Con il referendum diciamo no all'austerità flessibile

L'austerità flessibile non risolve i problemi italiani ed europei
Riccardo Realfonzo sul referendum stop austerità al tg di RaiNews
26 giugno 2014


Una firma per l'estate

Una firma per l'estate
di Roberto Ciccarelli
il manifesto, 27 giugno 2014

Novanta giorni, da gio­vedì 3 luglio a mar­tedì 30 set­tem­bre. È que­sto il tempo a dispo­si­zione del comi­tato pro­mo­tore dei quat­tro refe­ren­dum «Stop all’austerità, sì alla cre­scita, sì all’Europa del lavoro e di un nuovo svi­luppo» per rac­co­gliere 500 mila firme e con­vo­care una con­sul­ta­zione popo­lare sul Fiscal com­pact, il «pilota auto­ma­tico» che obbli­gherà l’Italia a tagliare il debito pub­blico dal 133% al 60% a par­tire dal 2016 fino al 2036.
Com­po­sto da eco­no­mi­sti, giu­ri­sti e sin­da­ca­li­sti di diverso orien­ta­mento cul­tu­rale e poli­tico, dall’ex vice­mi­ni­stro Pdl dell’Economia, Mario Bal­das­sarri, al sin­da­ca­li­sta Cgil Danilo Barbi, dagli eco­no­mi­sti Ric­cardo Real­fonzo e Gustavo Piga, a Cesare Salvi, Laura Pen­nac­chi e Paolo De Ioanna, ieri alla pre­sen­ta­zione dell’iniziativa alla Camera dei depu­tati il comi­tato si è mostrato fidu­cioso sulla pos­si­bi­lità di sca­lare una vetta impe­gna­tiva in breve tempo. Un giu­ri­sta come Giu­lio Salerno ritiene che i quat­tro que­siti refe­ren­dari su alcune dispo­si­zioni della legge 243 del 2012 (la legge che ha attuato il prin­ci­pio di equi­li­brio del bilan­cio pub­blico intro­dotto dalla legge costi­tu­zio­nale n°1 del 2012), pos­sano essere giu­di­cati ammis­si­bili dalla Corte Costituzionale.
Il refe­ren­dum si rivolge ad una legge ordi­na­ria di attua­zione della Costi­tu­zione e non com­por­terà la vio­la­zione degli obbli­ghi con­tratti dal nostro paese in sede euro­pea o in un trat­tato inter­na­zio­nale, fat­ti­spe­cie che non potreb­bero essere oggetto di una con­sul­ta­zione refe­ren­da­ria.
Secondo Giu­lio Salerno, pur essendo stato votato dalla mag­gio­ranza asso­luta dei mem­bri delle Camere, il pareg­gio di bilan­cio non può essere con­si­de­rato una norma «rin­for­zata e orga­nica». In più, non tutte le parti del pila­stro dell’austerità finan­zia­ria sono costi­tu­zio­nal­mente vin­co­late. È anzi pos­si­bile abro­gare i punti che non inci­dono diret­ta­mente sulla defi­ni­zione del bilan­cio dello Stato.
Que­sto aspetto è stato stu­diato nell’ultimo anno in una serie di incon­tri e di pub­bli­ca­zioni curate dall’associazione «Viag­gia­tori in movi­mento». Creata dall’economista Gustavo Piga, a que­sta asso­cia­zione par­te­ci­pano anche poli­tici della prima e della seconda Repub­blica quali Mario Segni, Gior­gio La Malfa, Enzo Carra e Paolo Cirino Pomi­cino, oltre che Bruno Tabacci e Cesare Salvi. Una volta com­po­sto il comi­tato pro­mo­tore, e otte­nuto l’impegno della Cgil a rac­co­gliere le firme durante l’estate, si è pre­ci­sata la rispo­sta all’insidioso argo­mento sull’ammissibilità del refe­ren­dum anti-austerity. Tranne il rife­ri­mento ai para­me­tri giu­ri­dici euro­pei, la legge 243 del 2012 non accenna al trat­tato inter­na­zio­nale costi­tu­tivo del Fiscal com­pact. Quest’ultimo non riguarda l’Unione euro­pea, ma gli stati che hanno ade­rito alla moneta unica. Il comi­tato pro­mo­tore ritiene così di avere aggi­rato i divieti per l’iniziativa referendaria.
I quat­tro «Sì» richie­sti potreb­bero modi­fi­care l’applicazione «ottusa» del prin­ci­pio dell’equilibrio di bilan­cio, eli­mi­nando alcune gravi stor­ture intro­dotte dal par­la­mento ita­liano. Si vuole così eli­mi­nare le dispo­si­zioni che obbli­gano governo e par­la­mento a fis­sare obiet­tivi di bilan­cio più gra­vosi di quelli defi­niti in sede euro­pea. Il refe­ren­dum abroga la dispo­si­zione che pre­vede la cor­ri­spon­denza tra il prin­ci­pio costi­tu­zio­nale di bilan­cio e il con­sid­detto «obiet­tivo a medio ter­mine» sta­bi­lito in Europa, una norma che non è impo­sta dal Fiscal com­pact. Vin­cendo il refe­ren­dum, l’Italia potrebbe ricor­rere all’indebitamento per rea­liz­zare ope­ra­zioni finan­zia­rie, un’azione oggi vie­tata. Infine, ver­rebbe abro­gata l’attivazione auto­ma­tica del mec­ca­ni­smo che impone tasse o tagli alla spesa pub­blica in caso di non rag­giun­gi­mento dell’obiettivo di bilan­cio, deciso dai trat­tati inter­na­zio­nali e non dall’Unione europea.
Al di là dei tec­ni­ci­smi, il signi­fi­cato del refe­ren­dum è poli­tico. Vuole rom­pere l’embargo intel­let­tuale e la para­lisi poli­tica creata dal com­mis­sa­ria­mento della poli­tica eco­no­mica da parte delle lar­ghe intese e rac­co­gliere un con­senso dif­fuso sul fatto che i trat­tati euro­pei vanno cam­biati, non sem­pli­ce­mente appli­cati. Secondo l’economista Ric­cardo Real­fonzo, la pro­spet­tiva indi­cata dal pre­si­dente del Con­si­glio Renzi, quella dell’«austerità fles­si­bile», è ina­de­guata: «Va incon­tro ai Paesi in dif­fi­coltà senza però cam­biare real­mente il disa­stro pro­dotto dalle poli­ti­che ispi­rate all’”austerità espan­siva” — afferma — Tra l’altro sono stati fatti errori enormi sui mol­ti­pli­ca­tori fiscali. È scien­ti­fi­ca­mente pro­vato ormai che, ad esem­pio, un taglio da 10 miliardi di euro alla spesa pub­blica implica una per­dita di 17 miliardi di euro del Pil. Renzi vuole atte­nuare l’austerità invo­cando la fles­si­bi­lità dei trat­tati, ma in realtà si è impe­gnato a rag­giun­gere gli stessi obiet­tivi di lungo periodo sta­bi­liti nei trat­tati. Per que­sto oggi abbiamo biso­gno di una spinta dal basso per eser­ci­tare una pres­sione sul governo ita­liano e quelli euro­pei. Biso­gna dare un segnale forte».
Ad oggi hanno ade­rito alla cam­pa­gna refe­ren­da­ria Sel e alcuni espo­nenti del par­tito Demo­cra­tico. Per l’ex vice-ministro dell’economia Ste­fano Fas­sina (Pd), il refe­ren­dum è l’unica strada «per sal­vare l’Europa» anche se il «Par­la­mento non è ancora con­sa­pe­vole della dram­ma­ti­cità della que­stione», così come lo stesso Renzi non ha «dato la sen­sa­zione di essere con­sa­pe­vole». Al refe­ren­dum sarebbe inte­res­sato anche Gianni Cuperlo. L’ex Sel, Gen­naro Migliore, pas­sato al gruppo misto, lo sostiene. «Oggi si fa molta reto­rica sull’austerità – ha detto Giu­lio Mar­con (Sel) – ma sulle scelte poli­ti­che non si fa un passo avanti. I trat­tati vanno cam­biati, il refe­ren­dum ci offre uno stru­mento per rilan­ciare il dibattito».

Contro l'austerità flessibile, passiamo dalle parole ai fatti

Un referendum contro l'austerità: passiamo dalle parole ai fatti
Intervista a Riccardo Realfonzo
di Giacomo Russo Spena
Micromega, 25 giugno 2014

Referendum Stop all'austerità - Conferenza stampa presso la Camera dei Deputati

Comunicato stampa del Comitato promotore dei 4 referendum

STOP ALL’AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO

L’austerità ha fallito
Riprendiamoci la crescita, riprendiamoci l’Europa

Conferenza Stampa 
Sala Stampa della Camera dei Deputati
Via della Missione 4 – Roma
Giovedì 26 giugno 2014 
ore 13.00

I componenti del comitato promotore illustreranno le ragioni della iniziativa referendaria e descriveranno i quattro quesiti, alla presenza di alcuni tra gli esponenti delle forze sociali e politiche che hanno già preannunciato il loro sostegno alla campagna.

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VOTA SI’ AI 4 REFERENDUM "STOP ALL'AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO"

Quattro quesiti referendari, per modificare alcune disposizioni della legge 243 del 2012, approvata nel periodo del Governo Monti, che ha costretto l'Italia a vincoli persino più stringenti di quelli previsti dalla normativa europea e dal cosiddetto “Fiscal Compact”. Come è noto, tutti i documenti governativi di programmazione economico-finanziaria da allora si sono attenuti ai vincoli europei, con gravi conseguenze sul piano economico e sociale. Il referendum è l'unico strumento che i cittadini hanno per lanciare un segnale forte al nostro Parlamento, per chiedere di fermare le politiche austere e ottuse che finiscono per aggravare il quadro recessivo, e per invocare una svolta espansiva di politica economica a favore dello sviluppo e del lavoro.

Da molti anni ormai spieghiamo che l'austerità non è la soluzione ai problemi creati dalla crisi. I dati relativi al nostro Paese parlano chiaro: “grazie” alle politiche messe in atto dal 2007 al 2013 si sono ottenuti questi risultati:

Aumento del tasso di disoccupazione: da a 6.1% al 12.7%
Aumento del tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni):  da 20,3% a 43,3% 
Diminuzione del PIL reale: - 8.5%
Aumento del rapporto debito-PIL: da 103.3% a 132.7%
Imprese che hanno cessato l'attività: 2.880.601 

Votare Sì ai quattro quesiti referendari che proponiamo, è una scelta di respiro non solo italiano, ma europeo.
Vuol dire, infatti, salvare l’Europa da politiche che dividono arbitrariamente il Continente tra Paesi di serie A e Paesi di serie B, riversando sulle realtà periferiche i più pesanti oneri del riequilibrio macroeconomico, con costi sociali non sostenibili. Vuol dire evitare che i  vincoli dell’austerità europea continuino a sfibrare il tessuto della comune cittadinanza europea facendo crescere l’intolleranza, scardinando le reti di solidarietà, mettendo a rischio la stessa tenuta dell’eurozona e il progetto di una Unione tra i popoli.

Con i Sì ai quesiti referendari daremmo una spallata a quell’ottusa austerità fatta da maggiori tasse e da tagli alla spesa che, in questa fase di recessione, peggiora il quadro della finanza pubblica e genera ulteriore disoccupazione, disgregando il tessuto sociale, frantumando le istituzioni pubbliche nazionali.

Con il Sì ai quattro referendum, daremo un impulso a un nuovo quadro di politica economica nel quale gli obiettivi delle politiche nazionali di bilancio siano finalizzati al sviluppo e al benessere dei popoli, e non siano meccanicamente vincolati da decisioni assunte da tecnocrazie europee sulla base di analisi tecniche fortemente discutibili (come quelle relative al PIL potenziale o alla disoccupazione naturale). Con i quattro Sì riporteremo democraticità nei processi decisionali che incidono sulle condizioni di vita di milioni di persone.  

Con i quattro Sì vogliamo sostenere tutti i governi europei e le forze politiche del Continente che si dimostrino realmente intenzionate a risvegliare la “bella addormentata” Europa. Rimettere le politiche economiche al servizio dello sviluppo, della occupazione della solidarietà tra i popoli, in un quadro democratico, è oggi indispensabile per rilanciare lo straordinario progetto di unione tra i popoli europei che fu concepito all’indomani dei tragici eventi della seconda guerra mondiale.

Sul piano giuridico, i quattro quesiti si propongono di abrogare quelle norme di legge che, imponendo o consentendo oneri aggiuntivi, vessatori e comunque ancora più rigoristi rispetto a quanto richiesto dalle norme europee e dal Fiscal compact, si presentano come una applicazione particolarmente “ottusa” del principio di equilibrio dei bilanci.

Per questi motivi, occorre votare “Sì” ai quattro referendum abrogativi "Stop all'austerità - Sì alla crescita, Sì all'Europa del lavoro e dello sviluppo".

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VOTA SÌ AI 4 REFERENDUM "STOP ALL'AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO"

Il Comitato promotore è formato da personalità di diversissima formazione culturale e sensibilità politica, accomunate dalla critica ai vincoli europei dell’austerità e dalla consapevolezza dell’urgenza di una svolta espansiva alle politiche economiche nell'interesse generale della collettività.

COMITATO PROMOTORE  (e-mail: referendumstopausterita@gmail.com)

1) Mario Baldassarri, prof. univ. di economia politica
2) Danilo Barbi, CGIL nazionale
3) Leonardo Becchetti, prof. univ. di economia politica
4) MarioBertolissi, prof. univ. di diritto costituzionale
5) Melania Boni, dirigente pubblico
6) Flaviano Bruno, consulente
7) Rosella Castellano, prof. univ. di finanza matematica
8) Massimo D’Antoni, prof. univ. di scienza delle finanze
9) Paolo De Ioanna, consigliere di Stato  
10) Antonio Pedone, prof. univ. di scienza delle finanze
11) Laura Pennacchi, responsabile Forum Economia CGIL
12) Nicola Piepoli, presidente Istituto Piepoli
13) Gustavo Piga, prof. univ. di economia politica
14) Riccardo Realfonzo, prof. univ. di economia politica
15) Giulio M. Salerno, prof. univ. di diritto pubblico
16) Cesare Salvi, prof. univ. di diritto civile.

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VOTA SI’ AI 4 REFERENDUM "STOP ALL'AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO"

Su cosa si vota

I quattro quesiti referendari  hanno per oggetto alcune disposizioni della legge n.243 del 2012, la legge che ha dato attuazione al principio di equilibrio dei bilanci pubblici introdotto nella Costituzione con la legge cost. n. 1 del 2012.

Con questi referendum si intendono abrogare alcune disposizioni della legge n. 243 del 2012 che prescrivono modalità attuative del principio di equilibrio dei bilanci che non sono previste dalla Costituzione, né imposte dalla normativa europea o dal Fiscal Compact. Si tratta di disposizioni che danno luogo ad un’applicazione particolarmente "ottusa" del principio di equilibrio dei bilanci. Le disposizioni che sono oggetto dei quattro quesiti, infatti, impongono o consentono decisioni pubbliche inutilmente vessatorie e pericolosamente restrittive per l'economia, il lavoro, lo sviluppo del Paese. 

L’approvazione dei quesiti referendari non metterà a rischio il principio costituzionale di equilibrio dei bilanci, né comporterà la violazione degli obblighi assunti in sede europea o internazionale, ma eliminerà le storture applicative che sono state stabilite dalla legge n. 243 del 2012 e favorirà una rivisitazione delle politiche macroeconomiche europee.

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SCHEDA TECNICA

L’abrogazione delle singole disposizioni, ognuna riferita ai quattro quesiti, avrà le seguenti conseguenze:

Quesito 1) attuando il principio costituzionale dell'equilibrio dei bilanci pubblici, il Governo e il Parlamento non potranno stabilire obiettivi di bilancio più gravosi di quelli definiti in sede europea. In particolare, con il referendum vengono abrogate quelle parti di due disposizioni che - precisando, per ben due volte, "almeno" - consentono di andare al di là degli obiettivi di bilancio stabiliti dall'Unione.

Quesito 2) il principio costituzionale di equilibrio dei bilanci pubblici non sarà più inteso come automatica e meccanica applicazione di un obiettivo stabilito dall'Unione europea, fra l’altro con modalità poco trasparenti. Con il referendum si abroga la disposizione che prevede l'esatta "corrispondenza" tra il principio costituzionale di bilancio e il cosiddetto "obiettivo a medio termine" stabilito in sede europea.  Le normative europee, va aggiunto, non impongono la rigida e assoluta coincidenza degli obiettivi di bilancio nazionale con l'"obiettivo a medio termine"; ben diversamente, si prevedono condizioni di flessibilità che, con il referendum abrogativo, si intendono compiutamente ripristinare ed applicare.

Quesito 3) l'Italia potrà ricorrere all'indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie anche se non si verificano gli specifici eventi di carattere straordinario previsti dalla legge. Con il referendum si intende abrogare la norma che limita il ricorso all’indebitamento per realizzare operazioni finanziarie ai soli casi eccezionali stabiliti dalla legge, limite che non scaturisce dalla Costituzione, né è imposto da impegni europei. Abrogando questo limite, si consentirà al nostro Paese di contrastare gli effetti del ciclo economico negativo con un maggior ventaglio di strumenti di politica economica e industriale.

Quesito 4) l’attivazione obbligatoria e automatica del cosiddetto "meccanismo di correzione" delle politiche di finanza pubblica (meccanismo che, per intenderci, imporrà nuove tasse o riduzione delle spese pubbliche se non sarà raggiunto l'obiettivo di bilancio) avverrà soltanto quando previsto dall’Unione europea, e non anche quando imposto da trattati internazionali. Con il referendum si intende abrogare quella parte della legge che impone l'attivazione del meccanismo di correzione quando si determina uno scostamento considerato "significativo" anche sulla base di trattati internazionali. 

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Estratto dalla Gazzetta Ufficiale 
Serie generale - n. 135
13-6-2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di  Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 4, comma 4 (“4. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 6, comma 6, non è consentito il ricorso all’indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite fi nanziarie.”) della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione”?” 

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 8, comma 1, limitatamente alle parole: “e dagli accordi internazionali in materia”, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione”?”

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 3, comma 2 (“2. L’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo a medio termine.”) della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art.  81, sesto comma, della Costituzione”?”

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che siano abrogati l’art. 3, comma 3, limitatamente alla parola: “almeno”, e l’art. 3, comma 5, lettera a) , limitatamente alla parola: “almeno”, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione”?”

Referendum: quel granello di sabbia nel fiscal compact


di Stefano Feltri
Il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2014

Cari italiani, volete decenni di austerità fiscale o preferite che si possa fare un po' di deficit, per aumentare le spese o ridurre le tasse? Facile immaginare la risposta, nessuno è felice di essere tartassato. Ed è la ragione per cui la Costituzione vieta i referendum in materia fiscale così come li vieta sulla ratifica dei trattati internazionali (è la democrazia rappresentativa: si suppone che i rappresentanti eletti siano più titolati a rappresentare gli interessi generali che l'elettorato consultato direttamente). Il Fiscal compact - il più stringente dei nuovi vincoli di bilancio post-crisi che ha modificato anche la Costituzione - è un trattato internazionale ratificato dal Parlamento che interviene in materia fiscale. Quindi, in teoria, al riparo dai referendum. Ma un gruppo di economisti ha lanciato una campagna per bloccarlo per via referendaria: bisogna intervenire sulla legge 24 dicembre 2012 n. 243 che si occupa delle "disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione".
I quesiti scritti da alcuni economisti, tra cui Riccardo Realfonzo e Gustavo Piga, sono ben congegnati: con piccole modifiche abrogative riescono a neutralizzare il Fiscal Compact, soprattutto i suoi effetti perversi che impongono nella pratica un rigore (tra contenimento del deficit e pareggio di bilancio strutturale) perfino superiore a quello previsto dallo spirito del trattato. Il Fiscal Compact, voluto dalla Germania tra 2011 e 2012, è stato una violenza continentale, perché imposto scavalcando l'ordinamento comunitario con le sue garanzie. Ha creato una gabbia contabile in parte sovrapposta in parte aggiuntiva alle norme decise a Bruxelles (Six Pack, Two Pack ecc). Un obbrobrio giuridico che i nostri parlamentari hanno serenamente votato nell'estate 2012, modificando anche la Costituzione. Un certo grado di coordinamento delle finanze pubbliche europee è necessario (fin dai tempi del trattato di Maastricht del 1992) per dare credibilità all'euro e alle prospettive di integrazione economica. Ma un'austerità violenta su basi giuridiche fragili - basti pensare all'inesistente legittimità della Troika, secondo l'Europarlamento incompatibile coi trattati - è poco popolare e facilmente contestabile.
Il referendum di Realfonzo e Piga difficilmente avrà grandi risultati: il voto alle europee ha premiato il Pd di Renzi che si è impegnato a rispettare i vincoli. Ma l'iniziativa degli economisti è comunque preziosa: per marcare il cambio di fase rispetto all'ossessione rigorista degli anni scorsi, non è necessario ottenere una modifica dei trattati o della Costituzione. Basta mettere qualche granello di sabbia nell'ingranaggio dell'austerità. Con i referendum o per altre vie.

Archiviare l'austerity

Archiviare l’austerity
di Riccardo Realfonzo
L’Unità, 18 giugno 2014

Le politiche anticrisi possono essere diverse. Dopo la crisi scoppiata nel 2007, negli USA Obama ha stanziato risorse per circa 800 miliardi di dollari da investire in opere pubbliche, incentivi alle imprese, sussidi di disoccupazione. Viceversa, nell’eurozona abbiamo stretto ulteriormente la cinghia andando avanti con le politiche fiscali restrittive per accumulare avanzi primari e rispettare i vincoli europei. E anche i risultati delle politiche possono essere diversi. Negli USA l’economia ha almeno per ora ripreso a crescere, e il pil è 8 punti superiore rispetto al 2007: la crisi è un lontano ricordo. Nell’eurozona, viceversa, il pil resta ancora inferiore al dato pre-crisi e ben 19 milioni di disoccupati (+ 65% rispetto al 2007) ci ricordano che siamo ancora nel tunnel.
Con questi dati e con la crescita nel Parlamento Europeo delle forze politiche critiche (in vario modo) verso le politiche di austerità, non stupisce che le pressioni per allentare il Patto di Stabilità si moltiplichino. Ed è così che il ministro tedesco dell’economia, Sigmar Gabriel, vicecancelliere e presidente della Spd, è intervenuto per sostenere che dal computo del deficit degli Stati dovrebbero essere esclusi «i costi generati dalle misure di riforma».
L’idea di scorporare alcune spese dal Patto di Stabilità non è certo nuova. Si è parlato a più riprese nel passato della possibilità di escludere dal calcolo del vincolo del deficit (il 3% del pil) le spese per investimenti. Un tentativo che finora non ha portato a nulla. Adesso ci sono due novità. La prima, tutta politica, è che una propensione in questa direzione viene per la prima volta espressa da un autorevole membro del governo Merkel. La seconda, sta in questa formula curiosa secondo la quale andrebbero stralciati «i costi delle misure di riforma». Una affermazione che si presta ad interpretazioni più o meno estensive dell’allentamento dei vincoli e che sembra legare questo allentamento all’effettuazione delle tanto propagandate riforme. Nella sostanza dei numeri, scorporare dal calcolo del deficit alcune somme o andare oltre il vincolo del 3% è la medesima cosa: il punto è il quanto. Tuttavia, l’effetto politico è diverso, perché si possono stralciare alcuni costi sulla base di una nuova interpretazione del Patto di Stabilità, che così resterebbe in vita.
Per quanto l’affermazione di Gabriel apra una strada interessante, è chiaro che siamo ancora lontani da un qualche risultato significativo. Basti sottolineare che il collega di Gabriel alle Finanze, Wolfgang Schäuble, ha subito chiarito che viceversa, a suo avviso, il Patto di Stabilità è già sufficientemente flessibile; mentre il presidente uscente dei socialdemocratici al Parlamento europeo, Hannes Swoboda, ha spiegato che si starebbe lavorando a un testo che punti “semplicemente” a scorporare alcuni investimenti pubblici dal calcolo del deficit e a concedere più tempo per risanare i conti pubblici.
Siamo, quindi, a cospetto di schermaglie politiche che da un lato denotano una consapevolezza crescente sulle difficoltà del quadro europeo – ed era ora – ma che dall’altro ancora non consentono di valutare se vi sia una qualche effettiva disponibilità politica della Germania a farla finita con le politiche di austerità. E credo sia legittimo nutrire più di una perplessità a riguardo.
In questo quadro occorre sottolineare che, all’indomani del risultato delle elezioni europee, con il PD divenuto la forza maggiore del gruppo socialista nel Parlamento Europeo, numerose speranze di un primo cambiamento delle politiche economiche vengono riposte nel semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’UE. Ci sperano soprattutto i paesi periferici dell’Unione, quelli che hanno dovuto praticare i tagli più drastici della spesa pubblica e sono alle prese con la più aspra recrudescenza della crisi. E ci sperano coloro che sono consapevoli che, in assenza di un svolta a favore della crescita e della riduzione degli squilibri tra i Paesi, la stessa tenuta dell’eurozona è a rischio. E tuttavia, a cospetto della monolitica Merkel e degli altrettanti monolitici interessi tedeschi, il tentativo di Renzi potrebbe risultare ancora debole. Sotto questo aspetto, sarebbe importante moltiplicare le pressioni dal basso finalizzate a dare la parola al popolo sovrano, svuotando di potere e rappresentatività le tecnocrazie europee.
Un contributo in questo senso proviene dal referendum appena depositato in Cassazione contro l’austerità e il Fiscal Compact. Il referendum – che propone di abrogare alcuni passaggi della legge 243 del 2012 con la quale viene applicata la riforma costituzionale del pareggio di bilancio – è stato avanzato da un comitato promotore di intellettuali fortemente eterogeneo, proprio al fine di raccogliere il più vasto sostegno dalle forze sociali e politiche che in questi anni si sono pronunciate contro l’austerità. Un sostegno ampio e variegato alla iniziativa referendaria, un’ampia raccolta di firme, costituirebbero una leva di non poco rilievo in Italia e in Europa per dare forza a un cambiamento vero delle politiche europee nella direzione dello sviluppo e della piena occupazione.

Parte il referendum contro l'austerità. Intervista a Realfonzo: "500mila firme in tre mesi"

Al via il referendum contro l’austerità.
Intervista a Realfonzo: «Contiamo moltissimo sul sostegno della Cgil e di tutte le forze sociali e politiche che continuano a sottolineare i danni dell'austerity. Adesso hanno una buona occasione per passare dalle chiacchiere ai fatti»
di Roberto Ciccarelli
il manifesto, 17 giugno 2014

Un gruppo trasversale di economisti e giuristi ha depositato in Cassazione la proposta di referendum per mettere sostanzialmente in discussione la riforma costituzionale che nel 2012 ha introdotto il principio del pareggio di bilancio nella Costituzione italiana. «Stop austerità, referendum contro il Fiscal Compact» è la proposta del comitato referendario composto, tra gli altri, da Mario Baldassarri già parlamentare Pdl e vice ministro dell'economia, dal decano degli scienziati delle finanze Antonio Pedone e da uno dei segretari generali della Cgil Danilo Barbi, oltre che da Riccardo Realfonzo, ordinario di economia a Benevento e fondatore della rivista online Economia e politica.
«Vogliamo raccogliere il massimo di adesioni tra le forze sociali e politiche - spiega Realfonzo - Perché il referendum si svolga nel 2015 occorrerà trovare 500 mila firme entro fine settembre. Contiamo moltissimo sul sostegno della Cgil e di tutte le forze sociali e politiche che continuano a sottolineare i danni dell'austerity. Adesso hanno una buona occasione per passare dalle chiacchiere ai fatti. Con il referendum i cittadini potranno favorire l’abbandono di un approccio neoliberista e restrittivo in economia che sta mettendo a rischio il progetto dell'Unione Europea». 
I quattro quesiti che avete presentato rispettano i limiti di ammissibilità?
Per rendere solida la proposta i costituzionalisti che hanno lavorato ai quesiti, Giacomo Salerno e Paolo De Ioanna, li hanno concentrati sulla legge 243 del 2012, cioè la legge ordinaria con la quale è stata applicata la riforma costituzionale scaturita dalla legge costituzionale numero 1 del 2012. I quesiti riguardano le disposizioni di legge non coperte da principi costituzionali né da obblighi derivanti dall'Unione europea o da impegni assunti con trattati internazionali. Senza alcun dibattito pubblico, il parlamento si è impegnato a rispettare impegni che tecnicamente non possono essere rispettati. Ha accettato il principio del pareggio strutturale del bilancio e l’idea di abbattere il debito pubblico al 60% del Pil in 20 anni. Ma questa linea di politica economica prolungherebbe la recessione con effetti gravissimi. 
Quali?
Rispondendo alla crisi con le politiche di austerità, l’eurozona conta oggi oltre 7 milioni di disoccupati in più rispetto alla fine del 2007 e il pil resta ancora inferiore ad allora. In Italia la disoccupazione è più che raddoppiata in questi anni. Da 1,5 milioni siamo arrivati a circa 3,2 milioni di disoccupati, mentre il valore del Pil è di 8 punti percentuali inferiore al 2007. Vorrei sottolineare che negli Usa il presidente Obama ha fatto l’esatto opposto, mettendo in campo una manovra espansiva da 800 miliardi di dollari per opere pubbliche, sussidi di disoccupazione e incentivi alle imprese. Misure che hanno reso la crisi un lontano ricordo. 
In uno studio su economiaepolitica.it lei sostiene che il governo non affronta i nodi di questa situazione. Perché?
Nel Documento di Economia e Finanza il governo continua a muoversi nei vincoli del fiscal compact, nonostante le positive dichiarazioni iniziali del presidente Renzi. Punta cioè a rispettare l'equilibrio strutturale di bilancio e si impegna nell'abbattimento del debito verso il limite del 60%. Purtroppo, si continua a ritenere possibile coniugare la crescita con l'austerità. Il governo propone un percorso che porterà nel 2018 ad un avanzo primario, cioè la differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica di scopo, al 5% del Pil. E, contemporaneamente, ritiene che nello stesso anno l'economia potrà crescere di circa il 2% in termini reali. Ma è ormai provato che è impossibile coniugare avanzi primari dell'ordine di circa 90 miliardi di euro con una crescita economica. 
Anche perchè quest'anno la crescita sarà più bassa dello 0,8% annunciato dal governo.
Le prospettive di crescita per il 2008 del Def apparivano già ottimistiche prima della constatazione che nei primi 3 mesi del 2014 il Pil ha continuato a calare, raggiungendo meno 0,1%. In effetti, anche le previsioni del Fmi e della Commissione Ue, che prevedono per l’Italia una crescita dello 0,6%, appaiono oggi ottimistiche. Con il quadro delle regole attuali, il governo potrebbe essere costretto a fare entro fine anno una manovra aggiuntiva di oltre mezzo punto di Pil. 
Il governo ha scambiato fischi per fiaschi nel Def? 
Dobbiamo desumere che Padoan creda ancora che le politiche dell'austerità espansiva possano funzionare. Ho scritto più volte che occorreva andare oltre il vincolo sul deficit al 3%.
Renzi ritiene di potere modificare i dogmi dell'austerità nel semestre europeo. È attendibile?
Anche grazie alla spinta referendaria sul Fiscal Compact ci auguriamo che si possa davvero avviare un cambiamento a partire dal semestre italiano. Se questo non avverrà, le politiche di austerità metteranno ancora più a rischio la tenuta dell'Eurozona e la stessa fiducia che Renzi ha saputo raccogliere alle europee verrebbe messa a dura prova. Il fatto è che bisogna spingere l'Italia definitivamente fuori dalla crisi, ma questo non si può farlo rispettando i vincoli europei. L'augurio è che Renzi voglia e possa trovare la forza politica per imprimere un cambiamento, che andrebbe a beneficio non solo dell’Italia, ma dell'intera eurozona. 
Invita anche Renzi a votare per il referendum?
Sarebbe auspicabile. 

Referendum in cerca di autore. Guerra all'austerity

Un comitato di economisti e giuristi ha depositato in Cassazione 4 quesiti referendari contro il Fiscal compact. Cosa faranno adesso i partiti? Parla l'economista Realfonzo
di Luciano Capone
Il Foglio, 16 giugno 2014

Dopo essere stato il fulcro delle elezioni Europee, il Fiscal Compact, ovvero il patto di bilancio sottoscritto da 25 paesi dell’Unione Europea, potrebbe presto tornare al centro del dibattito politico italiano. La scorsa settimana sono stati depositati in Cassazione quattro quesiti referendari contro il trattato europeo e le politiche di austerity. Il Comitato promotore è composto da giuristi ed economisti di diversa estrazione politica ma di comune matrice keynesiana, si va dall’ex viceministro dell’Economia del governo Berlusconi Mario Baldassarri all’ex ministro del Lavoro del governo D’Alema Cesare Salvi,  poi economisti come Gustavo Piga (Scelta Europea), Riccardo Realfonzo (una volta vicino a Rifondazione Comunista), giuristi come Paolo De Ioanna e sindacalisti come Danilo Barbi della Cgil.
Naturalmente il referendum non potrà chiedere l’abrogazione diretta del Fiscal compact né del pareggio di bilancio che, in quanto trattato internazionale e norma costituzionale, non possono essere sottoposti a referendum. I quesiti saranno quindi rivolti verso quattro disposizioni della legge n.243 del 2012, che è la norma attuativa del principio costituzionale del pareggio di bilancio. Ovviamente si tratta di un escamotage il cui significato politico è la bocciatura del Fiscal compact e dell’austerità europea da cui derivano vincoli come il pareggio di bilancio, il tetto al 3 per cento del deficit/pil e l’abbattimento in 20 anni del debito pubblico che eccede il 60 per cento del pil.
Secondo i promotori, l’austerità non è la cura della crisi europea, ma una medicina sbagliata che ha prodotto disoccupazione, recessione, aumento del deficit e del debito pubblico. Insomma, nonostante l’elevata spesa pubblica e l’enorme debito pubblico lo Stato italiano non può permettersi di tenere i conti a posto; al contrario dovrebbe spingere sulla spesa e sul deficit per far ripartire l’economia. Di questo ne è convinto il professore ultra-keynesiano Riccardo Realfonzo, direttore della rivista economiaepolitica.it, sulla quale ha appena pubblicato uno studio sul tema del referendum. “Ormai è dimostrato che non c’è compatibilità tra austerità e crescita - dice al Foglio il promotore del Comitato referendario – e se continuiamo a mettere in fila avanzi primari non usciremo dalla palude in cui siamo immersi, anche l’abbattimento del debito non può essere perseguito senza crescita”.
La proposta referendaria, presentata come eterodossa e controcorrente, potrebbe essere in realtà condivisa da tutti i partiti. Durante la campagna elettorale delle europee, infatti, non c’è stata una sola forza politica dal M5S alla Lega, da FI a Sel fino allo stesso Pd che abbia difeso il Fiscal compact. La strada per i referendari dovrebbe essere quindi in discesa: “Abbiamo costituito un comitato eterogeneo proprio per cercare di ottenere il supporto più ampio possibile – continua Realfonzo – e il fatto che l’obiettivo sia condiviso da studiosi di approcci così diversi fa capire quanti danni producano le politiche di austerità”. Il problema è che i partiti che protestano contro l’austerity sono gli stessi che in Parlamento o al governo hanno firmato e recepito il Fiscal compact e i relativi vincoli. La sensazione è che in questi anni ai partiti abbia fatto comodo scaricare le responsabilità delle proprie scelte su Bruxelles e su Angela Merkel, ma ora il referendum potrebbe metterli spalle al muro, o da una parte o dall’altra. “Staremo a vedere se alle parole seguiranno i fatti - prosegue Realfonzo – e siamo curiosi di sapere anche quale sarà la posizione di Renzi sul tema, considerato che inizialmente aveva speso parole molto dure contro l’austerità, ma poi la manovra economica sta dentro i vincoli sul deficit e sul debito”. L’obiettivo più difficile è la raccolta delle 500mila firme, pensate di farcela? “Molto dipende dal sostegno che forze sociali e politiche, al di là delle chiacchiere, vorranno sostenere la battaglia contro l’austerità. Per il momento siamo molto lieti che tra i membri del comitato ci sia un esponente della segreteria della Cgil, Danilo Barbi, e ciò è garanzia dell’impegno del sindacato”.

Le ragioni del referendum contro il Fiscal Compact

Le ragioni del referendum contro il Fiscal Compact
di Riccardo Realfonzo
economiaepolitica.it, 12 giugno 2014

Stop all'austerità. Il referendum contro il Fiscal Compact

Stop all'austerità. Il referendum contro il Fiscal Compact

VOTA SI’ AI 4 REFERENDUM "STOP ALL'AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO"

Su cosa si vota

I quattro quesiti referendari  hanno per oggetto alcune disposizioni della legge n.243 del 2012, la legge che ha dato attuazione al principio di equilibrio dei bilanci pubblici introdotto nella Costituzione con la legge cost. n. 1 del 2012.

Con questi referendum si intendono abrogare alcune disposizioni della legge n. 243 del 2012 che prescrivono modalità attuative del principio di equilibrio dei bilanci che non sono previste dalla Costituzione, né imposte dalla normativa europea o dal Fiscal Compact. Si tratta di disposizioni che danno luogo ad un’applicazione particolarmente "ottusa" del principio di equilibrio dei bilanci. Le disposizioni che sono oggetto dei quattro quesiti, infatti, impongono o consentono decisioni pubbliche inutilmente vessatorie e pericolosamente restrittive per l'economia, il lavoro, lo sviluppo del Paese. 

L’approvazione dei quesiti referendari non metterà a rischio il principio costituzionale di equilibrio dei bilanci, né comporterà la violazione degli obblighi assunti in sede europea o internazionale, ma eliminerà le storture applicative che sono state stabilite dalla legge n. 243 del 2012 e favorirà una rivisitazione delle politiche macroeconomiche europee.

*   *   * 

SCHEDA TECNICA

L’abrogazione delle singole disposizioni, ognuna riferita ai quattro quesiti, avrà le seguenti conseguenze:

Quesito 1)  attuando il principio costituzionale dell'equilibrio dei bilanci pubblici, il Governo e il Parlamento non potranno stabilire obiettivi di bilancio più gravosi di quelli definiti in sede europea. In particolare, con il referendum vengono abrogate quelle parti di due disposizioni che - precisando, per ben due volte, "almeno" - consentono di andare al di là degli obiettivi di bilancio stabiliti dall'Unione.

Quesito 2) il principio costituzionale di equilibrio dei bilanci pubblici non sarà più inteso come automatica e meccanica applicazione di un obiettivo stabilito dall'Unione europea, fra l’altro con modalità poco trasparenti. Con il referendum si abroga la disposizione che prevede l'esatta "corrispondenza" tra il principio costituzionale di bilancio e il cosiddetto "obiettivo a medio termine" stabilito in sede europea.  Le normative europee, va aggiunto, non impongono la rigida e assoluta coincidenza degli obiettivi di bilancio nazionale con l'"obiettivo a medio termine"; ben diversamente, si prevedono condizioni di flessibilità che, con il referendum abrogativo, si intendono compiutamente ripristinare ed applicare.

Quesito 3) l'Italia potrà ricorrere all'indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie anche se non si verificano gli specifici eventi di carattere straordinario previsti dalla legge. Con il referendum si intende abrogare la norma che limita il ricorso all’indebitamento per realizzare operazioni finanziarie ai soli casi eccezionali stabiliti dalla legge, limite che non scaturisce dalla Costituzione, né è imposto da impegni europei. Abrogando questo limite, si consentirà al nostro Paese di contrastare gli effetti del ciclo economico negativo con un maggior ventaglio di strumenti di politica economica e industriale.

Quesito 4) l’attivazione obbligatoria e automatica del cosiddetto "meccanismo di correzione" delle politiche di finanza pubblica (meccanismo che, per intenderci, imporrà nuove tasse o riduzione delle spese pubbliche se non sarà raggiunto l'obiettivo di bilancio) avverrà soltanto quando previsto dall’Unione europea, e non anche quando imposto da trattati internazionali. Con il referendum si intende abrogare quella parte della legge che impone l'attivazione del meccanismo di correzione quando si determina uno scostamento considerato "significativo" anche sulla base di trattati internazionali. 

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Estratto dalla Gazzetta Ufficiale 
Serie generale - n. 135
13-6-2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di  Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 4, comma 4 (“4. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 6, comma 6, non è consentito il ricorso all’indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite fi nanziarie.”) della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione”?” 

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 8, comma 1, limitatamente alle parole: “e dagli accordi internazionali in materia”, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione”?”

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 3, comma 2 (“2. L’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo a medio termine.”) della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art.  81, sesto comma, della Costituzione”?”

Annuncio di una richiesta di referendum popolare
Ai sensi degli articoli 7 e 27 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, in data 12 giugno 2014, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da tredici cittadini italiani, muniti dei certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere una richiesta di referendum popolare, previsto dall’art. 75 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che siano abrogati l’art. 3, comma 3, limitatamente alla parola: “almeno”, e l’art. 3, comma 5, lettera a) , limitatamente alla parola: “almeno”, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione”?”





COMUNICATO STAMPA SUI REFERENDUM PROPOSTI SULLA LEGGE 243/2012
“RIPRENDIAMOCI LA CRESCITA, RIPRENDIAMOCI L’EUROPA: VOTA SI”


L’Italia, sia per il tramite dell’Unione europea che mediante il Fiscal Compact (vale a dire il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’unione economica e monetaria), ha assunto alcuni obblighi che incidono sulle procedure e sui contenuti delle decisioni di finanza pubblica che per Costituzione spettano invece agli organi di indirizzo politico della collettività: Governo e Parlamento.

In particolare va ricordato che, procedendosi a una rigorosa applicazione di un obbligo di carattere “promozionale” assunto con il Fiscal compact, la Costituzione è stata modificata nel 2012 mediante l’approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2012, recante la “introduzione del principio di pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”. Per dare attuazione al nuovo principio costituzionale è stata dunque approvata la legge n. 243 del 2012, che è oggetto dei quattro referendum abrogativi che il Comitato Promotore (vedi nomi in calce)  presenterà domani 12 giugno in una Conferenza stampa aperta al pubblico in Via Margutta 55, alle ore 14, dopo il deposito la mattina dei quesiti in Cassazione.

L’obiettivo che il Comitato Promotore  intende perseguire è quello di raccogliere le 500.000 firme per abrogare alcune disposizioni della legge n. 243 del 2012, che  consentono un’applicazione del principio costituzionale di equilibrio di bilancio attraverso  modalità e condizioni eccessivamente rigorose, che renderanno  necessarie politiche di austerità eccessive, solo dannose per il Paese, e in particolare per lo sviluppo, il lavoro e la stessa stabilità dei conti pubblici.
 
*

Ecco i dati dell’ottusa austerità, dal 2007 al 2013:
Aumento del tasso di disoccupazione da a 6.1% al 12.7%
Aumento del tasso di disoccupazione giovanile (15-24) da 20,3% a 43,3%
Diminuzione dell’occupazione da  23.222.000 a 22.408.000   
Diminuzione del PIL reale di: 8.5%
Aumento del debito-PIL da 103.3% a 132.7%
Imprese fallite: 2880601

Un progetto così importante come quello europeo, rafforzato da una moneta comune che spinge al dialogo tra stati membri e che ci fa trovare uniti al tavolo geopolitico delle negoziazioni mondiali, è messo in crisi da politiche ottusamente austere che, come già ampiamente dimostrato dai numeri, non solo non rimettono in ordine  le finanze pubbliche dei Paesi membri, ma impediscono di generare un clima favorevole alle necessarie riforme e creano scoramento, scetticismo e disillusione – specie tra i più giovani - sul senso di un progetto in comune.

E’ quanto mai urgente in Europa ripristinare la possibilità di politiche economiche favorevoli alla ripresa degli investimenti, pubblici e privati, e della domanda interna all’area dell’euro.

*

Sinteticamente, si invitano i votanti a esprimere sulle schede referendarie il loro “SI” ad una corretta applicazione dei vincoli europei sul bilancio, in breve a dire “SI alla fine dell'ottusa austerità, sì all’euro ed all'Europa del lavoro e dello sviluppo”.

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 IL COMITATO PROMOTORE

1) Mario Baldassarri,
2) Danilo Barbi,
3) Leonardo Becchetti,
4) Mario Bertolissi,
5) Melania Boni,
6) Flaviano Bruno,
7) Rosella Castellano,
8) Massimo D’Antoni,
9) Paolo De Ioanna,
10) Antonio Pedone,
11) Nicola  Piepoli,
12) Gustavo Piga,
13) Riccardo Realfonzo,
14) Giulio Salerno,
15) Cesare Salvi.

*   *   *

Comunicato stampa del Comitato promotore dei 4 referendum

STOP ALL’AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO

L’austerità ha fallito
Riprendiamoci la crescita, riprendiamoci l’Europa

Conferenza Stampa 
Sala Stampa della Camera dei Deputati
Via della Missione 4 – Roma
Giovedì 26 giugno 2014 
ore 13.00

I componenti del comitato promotore illustreranno le ragioni della iniziativa referendaria e descriveranno i quattro quesiti, alla presenza di alcuni tra gli esponenti delle forze sociali e politiche che hanno già preannunciato il loro sostegno alla campagna.

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VOTA SI’ AI 4 REFERENDUM "STOP ALL'AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO"

Quattro quesiti referendari, per modificare alcune disposizioni della legge 243 del 2012, approvata nel periodo del Governo Monti, che ha costretto l'Italia a vincoli persino più stringenti di quelli previsti dalla normativa europea e dal cosiddetto “Fiscal Compact”. Come è noto, tutti i documenti governativi di programmazione economico-finanziaria da allora si sono attenuti ai vincoli europei, con gravi conseguenze sul piano economico e sociale. Il referendum è l'unico strumento che i cittadini hanno per lanciare un segnale forte al nostro Parlamento, per chiedere di fermare le politiche austere e ottuse che finiscono per aggravare il quadro recessivo, e per invocare una svolta espansiva di politica economica a favore dello sviluppo e del lavoro.

Da molti anni ormai spieghiamo che l'austerità non è la soluzione ai problemi creati dalla crisi. I dati relativi al nostro Paese parlano chiaro: “grazie” alle politiche messe in atto dal 2007 al 2013 si sono ottenuti questi risultati:

Aumento del tasso di disoccupazione: da a 6.1% al 12.7%
Aumento del tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni):  da 20,3% a 43,3% 
Diminuzione del PIL reale: - 8.5%
Aumento del rapporto debito-PIL: da 103.3% a 132.7%
Imprese che hanno cessato l'attività: 2.880.601 

Votare Sì ai quattro quesiti referendari che proponiamo, è una scelta di respiro non solo italiano, ma europeo.
Vuol dire, infatti, salvare l’Europa da politiche che dividono arbitrariamente il Continente tra Paesi di serie A e Paesi di serie B, riversando sulle realtà periferiche i più pesanti oneri del riequilibrio macroeconomico, con costi sociali non sostenibili. Vuol dire evitare che i  vincoli dell’austerità europea continuino a sfibrare il tessuto della comune cittadinanza europea facendo crescere l’intolleranza, scardinando le reti di solidarietà, mettendo a rischio la stessa tenuta dell’eurozona e il progetto di una Unione tra i popoli.

Con i Sì ai quesiti referendari daremmo una spallata a quell’ottusa austerità fatta da maggiori tasse e da tagli alla spesa che, in questa fase di recessione, peggiora il quadro della finanza pubblica e genera ulteriore disoccupazione, disgregando il tessuto sociale, frantumando le istituzioni pubbliche nazionali.

Con il Sì ai quattro referendum, daremo un impulso a un nuovo quadro di politica economica nel quale gli obiettivi delle politiche nazionali di bilancio siano finalizzati al sviluppo e al benessere dei popoli, e non siano meccanicamente vincolati da decisioni assunte da tecnocrazie europee sulla base di analisi tecniche fortemente discutibili (come quelle relative al PIL potenziale o alla disoccupazione naturale). Con i quattro Sì riporteremo democraticità nei processi decisionali che incidono sulle condizioni di vita di milioni di persone.  

Con i quattro Sì vogliamo sostenere tutti i governi europei e le forze politiche del Continente che si dimostrino realmente intenzionate a risvegliare la “bella addormentata” Europa. Rimettere le politiche economiche al servizio dello sviluppo, della occupazione della solidarietà tra i popoli, in un quadro democratico, è oggi indispensabile per rilanciare lo straordinario progetto di unione tra i popoli europei che fu concepito all’indomani dei tragici eventi della seconda guerra mondiale.

Sul piano giuridico, i quattro quesiti si propongono di abrogare quelle norme di legge che, imponendo o consentendo oneri aggiuntivi, vessatori e comunque ancora più rigoristi rispetto a quanto richiesto dalle norme europee e dal Fiscal compact, si presentano come una applicazione particolarmente “ottusa” del principio di equilibrio dei bilanci.

Per questi motivi, occorre votare “Sì” ai quattro referendum abrogativi "Stop all'austerità - Sì alla crescita, Sì all'Europa del lavoro e dello sviluppo".

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VOTA SÌ AI 4 REFERENDUM "STOP ALL'AUSTERITÀ - SÌ ALLA CRESCITA, SÌ ALL'EUROPA DEL LAVORO E DELLO SVILUPPO"

Il Comitato promotore è formato da personalità di diversissima formazione culturale e sensibilità politica, accomunate dalla critica ai vincoli europei dell’austerità e dalla consapevolezza dell’urgenza di una svolta espansiva alle politiche economiche nell'interesse generale della collettività.

COMITATO PROMOTORE  (e-mail: referendumstopausterita@gmail.com)

1) Mario Baldassarri, prof. univ. di economia politica
2) Danilo Barbi, CGIL nazionale
3) Leonardo Becchetti, prof. univ. di economia politica
4) MarioBertolissi, prof. univ. di diritto costituzionale
5) Melania Boni, dirigente pubblico
6) Flaviano Bruno, consulente
7) Rosella Castellano, prof. univ. di finanza matematica
8) Massimo D’Antoni, prof. univ. di scienza delle finanze
9) Paolo De Ioanna, consigliere di Stato  
10) Antonio Pedone, prof. univ. di scienza delle finanze
11) Laura Pennacchi, responsabile Forum Economia CGIL
12) Nicola Piepoli, presidente Istituto Piepoli
13) Gustavo Piga, prof. univ. di economia politica
14) Riccardo Realfonzo, prof. univ. di economia politica
15) Giulio M. Salerno, prof. univ. di diritto pubblico
16) Cesare Salvi, prof. univ. di diritto civile.




Un seminario sul futuro della politica economica europea

Il futuro della politica economica europea, dopo il voto
Un confronto tra Giannola e Realfonzo presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

L'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha organizzato un confronto pubblico sul futuro della politica economica in Europa a seguito delle elezioni del Parlamento europeo. Al seminario, dal titolo "Il voto del 25 maggio. Prospettive per l'Europa, l'Italia e il Mezzogiorno" parteciperanno il presidente della Svimez Adriano Giannola e Riccardo Realfonzo, dell'Università del Sannio. L'iniziativa si terrà mercoledì 4 giugno alle ore 16,30 presso la prestigiosa sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (Palazzo Serra di Cassano, Via Monte di Dio 14, Napoli) e sarà moderata da Sergio Marotta (Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”).