Regione Campania, a che punto è la notte
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 22 settembre 2015
L’estate è archiviata e anche il periodo di “rodaggio” della giunta di De Luca in Campania è terminato da un po’. Si tratta ora di concretizzare quanto promesso nella campagna elettorale e il compito non è agevole, soprattutto sul terreno dell’economia e del lavoro. D’altronde i dati Istat confermano che mentre nel Centro-Nord vi è una tenue ripresa, il Mezzogiorno è al palo e i tassi di disoccupazione restano ben sopra il 20%. Non a caso, il governo sta finalmente valutando di inserire nella prossima Legge di Stabilità alcune misure per il Mezzogiorno.
Ma nell’attesa fiduciosa di una qualche misura per il Sud, anche il governo regionale campano deve fare la sua parte. E i temi su cui si attendono risposte sono numerosi.
In primo luogo, i fondi europei. Opportunamente, in campagna elettorale De Luca poneva il dito accusatore contro l’amministrazione Caldoro, per la lentezza della spesa, per i fondi perduti e per la grande frammentarietà degli investimenti che li ha resi spesso improduttivi. Ebbene, la nuova programmazione 2014-2020 (circa 5 miliardi complessivi) è stata disegnata dalla Giunta Caldoro e include la maggior parte dei cosiddetti “Grandi Progetti” della programmazione 2007-2013. Quali strumenti ci assicureranno una radicale discontinuità con il passato? E ancora, ad esempio, si è parlato tanto di utilizzare i fondi europei per migliorare il sistema dei trasporti: a che punto siamo?
Certo non secondario, accanto alla questione della spesa sanitaria, è anche il tema delle società partecipate regionali, liquidato da Caldoro con un piano di razionalizzazione che puntava a grandi dismissioni, con una logica puramente contabile orientata solo al risparmio immediato. Speriamo che la Giunta sappia ripensare quelle scelte, evitando svendite e tenendo in mano pubblica assets strategici come ad esempio la Mostra d’Oltremare, inserendoli in un disegno di sviluppo organico.
Infine, c’è il tema delle politiche industriali. Qui, oltre a insistere con il governo per una fiscalità di vantaggio, bisognerebbe intervenire sulle strozzature dell’apparato produttivo campano. I problemi sono ben noti: la piccolissima dimensione media delle imprese, il bassissimo volume degli investimenti in nuove tecnologie e formazione del personale, la persistenza di modelli di governance tipici di un capitalismo antico e inadeguato a reggere la concorrenza. A questo proposito, bisognerebbe attuare finalmente quanto stabilito dal Testo unico sul lavoro vigente in Regione Campania che scaturì, lo ricordo, da un insieme di analisi e proposte che coinvolse numerosi dipartimenti universitari. Ebbene, nel titolo terzo del Testo unico viene codificato un innovativo sistema di incentivi per spingere le imprese a investire sulla crescita dimensionale, le nuove tecnologie e la qualità del lavoro.
La Campania e il Mezzogiorno sono nel tunnel. E non c’è dubbio che solo il coordinamento virtuoso tra un governo che si decida ad affrontare la questione meridionale e una amministrazione locale disponibile a utilizzare nuove misure di politica industriale potrà riportarci alla luce.