Il governo e la sinistra dubitante

Sinistra, i critici del passaggio extraelettorale da Cofferati al manifesto
di Marianna Rizzini
Il Foglio, 16 novembre 2011

C'è chi stappa champagne e chi si chiede, a sinistra, che cosa significhi, per la sinistra, il passaggio extralettorale per il governo Monti. Al di là della rispettabilità di Mario Monti, infatti, qualche problema si pone a livello di identità, indipendenza e carattere di alternativa (specie per il Pd). Sergio Cofferati, eurodeputato pd, ex segretario Cgil ed ex sindaco di Bologna che all'inizio degli anni Duemila riempiva le piazze, si è posto un paio di domande, e il Piccolo di Trieste, il 12 novembre, ha riportato la sua presa di distanza da Pier Luigi Bersani (“meglio andare subito al voto”diceva Cofferati, “l'Europa sta condizionando la politica europea in modo marcato”). Oggi Cofferati, pur premettendo di voler “sospendere il giudizio sul governo ormai nascente, da valutare nella sua composizione e nelle sue priorità, che sono gli elementi su cui si giocherà la tenuta della coalizione e i rapporti tra partiti”, dice al Foglio di “non comprendere per quale motivo non si sia scelto un percorso analogo a quello della Spagna e della Grecia, se non del Portogallo, che è andato al voto subito. Quella del governo “a scadenza” alla spagnola poteva essere la strada che rispondeva alle emergenze e nel contempo consentiva alle forze politiche di organizzarsi per elezioni con esito stabilizzante. Compito della politica è prevedere scenari possibili, non trovarsi anche lei nell'emergenza. Dopodiché si può scegliere una strada o l'altra, ma con la consapevolezza di dove portano l'una e l'altra”. Vede “una forte contraddizione”, Cofferati: “Un governo così congegnato avrà, cammin facendo, il problema di far convergere un fronte molto eterogeneo sulle cose che proporrà. Da un certo punto in avanti tra l'altro, le forze politiche che sostengono Monti dovranno fare scelte per il loro programma elettorale. La difficoltà di oggi – trovare un baricentro – sarà molto più consistente tra sei-otto mesi, e prima ancora si porrà il problema del referendum elettorale. E' tutto in salita”. A sinistra del Pd, nell'area del quotidiano il manifesto, è “no” convinto alla soluzione Monti: ieri Alberto Burgio, docente di Storia della filosofia a Bologna ed ex deputato prc, si chiedeva “e la democrazia?” e parlava di “dispotismo illuminato”, tre giorni fa Ida Dominijanni elencava i danni “collaterali” e scriveva: “Il passaggio-Monti serve a ratificare quel ruolo ancillare del Pd rispetto a un equilibrio centrista garante dei poteri forti...”. Sul giornale del sindacato Usb (il Foglietto), poi, Adriana Spera scriveva “non è una vittoria, non ha vinto la democrazia... per pervenire il malcontento sono scesi in campo i maggiori gruppi editoriali per convincere della necessità di un governo tecnico...”. L'inquietudine anti soluzione tecnica si leva, a sinistra, anche dell'Università del Sannio, serbatoio di scienza economica. Dice Emiliano Brancaccio, docente di economia politica, che “la vera sospensione della democrazia verte sul fatto che ancora nessuno, a destra come a sinistra, si assume la responsibilità di affermare che l'Unione monetaria europea è un vestito fatto su misura per la Germania, un vestito che per tutti i paesi del Mediterraneo si trasforma in una letale camicia di forza che ci porta diritti in recessione. Anche una campagna elettorale fondata sull'idea provinciale dell'infallibilità della lettera Bce sarebbe una sospensione della democrazia, e aggiungerei delle intelligenze”. “Molto preoccupato” si dice Riccardo Realfonzo, docente di Economia della stessa Università del Sannio e assessore al Bilancio nella giunta napoletana di Luigi De Magistris: “Un governo che si facesse interprete pedissequo del dettato della Bce causerebbe un danno al paese, accentuando il profilo della crisi. Dal Punto di vista politico, poi, credo che la strada democratica fosse quella di tornare agli elettori. Ma mi pare chiaro che i partiti non vedono con favore questa soluzione e preferiscono chiedere a un governo tecnico di prendere misure impopolari. Mi preoccupa molto che un'istituzione non eletta, la Bce, detti le linee di politica economica che il governo dovrà poi applicare nel nostro paese. Più in generale, assistiamo in Europa a un problema di democrazia che riguarda gli interventi della Bce e della Commissione europea. Quanto agli effetti di politica economica, sono stato promotore, l'estate scorsa, di un documento che ha raccolto oltre 250 firme di economisti in tutto il mondo contro le politiche di austerità in Europa. I fatti ci hanno dato ragione e ora stiamo elaborando un nuovo documento. Il nuovo governo dovrebbe farsi promotore in Europa di una riflessione sull'inadeguatezza delle istituzioni europee concepite dal trattato di Maastricht, pena il rischio di deflagrazione nella zona euro”. Luigi Zingales, docente di Economia all'Università di Chicago e, in area Pd, presenza di punta alla Leopolda di Matteo Renzi, ha scritto sul Sole 24 Ore un pezzo intitolato “per Monti mandato da curatore fallimentare”. Oggi Zingales, pur ribadendo che “non ci si poteva permettere una campagna elettorale”, dice al Foglio “che il governo Monti non deve avere intenzioni politiche, non deve essere una manovra per creare un nuovo centro politico. Altrimenti sì che sarebbe una cosa da prima Repubblica. Sarebbe bello che Monti si esprimesse per fugare i dubbi”.

Le nomine nelle partecipate e la "rivoluzione" partenopea

La nomina di Diana è un tassello della “rivoluzione”
di Riccardo Realfonzo*
Il Corriere del Mezzogiorno, 8 novembre 2011

Caro Direttore,

prendo spunto dai recenti articoli sul Centro Agro Alimentare di Napoli (Caan), e sui compensi del nuovo presidente, per chiarire alcuni aspetti relativi al riassetto del sistema delle società partecipate del Comune. È un tema di grande rilievo, considerato che queste società erogano i servizi pubblici fondamentali in città, dal trasporto su ferro a quello su gomma, dalla gestione del servizio idrico alla raccolta dei rifiuti.
Per cominciare, vorrei sbarazzarmi della questione sui cui indugiano gli articoli del Corriere, affermando che il nuovo presidente del Caan, Lorenzo Diana, avrebbe un compenso maggiorato rispetto al predecessore. Le cose non stanno precisamente così. Infatti, il precedente presidente aveva un compenso di 41mila e 500 euro più un gettone (230 euro) per ogni riunione del cda. Ebbene, come si evince dagli atti assembleari, questa formulazione comportava il rischio di un compenso eccessivo, anche superiore al limite stabilito dalla legge (il 60% del compenso del sindaco). Perciò abbiamo agganciato il compenso del presidente al compenso del sindaco - portandolo a circa 50mila euro lordi annui onnicomprensivi - azzerando la parte variabile. Per di più, l’applicazione stringente della normativa ha determinato un taglio agli emolumenti degli altri membri del cda, con un risparmio netto per la società. I problemi reali del Caan sono dunque altri e molto seri: l’entità delle perdite e la posizione debitoria, la necessità di un nuovo piano industriale, i fenomeni di abusivismo e irregolarità. Ed è per queste ultime ragioni che abbiamo pensato di chiedere l’impegno di Diana - accanto ad alcune figure manageriali - notoriamente distintosi nella lotta all’illegalità.
Il caso del Caan offre lo spunto per chiarire l’impostazione che la giunta de Magistris sta portando avanti sulle partecipate. Il nostro primo obiettivo è quello di smantellare il sistema clientelare che negli anni si è appropriato – invero non senza eccezioni – delle società partecipate del Comune, trasformandole in macchine per il consenso. Insomma, si tratta di “scassare la casta” ed azzerare i costi della politica a carico delle società, anche riducendo drasticamente il numero dei consiglieri di amministrazione. Ed è per questo che si è reso necessario sostituire i precedenti rappresentanti del Comune nei cda con figure qualificate e soprattutto indipendenti, alle quali chiediamo di rispondere esclusivamente alla logica dell’interesse pubblico. Tutto ciò rappresenta condizione necessaria per attivare i processi di efficientamento dei servizi pubblici locali.
Ma non è certo finita qui. Occorre infatti procedere con il piano di riassetto generale delle partecipate. Ed anche su questo punto credo di poter dire che in pochi mesi abbiamo già macinato molta strada. In primo luogo, con la delibera del 30 giugno scorso abbiamo drasticamente tagliato, in qualche caso azzerato, i costi della politica a carico delle partecipate: dalle auto blu alle sponsorizzazioni, dalle missioni agli incarichi e consulenze. Ancora, abbiamo rafforzato i controlli sulle partecipate, anche per quel che riguarda le assunzioni, e stabilito il principio per cui eventuali carenze di manodopera vanno in primo luogo soddisfatte mediante il ricorso alle altre partecipate. In secondo luogo, abbiamo avviato il processo di fusione tra le tre società che si occupano di mobilità (Metronapoli, Anm e Napolipark) e che porterà alla creazione del principale operatore del settore nel Mezzogiorno. Stiamo procedendo con la messa in liquidazione di alcune società (Napoli Orientale, Consorzio San Giovanni, Nausicaa) e stiamo anche valutando l’opportunità, in questa fase congiunturale, di procedere con alcune dismissioni. Inoltre, abbiamo avviato la trasformazione della spa che si occupa di servizi idrico integrato – l’Arin – in una azienda speciale, dando avvio alla prima ripubblicizzazione dell’acqua in Italia nello spirito del referendum di giugno. Tutto ciò per non parlare di una ulteriore serie di interventi specifici che pure abbiamo operato, finalizzati a ripristinare un quadro di regole ancorato alla legalità, ad esempio sul tema della formazione di debiti fuori bilancio.
Il quadro delle azioni che già abbiamo intrapreso dovrebbe comportare risparmi non inferiori ai dieci milioni di euro per il Comune e le sue partecipate, oltre a un recupero complessivo di efficienza. A tutto ciò aggiungo che stiamo approntando una serie di operazioni, anche innovative dal punto di vista degli assetti societari e delle tecniche finanziarie, che ci permetteranno nel corso del 2012 di alleggerire la posizione debitoria delle società partecipate nel loro insieme e di velocizzare i pagamenti, a tutto vantaggio dell’economia locale. E per tutte queste ragioni abbiamo bisogno di figure di tecnici qualificati che sappiano operare ad altissimo livello nelle società. Ed è qui che dobbiamo fare i conti con quelli che sono gli emolumenti di mercato, soprattutto per le figure degli amministratori unici, anche se certo non possiamo né vogliamo sfiorare i livelli delle remunerazioni cui pure si è giunti a Milano o a Roma, dove si superano per i presidenti e gli amministratori delegati di alcune partecipate comunali i 300mila euro.
La rivoluzione che vogliamo compiere nelle partecipate, caro Direttore, trova nella crisi economica dilagante e nei forti tagli dei trasferimenti praticati dal governo ulteriori gravissimi ostacoli. Come lei sa, la nostra linea è improntata al rigore nel pubblico per la difesa del pubblico. Vedremo se, nonostante il quadro congiunturale avverso e la pesante eredità del passato, avremo la meglio.

*Assessore al bilancio e alle società partecipate del Comune di Napoli