In attesa del Piano per il Sud
di Riccardo Realfonzo
Il Rapporto Svimez,
presentato alla presenza del Presidente Conte e del ministro Provenzano, parla
chiaro: il 2019 si chiuderà con il Sud in recessione (-0,2 per cento) e con un
valore della produzione di oltre dieci punti inferiore al valore pre-crisi del
2008. Non a caso il Mezzogiorno, con gli innumerevoli tavoli di crisi aperti,
dalla Whirlpool di Napoli all’Ilva di Taranto, è una delle macroregioni più in
difficoltà dell’intera Europa. Il Centro-Nord se la passa meglio ma non bene,
considerato che la crescita supererà di poco lo zero nel 2019 e la produzione resterà
ancora inferiore ai livelli del 2008.
Il dualismo crescente e
la bassa crescita sono quindi i tratti distintivi dell’economia italiana. A
questo punto la questione è: la manovra del governo per il 2020 affronta queste
gravi problematiche? La mia risposta è certamente sì, ma in modo poco incisivo. La manovra
del secondo governo Conte si incentra infatti sulla disattivazione della famigerata
clausola di salvaguardia che prevedeva l’aumento dell’IVA per oltre 23 miliardi;
e pertanto, complici i sempre vivi e assurdi vincoli europei, non restano
grandi risorse per fare altro. Certo, c’è da considerare, ritengono alla
Svimez, che l’aumento dell’IVA avrebbe danneggiato il Sud più del resto del
Paese. Inoltre, il taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori, le
politiche di sostegno per la famiglia, il credito di imposta e gli strumenti di
Industria 4.0 vanno nella direzione giusta, ma godono di finanziamenti ridotti.
Il governo ha anche provato ad aumentare gli investimenti pubblici, strumento
principe della crescita, prevedendo un incremento di 11 miliardi nel prossimo
triennio. Ancora una volta la direzione è giusta, ma le risorse sono scarse,
considerato che – come ho mostrato in uno studio su economiaepolitica.it – nel periodo 2008-2018 il Paese ha accumulato
un deficit di ben 100 miliardi di investimenti pubblici rispetto alla media
europea.
Di
positivo c’è che il ministro Provenzano è al lavoro su un “Piano per il Sud”,
di cui alcune misure sono già anticipate nel testo della Legge di Bilancio
inviato al Parlamento. Il ministro, da ex vicedirettore Svimez, è ben consapevole
del fatto che il Mezzogiorno avrebbe disperato bisogno di quegli investimenti e
di una rinnovata capacità di programmazione e spesa degli investimenti stessi. Per
questo, tra le misure allo studio vi è uno sforzo nella direzione della
assunzione di giovani laureati finalizzate al rafforzamento amministrativo
(sulla stregua del piano del lavoro adottato in Campania). Un’altra misura
particolarmente rilevante nella stessa direzione è l’introduzione di un vincolo
più stringente sulla spesa ordinaria in conto capitale, che per il futuro dovrà
sin dalla fase di programmazione essere destinata per almeno il 34 per cento al
Sud. Ancora, un altro intervento strategico riguarda le Zone Economiche
Speciali, pure esse per la prima introdotte dalla Campania, con una revisione
del sistema di governance e l’introduzione di commissari di governo.
Qualcuno
potrebbe pensare che il “ritardo” del Sud riguardi i soli meridionali, e che a
essi non resti che sperare nella crescita del resto del Paese e sulle ricadute
positive che questa avrebbe anche nel Mezzogiorno. Ma così facendo si
sbaglierebbe di grosso. Non solo è ormai innegabile che l’asfittica crescita
del Centro-Nord è insufficiente a trainare il Mezzogiorno, ma è semmai vero il
contrario: grazie alla dinamica relativa dei meccanismi moltiplicativi è una
eventuale ripartenza del Sud che potrebbe generare grande beneficio per il
resto del Paese, tirando l’Italia fuori dal declino.