Napoli, il Robin Hood urbano

Napoli, il Robin Hood urbano
Intervista a Riccardo Realfonzo
di Francesca Pilla
il manifesto, 17 dicembre 2010

È stato assessore al bilancio del Comune di Napoli dal gennaio al dicembre del 2009 e non si è di certo conquistato la simpatia della giunta Iervolino e del sistema di potere costituito in vent’anni di bassolinismo. Riccardo Realfonzo, economista, ordinario nell’Università del Sannio, è arrivato a Palazzo San Giacomo in un momento delicatissimo, dopo lo scandalo del Global service stradale che vide coinvolto l’imprenditore Romeo e ben 4 assessori, e il suicidio di un altro, Giorgio Nugnes. Realfonzo poteva rappresentare la svolta dopo gli scandali, ma la sua permanenza in giunta ha creato resistenze e ostruzionismo, tanto che dopo le sue dimissioni la Iervolino affermò che il professore “voleva fare il Robin Hood”. “Quello è stato un autogol del sindaco – spiega l’ex assessore – perché paragonarmi a un grande eroe della letteratura è quasi una ammissione di colpa”. E così Realfonzo su questa etichetta ci ha scherzato, trasformandola nel titolo del suo libro: Robin Hood a Palazzo San Giacomo (ed. Tullio Pironti).
Realfonzo domattina il libro sarà presentato all’Istituto per gli Studi Filosofici, insieme a due aspiranti sindaci Umberto Ranieri e Libero Mancuso.
Sì e c’è anche Luigi De Magistris.
Ma nonostante le richieste non sembra intenzionato a scendere in campo…
Non so, mi pare che non abbia ancora sciolto la riserva.
In ogni caso dopo la sua esperienza cosa si sente di consigliare ai candidati?
Chiunque si presenti ai napoletani con il centrosinistra può sperare di vincere solo a condizione di proporre un’analisi severa sulle ragioni del fallimento del ventennio bassoliniano e farsi portatore di una radicale discontinuità. E comunque la situazione è gravemente compromessa: il bilancio comunale è a un passo dal dissesto e il sistema delle società partecipate, che gestiscono i servizi pubblici locali, necessità di interventi radicali.
Che è un po’ quanto hai provato a fare lei attirando molte critiche…
Direi che le critiche le facevo io, ed erano tutte dirette al blocco di potere che ruota intorno alle frange egemoni del Pd, che in questi anni ha portato Napoli al collasso. Il fatto è che ho tentato di affrontare i problemi atavici della città con un’operazione di verità sul bilancio, risanando le casse, tentando di restituire servizi pubblici dignitosi ai cittadini, evitando le privatizzazioni. Con il supporto della sinistra in consiglio comunale. E tutto ciò ha dato molto fastidio.
Nel suo libro parla della crisi rifiuti a Napoli. Non è paradossale che dopo due anni non sia cambiato nulla…
Ci sono gravi responsabilità del governo, dal momento che il piano Bertolaso era inadeguato. Ma ci sono anche gravi responsabilità del Comune di Napoli. Si pensi che la società Asia anziché aumentare la raccolta differenziata continua a diminuirla. E questo perché ha gravi problemi organizzativi e finanziari, e pur avendo oltre 2400 lavoratori appalta a privati parte del servizio. Il fatto è che a Napoli le società partecipate sono state usate in tutti questi anni per garantire un consenso di tipo clientelare, e non per assicurare servizi pubblici decorosi ai cittadini. Come è noto, ho tentato di intervenire su questi gravissimi problemi, ma dopo qualche risultato sono stato bloccato.
Perché?
È chiaro che la mia linea, all’insegna del “rigore nel pubblico per la difesa del pubblico”, entrava in contraddizione stridente con l’utilizzo delle partecipate come strumento di potere. Provavo a vederci chiaro su una serie di questioni relative all’utilizzo dei lavoratori, alle qualifiche dei dirigenti, alle assunzioni. Ma andai a sbattere contro un muro di gomma. Fui ostacolato in tutti i modi. Nel libro dimostro tutto ciò, citando ad esempio una eloquente lettera del presidente della società Stoà, Mario Colantonio, al sindaco.
È successo anche nella battaglia per mantenere le risorse idriche in mano pubblica?
Certo. Intanto, la sentenza della Corte costituzionale (quella che dà ragione allo stato nella definizione dell’acqua quale bene economico, ndr.) conferma la linea che avevo assunto: con la normativa imposta dal governo Berlusconi, per evitare le privatizzazioni occorre attribuire il servizio idrico a società per azioni al 100% pubbliche. Sperando che il referendum consentirà di fare vere ripubblicizzazioni. Quando arrivai all’assessorato bloccai il piano di privatizzazioni del mio predecessore e portai all’approvazione in consiglio comunale una delibera in favore dell’acqua pubblica. Successivamente, mandai una schema di delibera al Cda dell’Ato2, il consorzio di comuni che delibera in materia, che prevedeva l’attribuzione del servizio idrico dell’intera provincia di Napoli all’ARIN, una società al 100% pubblica. Ma quella delibera non fu mai portata ai voti. Si perse una grande occasione, considerato che il centrosinistra governava anche in Regione e Provincia. Ora resta spazio solo per una soluzione pasticciata che riguarda il solo capoluogo.
Perché l’Ato2 non approvò la delibera?
Non dovevano gradire molto l’acqua pubblica. E d’altra parte i rappresentanti del Comune di Napoli in seno all’Ato2 erano i medesimi del tentativo di privatizzazione del 2004. Non a caso, avevo insistito con il sindaco per sostituirli con alcuni sostenitori dell’acqua pubblica, come Alberto Lucarelli e Sergio Marotta. Ma anche qui non ci fu nulla da fare.

I dieci anni peggiori di Napoli

Realfonzo: i dieci anni peggiori
di Simona Brandolini
Corriere del Mezzogiorno, 15 dicembre 2010

Professor «Robin Hood», alias Riccardo Realfonzo, secondo lei l’ultimo decennio è stato il peggiore della storia napoletana?
«Sì —sorride e spiega —, perché alle difficoltà della programmazione negoziata, al fallimento delle aspettative sull’euro come volano del Sud, al taglio ai trasferimenti, le giunte regionali e comunali in difficoltà hanno risposto tentando di mantenere il consenso attraverso clientele e prebende».
Realfonzo è autore di un libro (“Robin Hood a Palazzo San Giacomo”, che sarà presentato sabato) sulla sua esperienza di un anno a Palazzo San Giacomo, da assessore al Bilancio, chiusasi con le dimissioni.
Questo decennio è il fallimento della sinistra o no?
«No, semmai di una parte, di quella parte del Pd che ha inseguito le soluzioni clientelari».
Beh, lei è stato in giunta, poteva incidere. Perché non l’ha fatto?
«E’ ben noto che, dopo qualche risultato, sono stato letteralmente bloccato. Lo dimostro nel libro. La via che indicavo, quella della buona amministrazione, del rigore nel pubblico per la difesa del pubblico, del taglio di privilegi e sprechi, è entrata in contraddizione secca con una gestione becera del sistema delle partecipate».
E la strada del consenso clientelare secondo lei ha funzionato?
«No. La città è in ginocchio e l’elettorato di sinistra ha girato le spalle, come si è visto alle ultime regionali. E sale l’astensionismo».
Il libro comincia con la telefonata della Iervolino, il 4 gennaio del 2009, in cui le chiede di fare l’assessore. Cosa sperava?
«Credevo che nel dicembre del 2008 si fosse toccato il fondo: con le inchieste, gli arresti, il drammatico suicidio di Nugnes. E speravo che con quella giunta di tecnici si volesse provare sul serio a cambiare. Ma dopo pochi mesi ci fu una chiusura totale. Non riuscivo neanche ad avere accesso ad informazioni banali. Un muro di gomma. Il sistema proteggeva le società partecipate».
Che sono realmente il bubbone delle amministrazioni locali?
«A Napoli, a parte qualche eccezione, sì».
Dunque non la stupiscono le inchieste della magistratura su parentopoli.
«In generale, non posso certo dirmi stupito, anche se la critica del mio libro si muove sul piano della politica. E vedo che si continua lungo quella strada. Recentemente è stato nominato Armando Palma nel cda di Napoli servizi. Palma è un consigliere della settima municipalità e quindi per legge non potrebbe essere nominato in una società pubblica. Ma passa in silenzio».
Altre stranezze?
«Nel libro ne racconto tante. Come il caso di una nomina proposta da Tino Santangelo per Napolipark. Mi dà un curriculum di tre pagine di un avvocato trentenne, laurea non brillantissima (92), ma uno spiccato interesse per le arti. Aveva esperienze nel Centro studi danza e ginnastica e in una cooperativa teatrale. Era alto un metro e settantaquattro, castano, occhi verdi e la patente B».
E lei che fece?
«Feci irruzione dalla sindaca. Lei si prese in carico la questione. Dopo qualche giorno mi ridiede il curriculum, diciamo asciugato, di suo pugno».
Questo giovane avvocato fu nominato?
«Certo, nonostante tutte le mie proteste».
Dopo il caso Roma, anche Napoli. Come si fanno le assunzioni nelle partecipate?
«Il meccanismo partenopeo si fonda sul reclutamento mediante società interinali, private. Che hanno una bella libertà di azione nella ricerca del personale. Quando ero assessore ebbi a bloccare diversi meccanismi di questo genere. Nel maggio del 2009 mi arrivarono una serie di note circa presunte irregolarità che riguardavano alcune assunzioni in Arin e Napolipark. Li bloccai cautelativamente».
E in Napolisociale?
«Pur essendo assessore alle partecipate alcune erano sottratte al mio controllo, Napolisociale e Elpis erano due di queste».
Lei è stato ascoltato in Procura dopo le sue denunce, ma dal Comune non c’è stata reazione?
«No. C’è un silenzio, direi un silenzio esilarante intorno a questi temi. Io e i cittadini napoletani non abbiamo avuto risposte nel merito delle questioni».
Di chi è la responsabilità e per le partecipate è solo una questione di uomini inadeguati?
«Dal punto di vista politico mi sembra chiaro che il sindaco abbia gravi responsabilità. E comunque il disastro dei servizi pubblici locali dipende anche da questioni finanziarie. Società come Anm, dove stanno tagliando i servizi, hanno decine di milioni di crediti nei confronti del Comune. Per pagare gli stipendi fanno salti mortali e hanno esposizioni fortissime verso le banche. Altro esempio, la raccolta differenziata: Asìa è molto indietro anche perché il flusso finanziario che dal Comune va alla società è insufficiente».
Questo accade perché il governo ha tagliato i trasferimenti?
«Anche. Ma il Comune di Napoli ha tre miliardi e mezzo di residui attivi, cioé crediti in bilancio per riscuotere i quali il Comune incontra gravi difficoltà. Questo dipende principalmente dalla politiche del bilancio praticate dal mio predecessore, Cardillo, e ha forte un impatto negativo sulle società partecipate, sulle forniture, sui lavori pubblici».
Dunque condivide la lettera pastorale del cardinale Sepe?
«Nel dire che si è toccato il fondo ha ragione. L’esperienza del duo Bassolino-Iervolino si chiude come peggio non potrebbe. Ora bisogna mettere punto e andare a capo».

Presentazione del libro "Robin Hood a Palazzo San Giacomo"



Sabato 18 dicembre 2010, alle ore 10,30, presso la sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Palazzo Serra di Cassano, Via Monte di Dio 14 - Napoli), si terrà un dibattito sul libro di Riccardo Realfonzo, “Robin Hood” a Palazzo San Giacomo. Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli (Tullio Pironti Editore, Napoli 2010). Ne discuteranno con l’autore: Luigi de Magistris, Libero Mancuso, Eugenio Mazzarella, Umberto Ranieri. Modera: Marco Demarco.

Troppe nomine disinvolte nella pubblica amministrazione

Troppe nomine disinvolte nella pubblica amministrazione
di Alessio Postiglione
Repubblica Napoli, 11 dicembre 2010.

Dalla nomina del capo dei vigili di Capri a quella di Armando Palma a Napoli Servizi, il sistema di scelta delle risorse umane effettuato dalla politica è al centro del dibattito.
Una buona pubblica amministrazione, per funzionare, ha bisogno di gente preparata. Secondo la Banca Mondiale, la cattiva selezione è un fattore di corruzione, un male che costa alla Campania il 2,9 per cento del Pil, cioè 496 euro ad abitante, secondo le stime della Fondazione Res. Il record in Italia. Se nel calcolo includiamo il costo sociale della camorra, il conto sale a mille euro pro capite. L’inefficienza e la corruzione pubblica, benché due fattispecie distinte, sono oramai percepite come un binomio indissolubile. Secondo uno studio di Transparency International di prossima pubblicazione, infatti, nei Paesi Ocse, il 74 per cento dei cittadini reputa direttamente il governo responsabile della corruzione, e l’85 per cento individua nei partiti i protagonisti di questa degenerazione.
Molti economisti, inoltre, hanno dimostrato che l’incancrenirsi di tali patologie, nel Mezzogiorno, influisce negativamente sul nostro (mancato) sviluppo e spinge via gli investimenti, verso Regioni più sicure e dotate di buone amministrazioni. Purtroppo, la democrazia non è fatta per essere efficiente ma per essere equa, chiosava l’ex governatore di New York Mario Cuomo. Ma, in Campania, la situazione è particolarmente grave. Se è ammissibile che, in nome della rappresentanza, vengano votati politici non illuminati, nei ruoli “tecnici”, la qualità del personale dovrebbe essere assoluta e la selezione immacolata. La querelle nomine, invece, ci suggerisce che le cose vanno diversamente. Lo ha messo nero su bianco l’ex assessore Riccardo Realfonzo, con il suo ultimo libro “Robin Hood a Palazzo San Giacomo”, sostenendo che la Giunta Iervolino si è piegata a logiche clientelari che si basano sui fondi europei e sulle società partecipate. L’analisi del professore è una diagnosi impietosa, ma anche una prescrizione preziosa per un qualsiasi governo realmente riformista che volesse mettere mano ai guai del Comune.
Fra i molti casi segnalati nel libro relativi a tecnici inadeguati, incardinati per grazia ricevuta, colpisce la storia dell’avvocato Gennaro Del Gaudio, cooptato per volontà di Sabatino Santangelo. Quando a Realfonzo fu presentato il curriculum del candidato, il professore stentava a crederci. Del Gaudio era fresco di abilitazione, quindi senza esperienza sul campo, e laureato con un mediocre 92. La lettera di presentazione, in modo tragicomico, era infarcita di amenità quali: tenore del coro, collaboratore di un centro danza, allestitore di mostre fotografiche sul caffè, alunno di corsi di gestione del tempo e automotivazione. Nel libro, l’ex assessore racconta che, alle sue obiezioni, la Iervolino, su pressione di Santagelo, blindava il candidato, asserendo di non poter far scelta diversa. Sola est voluntas, sive arbitrii libertas, dice Cartesio e, in effetti, lo stesso sindaco sembra mancipe delle alchimie della Giunta. La storia sarebbe risibile se non ci fossero in ballo soldi pubblici e Napoli non patisse una dolorosa emorragia di giovani che, brillanti plurilaureati senza benemerenze, fuggono via o lavorano nei call centre. E’ ovvio, quindi, che gli Enti locali debbano fare di più sul fronte della trasparenza.
Così, al sindaco caprese Ciro Lembo, in definitiva, per fugare le accuse relative alla scelta di Marica Avellino come capo delle polizia municipale, non resta che fare una, semplicissima, cosa. Rendere pubbliche e trasparenti le informazioni relative ai titoli e alle competenze della nominata. Sostenere, come ha fatto Lembo, che si tratta di una dottoressa, cioè di una laureata, e che ha lavorato presso “un prestigioso studio penale” è troppo poco. Nei nostri acciaccati enti, i dottori non mancano; è dei signori che si sente la mancanza.

Verso le primarie del centrosinistra

Lettera al Corriere del Mezzogiorno
di Luigi Compagna
Il Corriere del Mezzogiorno, 7 dicembre 2010


Caro direttore,
vendoliana, cofferatiana, bersaniana, o comunque sia, la candidatura di Mancuso a sindaco di Napoli si è profilata in modo davvero sguaiato. Come se il centrosinistra napoletano non abbia diritto a un confronto al proprio interno; come se siano prioritari valori primitivi e generici di moralismo di massa; come se, invece che a chiarire, le elezioni servissero a oscurare problemi e responsabilità nelle ritualità di un populismo senza popolo. Risanamento della finanza locale e trasparenza delle società municipali, che Riccardo Realfonzo e a suo modo il Corriere del Mezzogiorno avevano avuto il merito di proporre all'attenzione del dibattito politico, sembrano destinati a scomparire dall'orizzonte della campagna per Palazzo San Giacomo. In Mancuso la retorica nazionale dell'antiberlusconismo e quella locale dell'anticosentinismo mirano a cancellare ogni libertà di discussione su un bilancio sull'orlo del dissesto e sulle ragioni istituzionali e politiche che lo hanno determinato. Comunista non privo di anticonformismo, Realfonzo aveva invitato a chiedersi perché sulla base di previsioni di entrata sempre eccessive rispetto agli incassi reali si siano volute assumere decisioni di spesa faraonica, perché così poca raccolta differenziata a Napoli, perché nelle società municipalizzate lavori socialmente utili siano stati costantemente sacrificati al reclutamento di lavoratori elettoralmente utili. Conformista estraneo al comunismo, forse, ma ostile alla libertà di determinazione del confronto politico, Mancuso evoca un diritto-dovere della sinistra di prescindere dagli interrogativi e di Realfonzo. Anzi, ogni problema di gestione per Mancuso ha da considerarsi innanzitutto problema di consenso. Al vertice dell'amministrazione comunale gli piacerebbe introdurre savianismo senza contraddittorio, etica di auto-assoluzione dei propri peccati e auto-compiacimento delle proprie virtù, giacobinismo permanente praticato a carico del bilancio pubblico. In fondo, è la stessa etica da anni praticata nelle nostre procure, là dove ergersi a giudici della politica è diventato sport gratificante. A Napoli quella fra Ranieri, Oddati, Cozzolino si era avviata come competizione girondina, della quale si sarebbe avvalsa tutta la città, non solo la sinistra, riproponendo passione civile e rispetto per i propri avversari. Bassolino e la Iervolino hanno rappresentato quel che hanno rappresentato. Ora ci si aspettava in città un girondino marchese di Condorcet. Ed invece con Mancuso rischia di arrivare in città soltanto un Saint Just: efficace contenimento, magari, della candidatura di un De Magistris. Ma nulla di più.

L’ex assessore spara a zero: sprechi e clientele al Comune

L’ex assessore spara a zero: sprechi e clientele al Comunedi Claudio Silvestri
Roma, 4 dicembre 2010


Il Roma ha pubblicato anche:

Il vicesindaco voleva battere moneta, 4 dicembre 2010.

Il Comune nelle mani dei dirigenti, di Claudio Silvestri, 4 dicembre 2010.

I giudizi sui leader politici e sui colleghi di giunta, 4 dicembre 2010.

Robin Hood nella politica clientelare

Robin Hood nella politica clientelare
di Ottavio Lucarelli
Repubblica Napoli, 5 dicembre 2010

Professore Realfonzo, a distanza di un anno cosa resta del suo 2009 a Palazzo San Giacomo?
«La triste consapevolezza che la politica, a Napoli e in Campania, è scivolata dalle esperienze del primissimo Bassolino, attente alle istanze generali, verso una pratica finalizzata a un consenso clientelare. Una politica che nemmeno vede i problemi dei cittadini».
Professore di economia politica all’Università del Sannio, assessore al bilancio e alle aziende da gennaio a dicembre 2009, Riccardo Realfonzo ha scritto “Robin Hood a Palazzo San Giacomo. Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli”.
Tutte battaglie perse, professore?
«Non tutte, non all’inizio. Un’azione per restituire servizi dignitosi ai cittadini l’avevo avviata. Poi il tentativo di una reale discontinuità si è scontrato con un pratica politica becera, che non a caso ha portato il centrosinistra campano a due sconfitte alle provinciali e alle regionali».
Quando ha capito il fallimento della sua mission?
«I primi stop all’azione di rinnovamento sono arrivati in primavera. All’inizio del 2009, dopo la bufera giudiziaria di fine 2008, la lervolino era in difficoltà e la giunta dei tecnici riusciva a lavorare. Feci passare alcune delibere significative per riparare al disastro dei conti».
Qualche esempio?
«La delibera contro la piaga dei debiti fuori bilancio, quella che mirava a rafforzare il controllo sulle società comunali. In consiglio comunale ci fu anche la svolta contro le privatizzazioni e a favore dell’acqua pubblica».
Poi cosa accadde?
«I rappresentanti del Comune nell’Ato2 non sostennero la linea dell’acqua pubblica e i miei tentativi di mettere mano ai problemi dei servizi furono stoppati. Tentai di far inserire figure di tecnici, indipendenti dai partiti, nei consigli di amministrazione delle aziende ma riuscii solo a incidere con la nomina da parte del sindaco del presidente di Napolipark Francesco Saverio Lauro e del consigliere Gesac Carlo lannello».
In che modo la bloccavano a Palazzo San Giacomo?
«Non consentendomi di avere accesso alle informazioni più banali. Nel libro parlo della lettera al sindaco da parte di Colantonio, presidente Stoà, in cui mette nero su bianco che il vicesindaco Tino Santangelo gli aveva detto di non rispondere alle mie richieste».
Quando capì che la lervolino non era più dalla sua parte?
«Dopo l’estate 2009. Compresi che i continui rinvii sulle nomine rispondevano alla logica delle frange del Pd forti in giunta, una scelta funzionale alle elezioni ma del tutto estranea al mio obiettivo di migliorare la qualità dei servizi».
Chi era il braccio armato del sindaco?
«La lervolino mi disse che voleva bene a Santangelo, ma che la figura su cui Bassolino contava era Nicola Oddati».
Ma la Iervolino era ostaggio di se stessa o dei bassoliniani?
«Più volte mi ha ripetuto che Bassolino l’aveva esortata a fare il sindaco, facendole promesse di un sostegno che poi non aveva mantenuto e, anzi, che tante responsabilità, come la vicenda rifiuti, erano state scaricate sul Comune».
Il titolo del libro nasce in consiglio comunale dove la destra la definì Robin Hood?
«Mi vedevano come un soggetto estraneo al potere iervoliniano».
Anche la lervolino la chiamò Robin Hood?
«Dopo le mie dimissioni. Un’ammissione di colpa».

Monnezza comunale

Monnezza comunale
Il Foglio, 4 dicembre 2010

Il governo Berlusconi e l’amministrazione Iervolino? Hanno entrambi gravi colpe nell’emergenza rifiuti a Napoli. Le accuse reciproche, cui abbiamo assistito di recente, nascondono responsabilità da ambo le parti. A partire da quelle del Comune. L’economista Riccardo Realfonzo, oggi docente dell’Università del Sannio, parla così al Foglio dello “status monnezzae” in Campania. E lo fa con cognizione di causa: tra il gennaio del 2009 e il dicembre dello stesso anno, è stato assessore tecnico al bilancio della giunta Iervolino. Gli attriti con il sindaco e con gli amministratori locali sul risanamento delle finanze locali e sull’efficienza delle società municipali (tra cui quell’Asia responsabile della racolta rifiuti a Napoli) lo hanno portato a reassegnare le dimissioni in meno di un anno. Periodo sufficiente perché la sua carriera prendesse una curiosa piega cinematografica: Realfonzo è stato chiamato alternativamente Indiama Jones (dalla stampa, per la ricerca del “bilancio perduto” del Comune) e Robin Hood (dalla stessa Rosa Russo Iervolino, dopo le sue dimissioni all’inizio del 2010, per presunte attitudini da “bandito” solitario).
Negli anni, Realfonzo si è fatto la reputazione di uno che non se ne sta in disparte. Nel 2006 ha promosso l’appello degli economisti per la stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e pil, durante il governo Prodi è stato membro del comitato scientifico “Industria 2015” del ministro Pier Luigi Bersani, ed è stato consigliere economico del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Adesso Realfonzo si prepara a irrompere nel dibattito sulla monnezza con il suo libro in uscita: “Robin Hood a Palazzo San Giacomo – Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli” (Tullio Pironti Editore, 12 euro), che il Foglio ha letto in anteprima. “Il piano Bertolaso elaborato dal governo Berlusconi era molto debole ed è rimasto in larga parte inattuato”, commenta Realfonzo, “non offriva soluzioni compiute e definitive al problema”. “Ma anche l’amministrazione di Napoli ha responsabilità enormi: in primo luogo perché, allora come oggi, tutte le società comunali vantano decine di milioni di euro di crediti verso il Comune che non riescono a incassare». Aggiunge Realfonzo al Foglio: “Il fatto è che, prima e dopo il mio tentativo di risanamento, il Comune si è reso protagonista di una azione amministrativa inefficiente e a volte di tipo clientelare, con pesanti ripercussioni sul bilancio. Tra l’altro, le previsioni di entrata si sono rivelate eccessive rispetto agli incassi reali. E poiché sulla base di quelle previsioni venivano assunte le decisioni di spesa, il risultato è un bilancio sull’orlo del dissesto”.
Ma ci sono altre ragioni di natura strutturale alla base dell’emergenza rifiuti: “Uno dei problemi evidenti è che Asia, pur avendo circa 2500 dipendenti, ha una percentuale elevatissima di lavoratori inidonei. Parliamo di circa 300 operatori di raccolta rifiuti che però non svolgono servizio sulle strade”. Quello che servirebbe davvero, conclude Realfonzo, è uno sforzo concreto per aumentare la raccolta differenziata: “Stando a una legge del 2008, la percentuale di differenziata dovrebbe raggiungere il 35 per cento del volume dei rifiuti entro fine 2010. Siamo ancora al 16 per cento. Se il Comune non riuscirà varare una politica di rigore nell’utilizzo delle risorse pubbliche, qualsiasi tentativo di migliorare la situazione sarà vanificata dalla pesantissima situazione finanziaria».

Realfonzo, tutte le verità del "Robin Hood" di Palazzo San Giacomo

Il Corriere del Mezzogiorno, 3 dicembre 2010

Pubblichiamo ampi stralci della prefazione del libro Robin Hood a Palazzo San Giacomo, scritto da Riccardo Realfonzo, ex assessore al bilancio del Comune di Napoli (Tullio Pironti Editore), da pochi giorni in libreria.

Questo libro racconta un anno di battaglie a Palazzo San Giacomo, cominciato con la mia nomina ad assessore tecnico del Comune di Napoli nel gennaio del 2009 e terminato nel dicembre, con le mie dimissioni. All’origine di tutto vi è stato un vero e proprio “incidente della Storia”, che si è verificato allorché la crisi della politica partenopea si è manifestata tanto acuta – a seguito di una serie di scandali e alcune inchieste della magistratura – da indurre il sindaco Iervolino a ricostruire la giunta cittadina, pescando nella società civile e in particolare nel mondo accademico. È così che sono entrato in giunta, andando a ricoprire il ruolo chiave di responsabile dell’assessorato alle risorse strategiche, con le deleghe al bilancio e alle società comunali. E ho provato, con la collaborazione di un gruppo di intellettuali e il sostegno di una parte del mondo progressista partenopeo, ad aggredire alcuni problemi atavici di Napoli, nel tentativo di inserire qualche granello di buona amministrazione nella vita cittadina.
Il libro ricostruisce quelle vicende, e mette a nudo – a tratti forse impietosamente – quante e quali siano le debolezze, ed anche le inadeguatezze, di quella ristretta casta di politici che gravita intorno alle frange egemoni del Partito Democratico in Campania, e che ha avuto in tutti questi anni in mano il governo della città. E tuttavia, per quanto la narrazione indugi su quelle figure e sulla loro azione politica e amministrativa, l’insegnamento generale che ho tratto da questa mia esperienza va anche al di là del piano delle responsabilità politiche individuali.
Il punto è che in quell’anno a Palazzo San Giacomo è emerso con sempre maggiore chiarezza un conflitto di fondo tra l’esigenza inderogabile di una azione riformatrice per Napoli, ispirata a principi e istanze di carattere collettivo e generale, di cui ho cercato faticosamente di farmi interprete, e una diffusa pratica politica finalizzata alla ricerca di un consenso di tipo particolaristico e al limite anche clientelare, che continua ad essere portata avanti dal gruppo di potere che controlla il Comune, e che fino a poco fa aveva in mano anche la Regione. Benché la prima strada, quella della politica “alta”, sia stata accarezzata dallo stesso Bassolino nei primi anni Novanta, agli esordi della sua stagione di governo a Napoli, le amministrazioni del centrosinistra progressivamente sono scivolate nella seconda, quella dei particolarismi e delle “intermediazioni improprie”, mettendo in atto un complesso di strategie che insegue confusamente gruppi di interesse e consensi d’accatto. E ciò operando principalmente mediante i fondi europei, non a caso improduttivamente spezzettati e sparsi sul territorio, senza alcuna organicità, e il sistema delle società pubbliche, come veicolo più elastico e meno controllabile per costruire reti di favori e consensi. Una impostazione questa che, dopo una fase di debolezza e apparente apertura al rinnovamento, è risultata presto incompatibile con l’applicazione trasparente dei principi guida che io ho proposto, come il “rigore nel pubblico per la difesa del pubblico”, che poi significa pretendere il massimo sforzo per utilizzare al meglio le risorse pubbliche, restituire dignità e servizi decorosi ai cittadini, evitare la deriva della privatizzazione dell’acqua e degli altri servizi pubblici fondamentali, creando le condizioni per il progresso economico e sociale.
Si capisce così che il problema non consiste tanto nel fissare responsabilità politiche individuali, quanto nel chiarire che il fallimento di questa stagione amministrativa del centrosinistra a Napoli e in Campania – e in altre aree del Mezzogiorno, in particolare – è dipeso dal radicarsi di quel sistema di potere tentacolare, così caratteristico della cosiddetta Prima Repubblica, che ha prodotto sperpero delle risorse, immobilismo sociale, assenza di sviluppo. E che ha finito per aprire la strada alle destre, dal momento che si è rivelato fallimentare sul piano stesso del consenso politico, come poi hanno dimostrato le tornate elettorali del 2009 e del 2010, in Provincia e in Regione.
Ho provato ad arrestare quella deriva, ma dopo un periodo iniziale, in cui la giunta di tecnici dovette far comodo, io e le forze che mi hanno sostenuto ci siamo trovati di fronte a un muro di gomma. E per questo mi sono dimesso, nel dicembre del 2009, anche confidando che la coerenza di quel mio gesto potesse contribuire a tener viva l’idea di una nuova politica economica e sociale, che finalmente offrisse alla città la speranza di un riscatto.
Diversa è stata la lettura che ne ha proposto il Palazzo. Il problema, a dire del sindaco Iervolino, è che io volevo fare il “Robin Hood”.