La battaglia in Europa per dare una scossa all'economia

La battaglia in Europa per dare una scossa all'economia
di Riccardo Realfonzo
L'Unità, 12 novembre 2013

Le dichiarazioni del presidente Letta, in visita a Malta, fanno sperare che il governo stia aprendo gli occhi sulla necessità di cambiare indirizzo di politica economica. Letta ha affermato che in Europa bisognerebbe fermare le politiche di austerità e che vorrebbe dedicare il semestre di presidenza italiana alla elaborazione di una strategia per la crescita. L’auspicio è che anche nelle stanze del governo ci sia chiarezza sul fatto che, al di là delle fantasiose previsioni governative di crescita per il 2014, i vincoli europei impediscono di costruire una Legge di Stabilità che rilanci l’economia. Questo è ciò che pensa quella parte del mondo scientifico che non ha mai subito il fascino della “teoria dell’austerità espansiva”; e questo è ciò che emerge dalle posizioni espresse dalle parti sociali. A riguardo, è sufficiente leggere le dichiarazioni del presidente di Confindustria Squinzi, per il quale non può esserci crescita dentro il vincolo del deficit al 3%.
Un qualche effetto lo avrà avuto anche il dibattito di questi giorni sulla paradossale violazione dei vincoli europei sul commercio con l’estero da parte di alcuni tra i paesi più prosperi, Germania in testa, di cui pare essersi accorta (buon’ultima) la Commissione Europea. È ben noto che la Germania sta praticando una politica mercantilista, votata alla continua espansione del proprio surplus commerciale. Questo obiettivo è stato tenacemente perseguito con politiche di austerità che hanno collocato il deficit pubblico molto al di sotto del limite del 3%, ed anche con politiche di contenimento salariale che hanno determinato una crescita dei salari tedeschi di venti punti inferiore alla media europea (dati Commissione Europea). Il risultato è che la Germania ha contratto la sua domanda di prodotti europei e ha accresciuto molto le sue esportazioni, facendo l’esatto contrario di ciò che il paese più ricco dovrebbe fare, cioè agire da locomotiva della domanda europea. Così ha accumulato avanzi commerciali intorno al 7% del pil violando ampiamente il limite, già tanto elevato da essere quasi inesistente, del 6% stabilito dai trattati. L’economia tedesca ha potuto così mettere in moto un forte sviluppo trainato dalle esportazioni, che però scarica il suo prezzo sul resto d’Europa, specie quella periferica, Italia inclusa. È così che, da quando è scoppiata la crisi, la Germania si è ripresa efficacemente, al punto che il valore della produzione nazionale è cresciuto in termini reali di circa 5 punti percentuali e la disoccupazione è scesa di circa un terzo. Mentre noi abbiamo perso il 9% del pil, raddoppiato la disoccupazione e vediamo crescere le insolvenze delle imprese a un ritmo di quasi il 20% (dati Creditreform).
È chiaro dunque che la politica economica tedesca approfondisce gli squilibri dell’area euro e viola gli impegni assunti con il Six Pack. Così come è chiaro che il sistema di vincoli europei e le cosiddette “riforme strutturali” non stanno modernizzando l’Italia né le altre periferie europee. Stando così le cose, anche gli emendamenti alla Legge di Stabilità, pur necessari, non riusciranno ad alterare la sua natura. Per ridare fiato all’economia bisognerebbe trovare la forza di guidare il Paese oltre i limiti europei, superando il vincolo del 3%. La proposta è quella che avanzai già su queste colonne nel maggio scorso. Occorrerebbe impiegare un volume di risorse pari all’avanzo primario – l’eccesso delle entrate sulle spese pubbliche, esclusi gli interessi sul debito – per finanziare politiche industriali e abbattere significativamente il cuneo fiscale, rilanciando domanda interna ed esportazioni. La manovra ammonterebbe a circa 2,5 punti di pil, cioè oltre 35 miliardi di euro, porterebbe il nostro rapporto deficit/pil intorno al 5,5% e avrebbe un effetto di rilievo sulla crescita, aumentando rapidamente l’occupazione. Per comprendere l’impatto della manovra occorre stimare il valore del moltiplicatore della politica fiscale, che secondo alcuni studi relativi all’Italia in condizioni recessive sarebbe intorno a 2. Assumendo più prudentemente il valore medio (pari a 1,3) dell’intervallo calcolato dal capo economista del FMI, Olivier Blanchard, si stima che questa manovra spingerebbe in alto il pil italiano di tre punti percentuali, rilanciando davvero la crescita. Inoltre, gli incrementi di deficit e debito sarebbero in buona misura riassorbiti dall’aumento stesso del pil, che abbatte i rapporti di finanza pubblica, e dal conseguente incremento della raccolta fiscale (almeno un punto di pil).
Per rendere politicamente praticabile questa ricetta non si può attendere il semestre di presidenza italiana. La crisi morde da troppo tempo e la fiducia verso l’Europa unita è ai minimi storici. Occorre agire adesso.