Gravissimi effetti della manovra Tremonti sul Mezzogiorno

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CRISI: ECONOMISTI; DA MANOVRA GRAVE EFFETTO PER CRESCITA SUD
LETTERA DI 200 ECONOMISTI PRESENTATA A ISTITUTO STUDI FILOSOFICI
(ANSA) NAPOLI, 29 GIU - ''La manovra del governo tutta
improntata sui tagli alla spesa tagliera' le gambe all'economia
italiana gia' in preda alla crisi. E l'effetto sara' ancora piu'
grave nelle regioni del sud''. E' questo l'allarme lanciato oggi
dall'economista Riccardo Realfonzo, durante il convegno 'Il
mezzogiorno nella crisi europea
' che si e' svolto all'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Il dibattito,
moderato da Sergio Marotta dell'Universita' Suor Orsola
Benincasa di Napoli, ha puntato soprattutto sugli effetti della
manovra sul sud Italia.
''La manovra - ha spiegato Realfonzo - avra' effetti
pesantissimi sul Mezzogiorno, anche perche' il taglio del 14%
della spesa regionale qui e' insostenibile. Infatti la spesa
procapite delle Regioni nel Mezzogiorno d'Italia e' gia'
significativamente piu' bassa della media italiana, con effetti
evidenti sulla qualita' dei servizi pubblici locali. Tagliare la
spesa delle regioni significa peggiorare ancora la qualita' dei
servizi e dare un ulteriore colpo all'economia
meridionale''. ''Le stime di Tremonti sulla crescita del Pil
italiano sono del tutto errate, alla luce della manovra. In
Italia ci attende un periodo di crescita praticamente zero del
Pil, e probabilmente di ulteriore caduta del Pil nel
Mezzogiorno''.
''La lettera degli economisti - prosegue Realfonzo
- spiega che l'Italia e gli altri paesi dell'Unione Europea
dovrebbero piuttosto formulare politiche di carattere espansivo
per rilanciare la produzione pubblica in quei settori dei
servizi essenziali nei quali il mercato ha dimostrato di
fallire. E' questo tipo di politica che consente di rilanciare
lo sviluppo e migliorare le condizioni della finanza pubblica,
non il contrario''. ''La manovra del governo apre la porta a una nuova
ondata di privatizzazioni ed anche a svendite del patrimonio
pubblico: il decreto sul federalismo demaniale sembra fatto
proprio apposta per questo''.
La lettera degli economisti cui si riferisce Realfonzo
e' stata sottoscritta da oltre 200 economisti italiani ed europei,
ed e' disponibile sul sito www.letteradeglieconomisti.it.
(ANSA).


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Il Mezzogiorno nella crisi europea

Il Mezzogiorno nella crisi europea
Dibattito sulla critica della Lettera degli economisti alla manovra economica del Governo
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Via Monte di Dio, Napoli, Martedì 29 giugno ore 10,00
Saluti: Gerardo Marotta, Presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Modera: Sergio Marotta, Università Suor Orsola Benincasa
Presenta la Lettera degli economisti: Riccardo Realfonzo, Università del Sannio, promotore della Lettera degli economisti
Intervengono: Roberto Fico, Movimento Cinque Stelle; Franco Nappo, PRC Federazione della Sinistra; Eugenio Mazzarella, Deputato del Partito Democratico; Gennaro Migliore, Sinistra Ecologia e Libertà; Luigi de Magistris, Presidente Commissione Controllo Bilancio del Parlamento europeo, Idv; Maurizio Mascoli, Segretario Regionale della FIOM-CGIL.
Sono stati inoltre invitati ad intervenire al dibattito tutti gli studiosi delle Università campane che hanno aderito alla “Lettera degli economisti”: Luigi Aldieri (Università di Napoli ‘Parthenope’), Aldo Barba (Università di Napoli ‘Federico II’),Sergio Beraldo (Università di Napoli ‘Federico II’), Mariangela Bonasia (Università di Napoli ‘Parthenope’), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope di Napoli), Lilia Costabile (Università di Napoli ‘Federico II’), Elina De Simone (Università Orientale di Napoli), Giancarlo De Vivo (Università di Napoli ‘Federico II’), Amedeo Di Maio (Università Orientale di Napoli), Giuseppe Fontana (Università del Sannio), Adriano Giannola (Università di Napoli ‘Federico II’), Bruno Jossa (Università di Napoli ‘Federico II’), Antonio Lopes (Seconda Università di Napoli), Ugo Marani (Università di Napoli ‘Federico II’), Pietro Masina (Università di Napoli ‘L’Orientale’), Marco Musella (Università di Napoli ‘Federico II’), Andrea Pacella (Università del Sannio), Rosario Patalano (Università di Napoli ‘Federico II’), Marco Piccioni (Università di Napoli ‘Federico II’), Michele Rosco (Università di Salerno), Guido Tortorella Esposito (Università del Sannio), Carmen Vita (Università del Sannio).

El Plan Fénix italiano

El Plan Fénix italiano
di Alfredo Zaiat
Página 12, 27 giugno 2010

Le lezioni della Storia

Le lezioni della Storia, dimenticate ancora una volta
Articolo in sostegno della Lettera degli economisti
di John King (La Trobe University, Australia)
Economia e Politica, 25 giugno 2010

Il dibattito sulla "Lettera degli economisti"

La “Lettera degli economisti" è un documento sottoscritto promosso da Riccardo Realfonzo (in collaborazione con B. Bosco, E. Brancaccio, R. Ciccone e A. Stirati) e sottoscritto da oltre 200 esponenti del mondo accademico e della ricerca e pubblicato da Economia e Politica e dal Sole 24 Ore nel giugno 2010. I firmatari contestano la politica economica restrittiva messa in atto in Italia e in Europa per fronteggiare la crisi. La "Lettera" è disponibile sul sito www.letteradeglieconomisti.it.

Di seguito alcuni dei contributi al dibattito di uno dei promotori della "Lettera", Riccardo Realfonzo:

"Attenti l'euro scoppia sotto i colpi del rigore", di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo, Il Sole - 24 Ore, 16 giugno 2010

"Cari colleghi rileggete Keynes", di Rosaria Rita Canale e Riccardo Realfonzo, Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2010

"Le false promesse dell'austerità", di Riccardo Realfonzo, Il Sole 24 Ore, 1 settembre 2010

Si vedano anche gli articoli apparsi in Economia e Politica a firma di John King; Gerald Epstein; Mario Seccareccia; Alberto Muller; Alberto Alonso, Jorge Uxò e Antonio Cuerpo.

Si rinvia inoltre alla rassegna stampa presente sul sito www.letteradeglieconomisti.it.

L'allarme degli economisti: l'austerità aggrava la crisi

L'allarme degli economisti: l'austerità aggrava la crisi
di Emilio Carnevali
Micromega, 15 giugno 2010

Dichiarazioni dei leader del centrosinistra sulla Lettera degli economisti

MANOVRA/DI PIETRO: ECONOMISTI DIMOSTRANO CHE E’ SOLO DANNOSA
Roma, 15 giu. (Apcom) - "La lettera degli economisti contro la manovra di politica economica del Governo coglie nel segno. Gli economisti dimostrano che questa manovra non risana le condizioni della finanza pubblica e non serve a mettere in ordine i conti con l'estero del nostro Paese. Insomma, l'unico effetto certo è il ristagno dell'economia e la disoccupazione crescente". Lo afferma in una nota Antonio Di Pietro, presidente di Italia dei Valori, commentando l'allarme lanciato da cento economisti sulla manovra del Governo.
"Riccardo Realfonzo e i suoi autorevoli colleghi - spiega Di Pietro - hanno inequivocabilmente chiarito che l'Europa ha bisogno di ben altre politiche rispetto a quelle varate dal Governo italiano. Se l'Europa prosegue a colpi di tagli alla spesa pubblica c'è il serio rischio che alcuni paesi si vedano costretti a uscire dall'euro. In fondo è questo il pericolo che il Governo fa correre al Paese. Sarebbe opportuno - conclude - che in Italia si aprisse un dibattito sulle proposte avanzate nella lettera degli economisti. Bisognerebbe arrestare la speculazione, difendere i salari e concepire un grande piano europeo per il rilancio dello sviluppo".

CRISI: VENDOLA, CONDIVIDO ALLARME MONDO ACCADEMICO SU EUROZONA
(ASCA) - Bari, 15 giu - ''Condivido fortemente l'allarme lanciato oggi da cento economisti italiani che hanno scritto una lettera aperta ai governanti italiani ed europei e ai rappresentanti italiani presso le istituzioni dell'Unione Europea''. Lo dichiara il presidente della regione Puglia e leader di Sinistra Ecologia e Liberta' Nichi Vendola, dopo l'allarme lanciato da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo, dell'Universita' del Sannio, e da Antonella Stirati, dell'Universita' Roma Tre a nome di altri cento economisti. ''Mi sembra molto interessante e stimolante - prosegue Vendola - l'analisi secondo la quale le politiche economiche di austerita' messe in campo dai governi, compreso quello italiano che sta facendo tagli da bassa macelleria sociale, potrebbero 'forzatamente sospingere alcuni paesi fuori dall'Unione monetaria' per poter difendere i propri mercati, i propri redditi e la propria occupazione. Siamo insomma al paradosso, fuori dall'Europa per poter continuare a vivere, o meglio a sopravvivere. Ma il rischio c'e' e l'attacco al cuore dell'Europa mi sembra feroce e irresponsabile. Mi fa piacere che questo stato di cose sia stato evidenziato non da forze dell'opposizione 'eversive', bensi' da una folta e autorevole rappresentanza di quel mondo economico ed accademico che non possiede, per storia e per cultura, rigidita' ideologiche. Soffermiamoci insieme sulle motivazioni e sulle responsabilita' degli errori che sono stati commessi in politica economica e fermiamoci prima che sia troppo tardi. Ma impariamo a dirci la verita'. Io - conclude Vendola - seguiro' questa mobilitazione con grande attenzione e partecipazione''.

CRISI: FASSINA "INTERESSANTE DOCUMENTO ECONOMISTI" ROMA (ITALPRESS) "La riflessione e le proposte sull'attuale crisi economica presentate oggi da tanti importanti economisti italiani è utile e di grande interesse". Lo afferma in una nota Stefano Fassina, della segreteria del Pd, responsabile Economia e Lavoro.
"Abbiamo urgente bisogno di dare spazio nel dibattito politico a paradigmi di cultura economica alternativi a quelli egemoni nell'ultimo quarto di secolo. Questi, nonostante siano stati a fondamento delle politiche economiche responsabili della crisi, continuano ad ispirare insostenibili exit strategy. Il Partito democratico - conclude - è interessato a discutere il documento presentato questa mattina e inviterà i firmatari ad un incontro nei prossimi giorni".
(ITALPRESS, 15 giugno).

Attenti, l'euro scoppia sotto i colpi del rigore

di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo
Il Sole - 24 Ore, 16 giugno 2010
.
Il governo dichiara che i cosiddetti “sacrifici” si rendono necessari per risanare i conti pubblici, tranquillizzare i mercati e salvaguardare l’euro. Nel dibattito politico questa giustificazione viene data quasi per scontata. Ma sarà vera? Oltre 100 economisti sostengono di no, e in una Lettera destinata al Parlamento e alle autorità di politica economica denunciano che le politiche restrittive approntate dai governi italiano ed europei rischiano di produrre effetti opposti a quelli dichiarati (http://www.letteradeglieconomisti.it/).
La Lettera degli economisti mette in luce un paradosso: le politiche economiche europee per la prima volta si muovono in concerto, ma lo fanno nella direzione sbagliata. In perniciosa sincronia i paesi europei realizzano delle tremende strette di bilancio in una fase storica in cui una rinnovata ripresa americana appare improbabile e non sembrano esservi altre locomotive esterne all’Unione monetaria. In un simile scenario è lecito temere che le restrizioni operate dai governi europei determineranno una ulteriore caduta dell’occupazione, un aumento della mortalità delle imprese e quindi un nuovo capitombolo dei redditi, delle entrate fiscali e dei ricavi imprenditoriali. Una ricaduta nella crisi agirebbe poi in modi diversi sulle strutture produttive dei vari paesi. Soprattutto nelle aree periferiche dell’Unione la disoccupazione e le bancarotte potrebbero crescere ai ritmi tipici di una deflazione da debiti. Di questo passo, alcuni paesi in difficoltà potrebbero a un certo punto esser sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero scegliere deliberatamente di abbandonare la moneta unica per cercare di sottrarsi alla spirale recessiva nella quale l’Europa si è infilata. Lo sganciamento dall’euro implicherebbe pure una svalutazione in termini di valuta estera dei titoli privati e pubblici dei paesi fuoriusciti. L’eventualità che ciò possa verificarsi rappresenta la molla principale della speculazione, molto più che gli andamenti dei meri rapporti tra debito pubblico e Pil. Dunque, benché vengano presentate come manovre per la salvaguardia dell’unità europea, le politiche restrittive potrebbero in realtà condurre a una vera e propria deflagrazione della zona euro. Esiste un modo per scongiurare tale pericolo? La Lettera indica in primo luogo una serie di interventi contro la speculazione, che siano più incisivi di quelli sui quali attualmente si discute e che diano tempo alle istituzioni democratiche di rivedere gli errori commessi e di ripensare la strategia di politica economica. Bisognerebbe quindi affrontare gli squilibri interni all’Unione alimentati soprattutto dalle politiche deflazioniste della Germania, che da tempo si colloca in sistematico avanzo commerciale rispetto agli altri paesi membri. Inoltre, i firmatari della Lettera ritengono necessario che l’Europa costruisca al proprio interno un autonomo motore di sviluppo, fondato sulla produzione pubblica di quei beni collettivi che tipicamente sfuggono alla logica dell’impresa privata e che generano fallimenti del mercato.
La Lettera suggerisce una via d’uscita dalla crisi che chiaramente confligge con la linea di politica restrittiva imposta soprattutto dalle autorità tedesche. Le soluzioni avanzate tuttavia non sono estranee ai lavori preparatori dei Trattati europei, ed appaiono effettivamente in grado di scongiurare il rischio di una crisi dell’Unione monetaria. Criticare nel merito le proposte contenute nella Lettera degli economisti sarebbe apprezzabile ai fini dell’avvio di un dibattito. Ancor di più lo sarebbe il riconoscimento, almeno da parte del governo italiano, che le politiche restrittive accrescono il pericolo di implosione della zona euro.

Lettera degli economisti

.
LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI,
ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO’ CONDURRE ALLA
DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA
SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE
UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E DELL’OCCUPAZIONE
.
Ai membri del Governo e del Parlamento
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell’Unione europea
Ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali
E per opportuna conoscenza al Presidente della Repubblica




La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolveranno attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all’istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli.

Piuttosto, si corre il serio pericolo che l’attuazione in Italia e in Europa delle cosiddette “politiche dei sacrifici” accentui ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese, e possa a un certo punto costringere alcuni Paesi membri a uscire dalla Unione monetaria europea.

Il punto fondamentale da comprendere è che l’attuale instabilità della Unione monetaria non rappresenta il mero frutto di trucchi contabili o di spese facili. Essa in realtà costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione e dall’orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l’estero.

***

La crisi mondiale esplosa nel 2007-2008 è tuttora in corso. Non essendo intervenuti sulle sue cause strutturali, da essa non siamo di fatto mai usciti. Come è stato riconosciuto da più parti, questa crisi vede tra le sue principali spiegazioni un allargamento del divario mondiale tra una crescente produttività del lavoro e una stagnante o addirittura declinante capacità di consumo degli stessi lavoratori. Per lungo tempo questo divario è stato compensato da una eccezionale crescita speculativa dei valori finanziari e dell’indebitamento privato che, partendo dagli Stati Uniti, ha agito da stimolo per la domanda globale.

Vi è chi oggi confida in un rilancio della crescita mondiale basato su un nuovo boom della finanza statunitense. Scaricando sui bilanci pubblici un enorme cumulo di debiti privati inesigibili si spera di dare nuovo impulso alla finanza e al connesso meccanismo di accumulazione. Noi riteniamo che su queste basi una credibile ripresa mondiale sia molto difficilmente realizzabile, e in ogni caso essa risulterebbe fragile e di corto respiro. Al tempo stesso consideriamo illusorio auspicare che in assenza di una profonda riforma del sistema monetario internazionale la Cina si disponga a trainare la domanda globale, rinunciando ai suoi attivi commerciali e all’accumulo di riserve valutarie.

Siamo insomma di fronte alla drammatica realtà di un sistema economico mondiale senza una fonte primaria di domanda, senza una “spugna” in grado di assorbire la produzione.

L’irrisolta crisi globale è particolarmente avvertita nella Unione monetaria europea. La manifesta fragilità della zona euro deriva da profondi squilibri strutturali interni, la cui causa principale risiede nell’impianto di politica economica liberista del Trattato di Maastricht, nella pretesa di affidare ai soli meccanismi di mercato i riequilibri tra le varie aree dell’Unione, e nella politica economica restrittiva e deflazionista dei paesi in sistematico avanzo commerciale. Tra questi assume particolare rilievo la Germania, da tempo orientata al contenimento dei salari in rapporto alla produttività, della domanda e delle importazioni, e alla penetrazione nei mercati esteri al fine di accrescere le quote di mercato delle imprese tedesche in Europa. Attraverso tali politiche i paesi in sistematico avanzo non contribuiscono allo sviluppo dell’area euro ma paradossalmente si muovono al traino dei paesi più deboli. La Germania, in particolare, accumula consistenti avanzi commerciali verso l’estero, mentre la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Francia tendono a indebitarsi. Persino l’Italia, nonostante una crescita modestissima del reddito nazionale, si ritrova ad acquistare dalla Germania più di quanto vende, accumulando per questa via debiti crescenti.

La piena mobilità dei capitali nell’area euro ha favorito enormemente il formarsi degli squilibri nei rapporti di credito e debito tra paesi. Per lungo tempo, sulla base della ipotesi di efficienza dei mercati, si è ritenuto che la crescita dei rapporti di indebitamento tra i paesi membri dovesse esser considerata il riflesso positivo di una maggiore integrazione finanziaria dell’area euro. Ma oggi è del tutto evidente che la presunta efficienza dei mercati finanziari non trova riscontro nei fatti e che gli squilibri accumulati risultano insostenibili.

Sono queste le ragioni di fondo per cui gli operatori sui mercati finanziari stanno scommettendo sulla deflagrazione della zona euro. Essi prevedono che per il prolungarsi della crisi le entrate fiscali degli Stati declineranno e i ricavi di moltissime imprese e banche si ridurranno ulteriormente. Per questa via, risulterà sempre più difficile garantire il rimborso dei debiti, sia pubblici che privati. Diversi paesi potrebbero quindi esser progressivamente sospinti al di fuori della zona euro, o potrebbero decidere di sganciarsi da essa per cercare di sottrarsi alla spirale deflazionista. Il rischio di insolvenza generalizzata e di riconversione in valuta nazionale dei debiti rappresenta pertanto la vera scommessa che muove l’azione degli speculatori. L’agitazione dei mercati finanziari verte dunque su una serie di contraddizioni reali. Tuttavia, è altrettanto vero che le aspettative degli speculatori alimentano ulteriormente la sfiducia e tendono quindi ad auto-realizzarsi. Infatti, le operazioni ribassiste sui mercati spingono verso l’alto il differenziale tra i tassi dcinteresse e i tassi di crescita dei redditi, e possono rendere improvvisamente insolventi dei debitori che precedentemente risultavano in grado di rimborsare i prestiti. Gli operatori finanziari, che spesso agiscono in condizioni non concorrenziali e tutt’altro che simmetriche sul piano della informazione e del potere di mercato, riescono quindi non solo a prevedere il futuro ma contribuiscono a determinarlo, secondo uno schema che nulla ha a che vedere con i cosiddetti ‘fondamentali’ della teoria economica ortodossa e i presunti criteri di efficienza descritti dalle sue versioni elementari.

***

In un simile scenario riteniamo sia vano sperare di contrastare la speculazione tramite meri accordi di prestito in cambio dell’approvazione di politiche restrittive da parte dei paesi indebitati. I prestiti infatti si limitano a rinviare i problemi senza risolverli. E le politiche di “austerità” abbattono ulteriormente la domanda, deprimono i redditi e quindi deteriorano ulteriormente la capacità di rimborso dei prestiti da parte dei debitori, pubblici e privati. La stessa, pur significativa svolta di politica monetaria della BCE, che si dichiara pronta ad acquistare titoli pubblici sul mercato secondario, appare ridimensionata dall’annuncio di voler “sterilizzare” tali operazioni attraverso manovre di segno contrario sulle valute o all’interno del sistema bancario.

Gli errori commessi sono indubbiamente ascrivibili alle ricette liberiste e recessive suggerite da economisti legati a schemi di analisi in voga in anni passati, ma che non sembrano affatto in grado di cogliere gli aspetti salienti del funzionamento del capitalismo contemporaneo.

E’ bene tuttavia chiarire che l’ostinazione con la quale si perseguono le politiche depressive non è semplicemente il frutto di fraintendimenti generati da modelli economici la cui coerenza logica e rilevanza empirica è stata messa ormai fortemente in discussione nell’ambito della stessa comunità accademica. La preferenza per la cosiddetta “austerità” rappresenta anche e soprattutto l’espressione di interessi sociali consolidati. Vi è infatti chi vede nell’attuale crisi una occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale, di frammentazione del lavoro e di ristrutturazione e centralizzazione dei capitali in Europa. L’idea di fondo è che i capitali che usciranno vincenti dalla crisi potranno rilanciare l’accumulazione sfruttando tra l’altro una minor concorrenza sui mercati e un ulteriore indebolimento del lavoro.

Occorre comprendere che se si insiste nell’assecondare questi interessi non soltanto si agisce contro i lavoratori, ma si creano anche i presupposti per una incontrollata centralizzazione dei capitali, per una desertificazione produttiva del Mezzogiorno e di intere macroregioni europee, per processi migratori sempre più difficili da gestire, e in ultima istanza per una gigantesca deflazione da debiti, paragonabile a quella degli anni Trenta.

***

Il Governo italiano ha finora attuato una politica tesa ad agevolare questo pericoloso avvitamento deflazionistico. E le annunciate, ulteriori strette di bilancio, associate alla insistente tendenza alla riduzione delle tutele del lavoro, non potranno che provocare altre cadute del reddito, dopo quella pesantissima già fatta registrare dall’Italia nel 2009. Si tenga ben presente che sono altamente discutibili i presupposti scientifici in base ai quali si ritiene che attraverso simili politiche si migliora la situazione economica e di bilancio e quindi ci si salvaguarda da un attacco speculativo. Piuttosto, per questa via si rischia di alimentare la crisi, le insolvenze e quindi la speculazione.

Nemmeno si può dire che dalle opposizioni sia finora emerso un chiaro programma di politica economica alternativa. Una maggior consapevolezza della gravità della crisi e degli errori del passato va diffondendosi, ma si sono levate voci da alcuni settori dell’opposizione che suggeriscono prese di posizione contraddittorie e persino deteriori, come è il caso delle proposte tese a introdurre ulteriori contratti di lavoro precari o ad attuare massicci programmi di privatizzazione dei servizi pubblici. Gli stessi, frequenti richiami alle cosiddette “riforme strutturali” risultano controproducenti laddove, anzichè caratterizzarsi per misure tese effettivamente a contrastare gli sprechi e i privilegi di pochi, si traducono in ulteriori proposte di ridimensionamento dei diritti sociali e del lavoro.

Quale monito per il futuro, è opportuno ricordare che nel 1992 l’Italia fu sottoposta a un attacco speculativo simile a quelli attualmente in corso in Europa. All’epoca, i lavoratori italiani accettarono un gravoso programma di “austerità”, fondato soprattutto sulla compressione del costo del lavoro e della spesa previdenziale. All’epoca, come oggi, si disse che i sacrifici erano necessari per difendere la lira e l’economia nazionale dalla speculazione. Tuttavia, poco tempo dopo l’accettazione di quel programma, i titoli denominati in valuta nazionale subirono nuovi attacchi. Alla fine l’Italia uscì comunque dal Sistema Monetario Europeo e la lira subì una pesante svalutazione. I lavoratori e gran parte della collettività pagarono così due volte: a causa della politica di “austerità” e a causa dell’aumento del costo delle merci importate.

Va anche ricordato che, con la prevalente giustificazione di abbattere il debito pubblico in rapporto al Pil, negli anni passati è stato attuato nel nostro paese un massiccio programma di privatizzazioni. Ebbene, i peraltro modesti effetti sul debito pubblico di quel programma sono in larghissima misura svaniti a seguito della crisi, e le implicazioni in termini di posizionamento del Paese nella divisione internazionale del lavoro, di sviluppo economico e di benessere sociale sono oggi considerati dalla piu autorevole letteratura scientifica altamente discutibili.

***

Noi riteniamo dunque che le linee di indirizzo finora poste in essere debbano essere abbandonate, prima che sia troppo tardi.

Occorre prendere in considerazione l’eventualità che per lungo tempo non sussisterà una locomotiva in grado di assicurare una ripresa forte e stabile del commercio e dello sviluppo mondiale. Per evitare un aggravamento della crisi e per scongiurare la fine del progetto di unificazione europea è allora necessaria una nuova visione e una svolta negli indirizzi generali di politica economica. Occorre cioè che l’Europa intraprenda un autonomo sentiero di sviluppo delle forze produttive, di crescita del benessere, di salvaguardia dell’ambiente e del territorio, di equità sociale.

Affinchè una svolta di tale portata possa concretamente svilupparsi, è necessario in primo luogo dare respiro al processo democratico, è necessario cioè disporre di tempo. Ecco perchè in via preliminare proponiamo di introdurre immediatamente un argine alla speculazione. A questo scopo sono in corso iniziative sia nazionali che coordinate a livello europeo, ma i provvedimenti che si stanno ponendo in essere appaiono ancora deboli e insufficienti. Fermare la speculazione è senz’altro possibile, ma occorre sgombrare il campo dalle incertezze e dalle ambiguità politiche. Bisogna quindi che la BCE si impegni pienamente ad acquistare i titoli sotto attacco, rinunciando a “sterilizzare” i suoi interventi. Occorre anche istituire adeguate imposte finalizzate a disincentivare le transazioni finanziarie a breve termine ed efficaci controlli amministrativi sui movimenti di capitale. Se non vi fossero le condizioni per operare in concerto, sarà molto meglio intervenire subito in questa direzione a livello nazionale, con gli strumenti disponibili, piuttosto che muoversi in ritardo o non agire affatto.

L’esperienza storica insegna che per contrastare efficacemente la deflazione bisogna imporre un pavimento al tracollo del monte salari, tramite un rafforzamento dei contratti nazionali, minimi salariali, vincoli ai licenziamenti e nuove norme generali a tutela del lavoro e dei processi di sindacalizzazione. Soprattutto nella fase attuale, pensare di affidare il processo di distruzione e di creazione dei posti di lavoro alle sole forze del mercato è analiticamente privo di senso, oltre che politicamente irresponsabile.

In coordinamento con la politica monetaria, occorre sollecitare i Paesi in avanzo commerciale, in particolare la Germania, ad attuare opportune manovre di espansione della domanda al fine di avviare un processo di riequilibrio virtuoso e non deflazionistico dei conti con l’estero dei Paesi membri dell’Unione monetaria europea. I principali Paesi in avanzo commerciale hanno una enorme responsabilità, al riguardo. Il salvataggio o la distruzione della Unione dipenderà in larga misura dalle loro decisioni.

Bisogna istituire un sistema di fiscalità progressiva coordinato a livello europeo, che contribuisca a invertire la tendenza alla sperequazione sociale e territoriale che ha contribuito a scatenare la crisi. Occorre uno spostamento dei carichi fiscali dal lavoro ai guadagni di capitale e alle rendite, dai redditi ai patrimoni, dai contribuenti con ritenuta alla fonte agli evasori, dalle aree povere alle aree ricche dell’Unione.

Bisogna ampliare significativamente il bilancio federale dell’Unione e rendere possibile la emissione di titoli pubblici europei. Si deve puntare a coordinare la politica fiscale e la politica monetaria europea al fine di predisporre un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale non solo delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive in Europa. Il piano deve seguire una logica diversa da quella, spesso inefficiente e assistenziale, che ha governato i fondi europei di sviluppo. Esso deve fondarsi in primo luogo sulla produzione pubblica di beni collettivi, dal finanziamento delle infrastrutture pubbliche di ricerca per contrastare i monopoli della proprietà intellettuale, alla salvaguardia dell’ambiente, alla pianificazione del territorio, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone. Sono beni, questi, che inesorabilmente generano fallimenti del mercato, sfuggono alla logica ristretta della impresa capitalistica privata, ma al contempo risultano indispensabili per lo sviluppo delle forze produttive, per l’equità sociale, per il progresso civile.

Si deve disciplinare e restringere l’accesso del piccolo risparmio e delle risorse previdenziali dei lavoratori al mercato finanziario. Si deve ripristinare il principio di separazione tra banche di credito ordinario, che prestano a breve, e società finanziarie che operano sul medio-lungo termine.

Contro eventuali strategie di dumping e di “esportazione della recessione” da parte di paesi extra-Ume, bisogna contemplare un sistema di apertura condizionata dei mercati, dei capitali e delle merci. L’apertura può essere piena solo se si attuano politiche convergenti di miglioramento degli standard del lavoro e dei salari, e politiche di sviluppo coordinate.

***

Siamo ben consapevoli della distanza che sussiste tra le nostre indicazioni e l’attuale, tremenda involuzione del quadro di politica economica europea.
Siamo tuttavia del parere che gli odierni indirizzi di politica economica potrebbero rivelarsi presto insostenibili.

Se non vi saranno le condizioni politiche per l’attuazione di un piano di sviluppo fondato sugli obiettivi delineati, il rischio che si scateni una deflazione da debiti e una conseguente deflagrazione della zona euro sarà altissimo. Il motivo è che diversi Paesi potrebbero cadere in una spirale perversa, fatta di miopi politiche nazionali di ”austerità” e di conseguenti pressioni speculative. A un certo punto tali Paesi potrebbero esser forzatamente sospinti al di fuori della Unione monetaria o potrebbero scegliere deliberatamente di sganciarsi da essa per cercare di realizzare autonome politiche economiche di difesa dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione. Se così davvero andasse, è bene chiarire che non necessariamente su di essi ricadrebbero le colpe principali del tracollo della unità europea.

***

Simili eventualità ci fanno ritenere che non vi siano più le condizioni per rivitalizzare lo spirito europeo richiamandosi ai soli valori ideali comuni. La verità è che è in atto il più violento e decisivo attacco all’Europa come soggetto politico e agli ultimi bastioni dello Stato sociale in Europa. Ora più che mai, dunque, l’europeismo per sopravvivere e rilanciarsi dovrebbe caricarsi di senso, di concrete opportunità di sviluppo coordinato, economico, sociale e civile.

Per questo, occorre immediatamente aprire un ampio e franco dibattito sulle motivazioni e sulle responsabilità dei gravissimi errori di politica economica che si stanno compiendo, sui conseguenti rischi di un aggravamento della crisi e di una deflagrazione della zona euro e sulla urgenza di una svolta di politica economica europea.

Qualora le opportune pressioni che il Governo e i rappresentanti italiani delle istituzioni dovranno esercitare in Europa non sortissero effetti, la crisi della zona euro tenderà a intensificarsi e le forze politiche e le autorità del nostro Paese potrebbero esser chiamate a compiere scelte di politica economica tali da restituire all’Italia un’autonoma prospettiva di sostegno dei mercati interni, dei redditi e dell’occupazione.



Promotori dell’iniziativa sono Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio) e Antonella Stirati (Università Roma Tre).

Adesioni: Nicola Acocella (Università di Roma ‘La Sapienza’), Roberto Artoni (Università Bocconi), Aldo Barba (Università di Napoli ‘Federico II’), Enrico Bellino (Università Cattolica di Milano), Sergio Beraldo (Università di Napoli ‘Federico II’), Paola Bertolini (Università di Modena e Reggio Emilia), Mario Biagioli (Università di Parma), Salvatore Biasco (Università di Roma ‘La Sapienza’), Adriano Birolo (Università di Padova), Giovanni Bonifati (Università di Modena e Reggio Emilia), Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Paolo Bosi (Università di Modena e Reggio Emilia), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Katia Caldari (Università di Padova), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope di Napoli), Francesco Carlucci (Università di Roma ‘La Sapienza’), Maurizio Caserta (Università di Catania), Duccio Cavalieri (Università di Firenze), Sergio Cesaratto (Università di Siena), Laura Chies (Università di Trieste), Guglielmo Chiodi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Roberto Ciccone (Università Roma Tre), Giorgio Colacchio (Università del Salento), Lilia Costabile (Università di Napoli ‘Federico II’), Francesco Crespi (Università Roma Tre), Carlo Devillanova (Università Bocconi), Carmela D’Apice (Università Roma Tre), Marcello De Cecco (Scuola Normale Superiore di Pisa), Pasquale De Muro (Università Roma Tre), Elina De Simone (Università Orientale di Napoli), Giancarlo De Vivo (Università di Napoli ‘Federico II’), Davide Di Laurea (ISTAT), Amedeo Di Maio (Università Orientale di Napoli), Antonio Di Majo (Università Roma Tre), Fernando Di Nicola (ISAE), Giuseppe Di Vita (Università di Catania), Leonardo Ditta (Università di Perugia), Sebastiano Fadda (Università Roma Tre), Riccardo Faucci (Università di Pisa), Alberto Feduzi (Università Roma Tre), Stefano Figuera (Università di Catania), Massimo Florio (Università di Milano), Giuseppe Fontana (Università del Sannio), Guglielmo Forges Davanzati (Università del Salento), Saverio Fratini (Università Roma Tre), Lia Fubini (Università di Torino), Stefania Gabriele (ISAE), Pierangelo Garegnani (Università Roma Tre), Adriano Giannola (Università di Napoli 'Federico II'), Andrea Ginzburg (Università di Modena e Reggio Emilia), Enrico Giovannetti (Università di Modena e Reggio Emilia), Claudio Gnesutta (Università di Roma ‘La Sapienza’), Augusto Graziani (Università di Roma ‘La Sapienza’), Andrea Imperia (Università di Roma ‘La Sapienza’), Bruno Jossa (Università di Napoli ‘Federico II’), Paolo Leon (Università Roma Tre), Sergio Levrero (Università Roma Tre), Paolo Liberati (Università Roma Tre), Stefano Lucarelli (Università di Bergamo), Giorgio Lunghini (Università di Pavia), Vincenzo Maffeo (Università di Roma ‘La Sapienza’), Ugo Marani (Università di Napoli ‘Federico II’), Maria Cristina Marcuzzo (Università di Roma ‘La Sapienza’), Ferruccio Marzano (Università di Roma ‘La Sapienza’), Fabio Masini (Università Roma Tre), Giovanni Mazzetti (Università della Calabria), Luca Michelini (Università LUM), Salvatore Monni (Università Roma Tre), Mario Morroni (Università di Pisa), Marco Musella (Università di Napoli ‘Federico II’), Oreste Napolitano (Università di Napoli ‘Parthenope’), Sebastiano Nerozzi (Università Cattolica di Milano), Mario Nuti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Guido Ortona (Università del Piemonte Orientale), Ugo Pagano (Università di Siena), Daniela Palma (ENEA), Antonella Palumbo (Università Roma Tre), Sergio Parrinello (Università di Roma ‘La Sapienza’), Marco Passarella (Università di Bergamo), Rosario Patalano (Università di Napoli ‘Federico II’), Stefano Perri (Università di Macerata), Cosimo Perrotta (Università del Salento), Fabio Petri (Università di Siena), Antonella Picchio (Università di Modena e Reggio Emilia), Marco Piccioni (Università di Napoli ‘Federico II’), Federico Pirro (Università di Bari), Massimo Pivetti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Felice Roberto Pizzuti (Università di Roma ‘La Sapienza’), Elena Podrecca (Università di Trieste), Paolo Ramazzotti (Università di Macerata), Fabio Ravagnani (Università di Roma ‘La Sapienza’), Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Angelo Reati (ISEG), Sergio Rossi (Università di Friburgo), Francesco Scacciati (Università di Torino), Giovanni Scarano (Università Roma Tre), Roberto Schiattarella (Università di Camerino), Ernesto Screpanti (Università di Siena), Annamaria Simonazzi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Riccardo Soliani (Università di Genova), Luca Spinesi (Università di Macerata), Antonella Stirati (Università Roma Tre), Francesca Stroffolini (Università di Napoli ‘Federico II’), Stefano Sylos Labini (ENEA), Valeria Termini (Università Roma Tre), Mario Tiberi (Università di Roma ‘La Sapienza’), Guido Tortorella Esposito (Università del Sannio), Paolo Trabucchi (Università Roma Tre), Attilio Trezzini (Università Roma Tre), Pasquale Tridico (Università Roma Tre), Domenica Tropeano (Università di Macerata), Vittorio Valli (Università di Torino), Michelangelo Vasta (Università di Siena), Alessandro Vercelli (Università di Siena), Carmen Vita (Università del Sannio), Adelino Zanini (Politecnica delle Marche), Gennaro Zezza (Università di Cassino).

Per la rassegna stampa consulare il sito www.letteradeglieconomisti.it o scrivere a info@letteradeglieconomisti.it.

Conferenza stampa di presentazione della Lettera degli economisti

MANOVRA: LETTERA ECONOMISTI, SACRIFICI ACCENTUANO LA CRISI

(ANSA) - NAPOLI, 14 GIU - "Le 'politiche dei sacrifici' intraprese dal governo italiano e da alcuni governi europei rischiano di produrre effetti opposti a quelli annunciati. Esse infatti accentuano la crisi, alimentano la speculazione e potrebbero condurre alla totale deflagrazione della zona euro".
E' quanto scritto in un passaggio della 'Lettera degli economisti', che sara' illustrata domani a Roma dai docenti universitari Emiliano Brancaccio, Riccardo Realfonzo e Antonella Stirati.
La Lettera, sottolinea una nota diffusa a Napoli da Realfonzo, "tocca nodi politici cruciali ed e' destinata a far discutere". Il documento "e' stato gia' sottoscritto da oltre 100 economisti provenienti da diverse scuole di pensiero. Tra di essi si annoverano illustri editorialisti delle maggiori testate nazionali ed alcune tra le piu' autorevoli firme della comunita' scientifica internazionale".
Emiliano Brancaccio e' docente di Macroeconomia all'Universita' degli Studi del Sannio, Antonella Stirati insegna Economia del Lavoro e Macroeconomia all'Universita' Roma 3, Riccardo Realfonzo e' docente di Economia monetaria ed
Economia del Lavoro all'Universita' del Sannio ed e' coordinatore della rivista on line 'Economia e politica'.(ANSA).

14-GIU-10 15:38

La conferenza stampa di presentazione della Lettera degli economisti si terrà martedì 15 giugno a Roma, alle ore 12,00, presso il Centro Congressi Cavour (in via Cavour 50/a).