimensionata dall’annuncio di voler “sterilizzare” tali operazioni attraverso manovre di segno contrario sulle valute o all’interno del sistema bancario.

Gli errori commessi sono indubbiamente ascrivibili alle ricette liberiste e recessive suggerite da economisti legati a schemi di analisi in voga in anni passati, ma che non sembrano affatto in grado di cogliere gli aspetti salienti del funzionamento del capitalismo contemporaneo.

E’ bene tuttavia chiarire che l’ostinazione con la quale si perseguono le politiche depressive non è semplicemente il frutto di fraintendimenti generati da modelli economici la cui coerenza logica e rilevanza empirica è stata messa ormai fortemente in discussione nell’ambito della stessa comunità accademica. La preferenza per la cosiddetta “austerità” rappresenta anche e soprattutto l’espressione di interessi sociali consolidati. Vi è infatti chi vede nell’attuale crisi una occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale, di frammentazione del lavoro e di ristrutturazione e centralizzazione dei capitali in Europa. L’idea di fondo è che i capitali che usciranno vincenti dalla crisi potranno rilanciare l’accumulazione sfruttando tra l’altro una minor concorrenza sui mercati e un ulteriore indebolimento del lavoro.

Occorre comprendere che se si insiste nell’assecondare questi interessi non soltanto si agisce contro i lavoratori, ma si creano anche i presupposti per una incontrollata centralizzazione dei capitali, per una desertificazione produttiva del Mezzogiorno e di intere macroregioni europee, per processi migratori sempre più difficili da gestire, e in ultima istanza per una gigantesca deflazione da debiti, paragonabile a quella degli anni Trenta.

***

Il Governo italiano ha finora attuato una politica tesa ad agevolare questo pericoloso avvitamento deflazionistico. E le annunciate, ulteriori strette di bilancio, associate alla insistente tendenza alla riduzione delle tutele del lavoro, non potranno che provocare altre cadute del reddito, dopo quella pesantissima già fatta registrare dall’Italia nel 2009. Si tenga ben presente che sono altamente discutibili i presupposti scientifici in base ai quali si ritiene che attraverso simili politiche si migliora la situazione economica e di bilancio e quindi ci si salvaguarda da un attacco speculativo. Piuttosto, per questa via si rischia di alimentare la crisi, le insolvenze e quindi la speculazione.

Nemmeno si può dire che dalle opposizioni sia finora emerso un chiaro programma di politica economica alternativa. Una maggior consapevolezza della gravità della crisi e degli errori del passato va diffondendosi, ma si sono levate voci da alcuni settori dell’opposizione che suggeriscono prese di posizione contraddittorie e persino deteriori, come è il caso delle proposte tese a introdurre ulteriori contratti di lavoro precari o ad attuare massicci programmi di privatizzazione dei servizi pubblici. Gli stessi, frequenti richiami alle cosiddette “riforme strutturali” risultano controproducenti laddove, anzichè caratterizzarsi per misure tese effettivamente a contrastare gli sprechi e i privilegi di pochi, si traducono in ulteriori proposte di ridimensionamento dei diritti sociali e del lavoro.

Quale monito per il futuro, è opportuno ricordare che nel 1992 l’Italia fu sottoposta a un attacco speculativo simile a quelli attualmente in corso in Europa. All’epoca, i lavoratori italiani accettarono un gravoso programma di “austerità”, fondato soprattutto sulla compressione del costo del lavoro e della spesa previdenziale. All’epoca, come oggi, si disse che i sacrifici erano necessari per difendere la lira e l’economia nazionale dalla speculazione. Tuttavia, poco tempo dopo l’accettazione di quel programma, i titoli denominati in valuta nazionale subirono nuovi attacchi. Alla fine l’Italia uscì comunque dal Sistema Monetario Europeo e la lira subì una pesante svalutazione. I lavoratori e gran parte della collettività pagarono così due volte: a causa della politica di “austerità” e a causa dell’aumento del costo delle merci importate.

Va anche ricordato che, con la prevalente giustificazione di abbattere il debito pubblico in rapporto al Pil, negli anni passati è stato attuato nel nostro paese un massiccio programma di privatizzazioni. Ebbene, i peraltro modesti effetti sul debito pubblico di quel programma sono in larghissima misura svaniti a seguito della crisi, e le implicazioni in termini di posizionamento del Paese nella divisione internazionale del lavoro, di sviluppo economico e di benessere sociale sono oggi considerati dalla piu autorevole letteratura scientifica altamente discutibili.

***

Noi riteniamo dunque che le linee di indirizzo finora poste in essere debbano essere abbandonate, prima che sia troppo tardi.

Occorre prendere in considerazione l’eventualità che per lungo tempo non sussisterà una locomotiva in grado di assicurare una ripresa forte e stabile del commercio e dello sviluppo mondiale. Per evitare un aggravamento della crisi e per scongiurare la fine del progetto di unificazione europea è allora necessaria una nuova visione e una svolta negli indirizzi generali di politica economica. Occorre cioè che l’Europa intraprenda un autonomo sentiero di sviluppo delle forze produttive, di crescita del benessere, di salvaguardia dell’ambiente e del territorio, di equità sociale.

Affinchè una svolta di tale portata possa concretamente svilupparsi, è necessario in primo luogo dare respiro al processo democratico, è necessario cioè disporre di tempo. Ecco perchè in via preliminare proponiamo di introdurre immediatamente un argine alla speculazione. A questo scopo sono in corso iniziative sia nazionali che coordinate a livello europeo, ma i provvedimenti che si stanno ponendo in essere appaiono ancora deboli e insufficienti. Fermare la speculazione è senz’altro possibile, ma occorre sgombrare il campo dalle incertezze e dalle ambiguità politiche. Bisogna quindi che la BCE si impegni pienamente ad acquistare i titoli sotto attacco, rinunciando a “sterilizzare” i suoi interventi. Occorre anche istituire adeguate imposte finalizzate a disincentivare le transazioni finanziarie a breve termine ed efficaci controlli amministrativi sui movimenti di capitale. Se non vi fossero le condizioni per operare in concerto, sarà molto meglio intervenire subito in questa direzione a livello nazionale, con gli strumenti disponibili, piuttosto che muoversi in ritardo o non agire affatto.

L’esperienza storica insegna che per contrastare efficacemente la deflazione bisogna imporre un pavimento al tracollo del monte salari, tramite un rafforzamento dei contratti nazionali, minimi salariali, vincoli ai licenziamenti e nuove norme generali a tutela del lavoro e dei processi di sindacalizzazione. Soprattutto nella fase attuale, pensare di affidare il processo di distruzione e di creazione dei posti di lavoro alle sole forze del mercato è analiticamente privo di senso, oltre che politicamente irresponsabile.

In coordinamento con la politica monetaria, occorre sollecitare i Paesi in avanzo commerciale, in particolare la Germania, ad attuare opportune manovre di espansione della domanda al fine di avviare un processo di riequilibrio virtuoso e non deflazionistico dei conti con l’estero dei Paesi membri dell’Unione monetaria europea. I principali Paesi in avanzo commerciale hanno una enorme responsabilità, al riguardo. Il salvataggio o la distruzione della Unione dipenderà in larga misura dalle loro decisioni.

Bisogna istituire un sistema di fiscalità progressiva coordinato a livello europeo, che contribuisca a invertire la tendenza alla sperequazione sociale e territoriale che ha contribuito a scatenare la crisi. Occorre uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai contribuenti con ritenuta alla fonte agli evasori, dalle aree povere alle aree ricche dell’Unione.

Bisogna ampliare significativamente il bilancio federale dell’Unione e rendere possibile la emissione di titoli pubblici europei. Si deve puntare a coordinare la politica fiscale e la politica monetaria europea al fine di predisporre un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale non solo delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive in Europa. Il piano deve seguire una logica diversa da quella, spesso inefficiente e assistenziale, che ha governato i fondi europei di sviluppo. Esso deve fondarsi in primo luogo sulla produzione pubblica di beni collettivi, dal finanziamento delle infrastrutture pubbliche di ricerca per contrastare i monopoli della proprietà intellettuale, alla salvaguardia dell’ambiente, alla pianificazione del territorio, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone. Sono beni, questi, che inesorabilmente generano fallimenti del mercato, sfuggono alla logica ristretta della impresa capitalistica privata, ma al contempo risultano indispensabili per lo sviluppo delle forze produttive, per l’equità sociale, per il progresso civile.

Si deve disciplinare e restringere l’accesso del piccolo risparmio e delle risorse previdenziali dei lavoratori al mercato finanziario. Si deve ripristinare il principio di separazione tra banche di credito ordinario, che prestano a breve, e società finanziarie che operano sul medio-lungo termine.

Contro eventuali strategie di dumping e di “esportazione della recessione” da parte di paesi extra-Ume, bisogna contemplare un sistema di apertura condizionata dei mercati, dei capitali e delle merci. L’apertura può essere piena solo se si attuano politiche convergenti di miglioramento degli standard del lavoro e dei salari, e politiche di sviluppo coordinate.

***

Siamo ben consapevoli della distanza che sussiste tra le nostre indicazioni e l’attuale, tremenda involuzione del quadro di politica economica europea.
Siamo tuttavia del parere che gli odierni indirizzi di politica economica potrebbero rivelarsi presto insostenibili.

Se non vi saranno le condizioni politiche per l’attuazione di un piano di sviluppo fondato sugli obiettivi delineati, il rischio che si scateni una deflazione da debiti e una conseguente deflagrazione della zona euro sarà altissimo. Il motivo è che diversi Paesi potrebbero cadere in una spirale perversa, fatta di miopi politiche nazionali di ”austerità” e di conseguenti pressioni speculative. A un certo punto tali Paesi potrebbero esser forzatamente sospinti al di fuori della Unione monetaria o potrebbero scegliere deliberatamente di sganciarsi da essa per cercare di realizzare autonome politiche economiche di difesa dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione. Se così davvero andasse, è bene chiarire che non necessariamente su di essi ricadrebbero le colpe principali del tracollo della unità europea.

***

Simili eventualità ci fanno ritenere che non vi siano più le condizioni per rivitalizzare lo spirito europeo richiamandosi ai soli valori ideali comuni. La verità è che è in atto il più violento e decisivo attacco all’Europa come soggetto politico e agli ultimi bastioni dello Stato sociale in Europa. Ora più che mai, dunque, l’europeismo per sopravvivere e rilanciarsi dovrebbe caricarsi di senso, di concrete opportunità di sviluppo coordinato, economico, sociale e civile.

Per questo, occorre immediatamente aprire un ampio e franco dibattito sulle motivazioni e sulle responsabilità dei gravissimi errori di politica economica che si stanno compiendo, sui conseguenti rischi di un aggravamento della crisi e di una deflagrazione della zona euro e sulla urgenza di una svolta di politica economica europea.

Qualora le opportune pressioni che il Governo e i rappresentanti italiani delle istituzioni dovranno esercitare in Europa non sortissero effetti, la crisi della zona euro tenderà a intensificarsi e le forze politiche e le autorità del nostro Paese potrebbero esser chiamate a compiere scelte di politica economica tali da restituire all’Italia un’autonoma prospettiva di sostegno dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione.



Promotori dell’iniziativa sono Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio) e Antonella Stirati (Università Roma Tre).

Adesioni: Nicola Acocella (Università di Roma ‘La Sapienza’), Roberto Artoni (Università Bocconi), Aldo Barba (Università di Napoli ‘Federico II’), Enrico Bellino (Università Cattolica di Milano), Sergio Beraldo (Università di Napoli ‘Federico II’), Paola Bertolini (Università di Modena e Reggio Emilia), Mario Biagioli (Università di Parma), Salvatore Biasco (Università di Roma ‘La Sapienza’), Adriano Birolo (Università di Padova), Giovanni Bonifati (Università di Modena e Reggio Emilia), Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Paolo Bosi (Università di Modena e Reggio Emilia), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Katia Caldari (Università di Padova), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope di Napoli), Francesco Carlucci (Università di Roma ‘La Sapienza’), Maurizio Caserta (Università di Catania), Duccio Cavalieri (Università di Firenze), Sergio Cesaratto (Università di Siena), Laura Chies (Università di Trieste), Guglielmo Chiodi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Giorgio Colacchio (Università del Salento), Lilia Costabile (Università di Napoli ‘Federico II’), Francesco Crespi (Università Roma Tre), Carlo Devillanova (Università Bocconi), Carmela D’Apice (Università Roma Tre), Marcello De Cecco (Scuola Normale Superiore di Pisa), Pasquale De Muro (Università Roma Tre), Elina De Simone (Università Orientale di Napoli), Giancarlo De Vivo (Università di Napoli ‘Federico II’), Davide Di Laurea (ISTAT), Amedeo Di Maio (Università Orientale di Napoli), Antonio Di Majo (Università Roma Tre), Fernando Di Nicola (ISAE), Giuseppe Di Vita (Università di Catania), Leonardo Ditta (Università di Perugia), Sebastiano Fadda (Università Roma Tre), Riccardo Faucci (Università di Pisa), Alberto Feduzi (Università Roma Tre), Stefano Figuera (Università di Catania), Massimo Florio (Università di Milano), Giuseppe Fontana (Università del Sannio), Guglielmo Forges Davanzati (Università del Salento), Saverio Fratini (Università Roma Tre), Lia Fubini (Università di Torino), Stefania Gabriele (ISAE), Pierangelo Garegnani (Università Roma Tre), Adriano Giannola (Università di Napoli 'Federico II'), Andrea Ginzburg (Università di Modena e Reggio Emilia), Enrico Giovannetti (Università di Modena e Reggio Emilia), Claudio Gnesutta (Università di Roma ‘La Sapienza’), Augusto Graziani (Università di Roma ‘La Sapienza’), Andrea Imperia (Università di Roma ‘La Sapienza’), Bruno Jossa (Università di Napoli ‘Federico II’), Paolo Leon (Università Roma Tre), Sergio Levrero (Università Roma Tre), Paolo Liberati (Università Roma Tre), Stefano Lucarelli (Università di Bergamo), Giorgio Lunghini (Università di Pavia), Vincenzo Maffeo (Università di Roma ‘La Sapienza’), Ugo Marani (Università di Napoli ‘Federico II’), Maria Cristina Marcuzzo (Università di Roma ‘La Sapienza’), Ferruccio Marzano (Università di Roma ‘La Sapienza’), Fabio Masini (Università Roma Tre), Giovanni Mazzetti (Università della Calabria), Luca Michelini (Università LUM), Salvatore Monni (Università Roma Tre), Mario Morroni (Università di Pisa), Marco Musella (Università di Napoli ‘Federico II’), Oreste Napolitano (Università di Napoli ‘Parthenope’), Sebastiano Nerozzi (Università Cattolica di Milano), Mario Nuti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Guido Ortona (Università del Piemonte Orientale), Ugo Pagano (Università di Siena), Daniela Palma (ENEA), Antonella Palumbo (Università Roma Tre), Sergio Parrinello (Università di Roma ‘La Sapienza’), Marco Passarella (Università di Bergamo), Rosario Patalano (Università di Napoli ‘Federico II’), Stefano Perri (Università di Macerata), Cosimo Perrotta (Università del Salento), Fabio Petri (Università di Siena), Antonella Picchio (Università di Modena e Reggio Emilia), Marco Piccioni (Università di Napoli ‘Federico II’), Federico Pirro (Università di Bari), Massimo Pivetti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Felice Roberto Pizzuti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Elena Podrecca (Università di Trieste), Paolo Ramazzotti (Università di Macerata), Fabio Ravagnani (Università di Roma ‘La Sapienza’), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Angelo Reati (ISEG), Sergio Rossi (Università di Friburgo), Francesco Scacciati (Università di Torino), Giovanni Scarano (Università Roma Tre), Roberto Schiattarella (Università di Camerino), Ernesto Screpanti (Università di Siena), Annamaria Simonazzi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Riccardo Soliani (Università di Genova), Luca Spinesi (Università di Macerata), Antonella Stirati (Università Roma Tre), Francesca Stroffolini (Università di Napoli ‘Federico II’), Stefano Sylos Labini (ENEA), Valeria Termini (Università Roma Tre), Mario Tiberi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Guido Tortorella Esposito (Università del Sannio), Paolo Trabucchi (Università Roma Tre), Attilio Trezzini (Università Roma Tre), Pasquale Tridico (Università Roma Tre), Domenica Tropeano (Università di Macerata), Vittorio Valli (Università di Torino), Michelangelo Vasta (Università di Siena), Alessandro Vercelli (Università di Siena), Carmen Vita (Università del Sannio), Adelino Zanini (Politecnica delle Marche), Gennaro Zezza (Università di Cassino).

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