Giulio Tremonti e Riccardo Realfonzo a confronto sulla Brexit

Giulio Tremonti e Riccardo Realfonzo a confronto sulla Brexit
Radio anch'io, Rai Radio 1, 29 giugno 2016

Per Tremonti bisognerebbe tornare agli Stati nazionali, lasciando solo pochi compiti all'Europa. Per Realfonzo occorrerebbe rivedere  radicalmente i trattati, prevedendo politiche fiscali e monetarie espansive, e redistributive.


La ripresina del Sud e la necessità di nuove politiche industriali

La ripresina del Sud e la necessità di nuove politiche industriali
di Riccardo Realfonzo
Il Corriere del Mezzogiorno, 30 giugno 2016

In Campania e nel Mezzogiorno finalmente nel 2015 è tornato il segno più. Ma la ripresina è debole, incerta, messa a serio rischio dalla Brexit. Va protetta nella culla. Accanto alle decontribuzioni, servono nuove politiche industriali con incentivi mirati per le imprese. E spendere finalmente presto e bene i fondi europei.


Brexit e fine dell’euro. Il “monito degli economisti” aveva visto giusto

Brexit e fine dell’euro. Il “monito degli economisti” aveva visto giusto
di Riccardo Realfonzo
www.economiaepolitica.it, 24 giugno 2016

L’affermazione dell’“exit” al referendum britannico apre una crisi che oggi vede uscire il Regno Unito dall’Unione Europea e che in breve tempo potrebbe vedere sgretolarsi l’eurozona. È il caso di dire che i nodi vengono sempre al pettine, e per una volta nessuno potrà dire che gli economisti non avevano avvertito.


Brexit o remain? Ovvero la guerra commerciale anglo-tedesca

Brexit o remain? Ovvero la guerra commerciale anglo-tedesca
di Riccardo Realfonzo e Angelantonio Viscione
www.economiaepolitica.it, 22 giugno 2016

Gli squilibri delle bilance commerciali e i profondi processi di divergenza in atto nell’Unione Europea: sono queste le ragioni macroeconomiche di fondo del referendum sulla Brexit. Questioni con le quali, qualunque sarà l’esito del referendum, l’Europa dovrà fare i conti.

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Lotta alla deflazione? Il compito della BCE è un altro

Lotta alla deflazione? Il compito della BCE è un altro
di Danilo Carullo
www.economiaepolitica.it, 6 giugno 20116

Un’analisi empirica di Brancaccio, Fontana, Lopreite e Realfonzo appena pubblicata sul Journal of Post-Keynesian Economics evidenzia che la BCE non è in grado di governare l’andamento del reddito nominale e quindi nemmeno dell’inflazione. Lo studio risulta in linea con la tesi alternativa, secondo cui il vero compito della banca centrale consiste nella regolazione del ritmo delle insolvenze all’interno del sistema economico.

Riccardo Realfonzo: "Ecco perché la Napoli di de Magistris è fallita"

Riccardo Realfonzo: "Ecco perchè la Napoli di de Magistris è fallita"

di Simone Savoia
Il Giornale, 4 giugno 2016

Riccardo Realfonzo non è un personaggio facile. Economista, punto di riferimento in Italia della scuola classico-keynesiana, direttore della Scuola di governo del territorio, è stato assessore al bilancio del Comune di Napoli per due volte. La prima con Rosa Russo Jervolino, quasi al tramonto del decennio che ha sfasciato la città partenopea; se ne andò sbattendo la porta dopo aver denunciato il sistema clientelare che teneva in ostaggio la stessa sindaca. Lei per tutta risposta lo definì “il Robin Hood di Palazzo San Giacomo”, che alla fine del 2010 diventò un libro-denuncia scritto dallo stesso Realfonzo. La seconda con Luigi de Magistris, del quale è stato stretto collaboratore nella vittoriosa campagna elettorale per le comunali 2011. A giugno di quell’anno si insediò nel suo ufficio a Palazzo San Giacomo. A luglio 2012 la rottura con il sindaco e l’uscita dalla giunta.

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Gli errori del sindaco e i costi sociali di una sua rielezione

Gli errori del sindaco e i costi sociali di una sua rielezione
Perché il sindaco ha sbagliato "campagna"

di Riccardo Realfonzo
Il Corriere del Mezzogiorno, 4 giugno 2016

È stata una strana campagna elettorale. Sarebbe stato lecito attendersi un dibattito sui risultati raggiunti dal sindaco uscente e sulle proposte degli altri candidati, e invece de Magistris ha trasformato il confronto politico in una campagna anti-Renzi, scadendo persino in un penoso turpiloquio. E per evitare la discussione sui contenuti del suo operato, ha avanzato proposte risibili, come quella del fantomatico bilancio di previsione che propone il reddito di cittadinanza, senza però finanziarlo con il becco di un quattrino. Tutto fumo.
E dire che questo passaggio elettorale è decisivo per Napoli dal momento che incoronerà il sindaco della nascente città metropolitana, che interessa l’intera provincia. Una grande opportunità, visto che la gran parte della ricchezza e della occupazione vengono prodotte in Europa nelle aree metropolitane e che il bacino di influenza di Napoli si allarga a buona parte del Mezzogiorno. Ma per mettere in moto la città metropolitana occorre in primo luogo il Piano Strategico, cioè il documento che definisce gli obiettivi di sviluppo, per zone omogenee, e gli strumenti di intervento. Una operazione complessa, che richiede un confronto tra istituzioni e attori del territorio, e condivisione di intenti. Una sfida difficile, considerato che Napoli è l’ottava più grande area metropolitana d’Europa, con la più elevata densità demografica (dopo Barcellona), uno dei più bassi redditi per cittadino e servizi pubblici carentissimi, al punto che un recente studio della Commissione Europea la pone al penultimo posto in Europa per servizi e qualità della vita.
Quali passi sono stati compiuti negli ultimi cinque anni per varare la città metropolitana? Nessuno, considerato che de Magistris non ha lavorato al Piano Strategico e ha fatto incancrenire i problemi della Città, lasciandola nell’immobilismo: da Bagnoli a Napoli Est col Porto, dal Centro Unesco a Napoli Nord.
Certo non ha risanato il bilancio, come vorrebbe far credere, nonostante l’iniezione di liquidità senza precedenti – circa 1,2 miliardi di euro – ricevuta dal tanto vituperato Governo. E il fatto che i conti continuino a peggiorare, e che non siamo usciti da una condizione fallimentare, lo ha recentemente attestato la magistratura contabile. Infatti, contro la tesi di de Magistris, secondo il quale la situazione già nel 2013 sarebbe migliorata con una riduzione dello squilibrio a 700 milioni di euro, i magistrati hanno evidenziato che in realtà il buco si è acuito andando ben oltre il miliardo, a causa di “gravi irregolarità contabili e finanziarie”.
Ma non è finita qui: De Magistris non ha nemmeno avviato la razionalizzazione del patrimonio immobiliare, a cominciare dalle dismissioni dei cespiti inutili; non ha neppure provato a riorganizzare l’inefficiente macchina comunale, né ha efficacemente messo mano alle società partecipate; non ha dato impulso alla lotta all’evasione, riuscendo soltanto a disorientare i contribuenti vagheggiando l’“abolizione” di Equitalia. Per contro, ha portato le tasse e le tariffe ai livelli massimi, esattamente come sarebbe successo in caso di dichiarazione formale del dissesto.
Ecco perché Napoli è regredita e giunge all’appuntamento storico della città metropolitana del tutto impreparata: è mancata completamente la stagione promessa delle riforme vere, strutturali. E allora c’è un punto che forse sfugge ai tanti elettori che vedono nel sindaco uscente una linea progressista, magari di sinistra. Il punto è che de Magistris non soltanto non dispone di una cultura all’altezza della complessa sfida napoletana, ma in realtà quella sfida egli non è nemmeno intenzionato a coglierla. Quella di de Magistris, infatti, non è una linea progressista, ma solo un progetto personale, un utilizzo strumentale della Città per tentare una scalata alla politica nazionale. Con i suoi slogan ultra-populisti, che celano il vuoto amministrativo, potrebbe anche riuscire a guadagnarsi uno spazio nazionale, ma Napoli ha solo da perdere.
Ieri il Presidente del Consiglio Renzi e il Presidente della Regione De Luca hanno ricordato gli investimenti che insieme hanno promosso per l’area metropolitana di Napoli, rievocando la possibilità di una “Napoli produttiva”, che possa parlare al Mezzogiorno e al Paese. Entrambi invitano la Città a ricucire il rapporto con il Governo e la Regione, a evitare un esito elettorale che rischi di ostacolare i nuovi investimenti pubblici e privati che potrebbero far ripartire lo sviluppo e l’occupazione. A questo punto, come napoletani dovremmo domandarci se non sia necessario riprendere le fila del dialogo con il Governo e con la Regione, e soprattutto quali potrebbero essere i costi sociali di nuove contrapposizioni istituzionali e di un isolamento politico della Città.