Napoli, le dimissioni del vicesindaco. Ma ormai è tardi

Ormai è tardi, Luigi. Questo sacrificio non ti farà vincere
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 17 giugno 2015

Una pedina da sacrificare per provare a salvarsi. Nulla più di questo rappresenta ormai per il sindaco di Napoli Luigi de Magistris il suo ex vice Tommaso Sodano. Ma è tardi, e la stagione di de Magistris è irrimediabilmente segnata dal trionfo della più vecchia e becera politica di cui Sodano è stato “esemplare” rappresentante.
Erano i primi del giugno 2011, quando io e i pochi altri che si erano battuti sin dal principio per un rinnovamento amministrativo apprendemmo che il neoeletto sindaco stava riflettendo sulla designazione del vicesindaco. In corsa eravamo in due, Sodano ed io. La mia linea era nota e aveva caratterizzato la campagna elettorale: trasparenza sul bilancio, riforma della macchina comunale, taglio a sprechi e clientele nelle società partecipate, zero auto blu, alcune dismissioni, più risorse per i servizi ai cittadini. Sul piano delle alleanze, apertura anche alla società civile più vicina al Pd. Tutto molto difficile, ma d’altronde questo era il livello della sfida da tanti invocata. Della linea di Sodano non si sapeva molto, tranne il suo demagogico “no” a qualunque ciclo industriale dei rifiuti e le aperture all’assistenzialismo chiesto da alcuni movimenti dei disoccupati. Fatto sta che de Magistris scelse Sodano e con quella scelta si consegnò mani e piedi alla vecchia politica.
Di che pasta era fatto Sodano lo capimmo molto presto. Mi riferisco al modo in cui gestì le assunzioni in ASIA - la società del Comune che effettua il servizio di raccolta dei rifiuti - di alcune centinaia di dipendenti delle società private cui era stato appaltato negli anni una parte del servizio. Prima favorì l’espulsione del manager Raphael Rossi, che provava a implementare un modello organizzativo efficiente in ASIA; poi avallò un’operazione che violava impunemente le delibere comunali sul controllo delle partecipate, e che si presentava come assai discutibile anche sul piano della normativa nazionale, senza nemmeno avere la compiacenza di informare i colleghi di Giunta. Dopo di allora andò sempre così. Sodano era sistematicamente contro tutte le proposte di delibera che provavano ad attuare il programma elettorale. Ad esempio, si scagliò contro le misure di Giuseppe Narducci per regolarizzare i mercati e dare battaglia agli abusivi, e fu - a dispetto delle indagini della Corte dei Conti - grande sostenitore della transazione con la Romeo, che allora gestiva il patrimonio immobiliare. Poi si mise di traverso sulle operazioni di trasparenza del bilancio che proponevo, inclusa la famosa delibera del maggio 2012 che imponeva agli uffici di riesaminare le partite creditorie del Comune per fare finalmente emergere il clamoroso buco di bilancio. Si trattava della delibera che mi costò il posto in Giunta e che riuscii a fare passare solo perché l’anteposi alla approvazione del bilancio di previsione, grazie al sostegno di Narducci e di alcuni dirigenti di grande responsabilità (che, si badi bene, non mancano in Comune). 
Noi tutti ce ne siamo andati e Sodano è diventato sempre più padrone del campo, completando l’opera di tradimento del mandato elettorale.
Ma oggi Sodano non  serve più. A pesare non sono tanto gli scontri personali che pure ci saranno stati con il sindaco quando era “in strada”, né forse le vicende che lo vedono sotto processo. Il fatto è che oggi de Magistris sa di non avere speranze di rimanere sindaco, né forse un futuro politico, senza il sostegno di una parte del Pd. E allora via Sodano e spazio a un nuovo vice più dialogante. Ma è tardi, gli errori commessi pesano troppo, gli entusiasmi sono svaniti, e a meno che l’istinto suicida del Pd non compia un capolavoro, il prossimo anno avremo finalmente un nuovo sindaco.

Sud e Napoli, ecco la paralisi

Sud e Napoli, ecco la paralisi
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 10 giugno 2015

Le dichiarazioni del presidente emerito Giorgio Napolitano sull’assenza di una “strategia” per lo sviluppo del Mezzogiorno e sul “disfarsi dell’attività amministrativa” napoletana ben difficilmente troveranno una efficace smentita.
Sul piano nazionale, fin quando Graziano Delrio ha ricoperto l’incarico di plenipotenziario di Renzi, il deficit di elaborazione e proposta del Governo era in parte compensato da un’azione di raccordo istituzionale e spinta operativa su più fronti: dalla spesa dei fondi europei allo start-up dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, fino a vertenze industriali-territoriali come Gioia Tauro, Termini Imerese, Taranto. L’impressione adesso è che, migrato Delrio al Ministero delle Infrastrutture, nessuno sappia su quale scrivania di Palazzo Chigi si trovi il dossier Mezzogiorno. A riguardo, gli esiti della vicenda Bagnoli - intervento governativo con decretazione di urgenza e successiva inerzia su nomina del commissario e individuazione del soggetto attuatore - sono significativi.
Se il Governo non riesce ancora a varare una azione incisiva per il Sud, sul piano regionale e locale scontiamo limiti certamente più gravi. Con tutta probabilità, il quinquennio di governo del centro-destra alla Regione Campania segnerà un record negativo continentale per il fallimento registrato nell’utilizzo dei fondi europei: non c’è una sola misura o un solo “grande progetto” della Giunta Caldoro che sia stato portato a conclusione o che abbia avuto effetti positivi apprezzabili sul tessuto economico e sociale campano. Scendendo sul piano metropolitano le cose vanno anche peggio. Continuiamo ad assistere allo stallo persino sullo statuto della Città Metropolitana ed è ormai sin troppo evidente che sulle politiche urbanistiche e di sviluppo di area vasta il micro-ceto politico aggregatosi intorno a de Magistris non sa cosa fare. E così, mentre dagli uffici stampa comunali partono inviti a sagre e tornei sportivi, il Progetto Genesis - uno dei pochi interventi di sviluppo previsti nel territorio del Comune, finalizzato a creare un distretto dell’indotto Whirpool - non decolla dopo un iter di ben tredici anni. Per di più, il caso del porto di Napoli - con l’assenza di un accordo tra Governo, Regione e Comune sulla presidenza dell’Autorità Portuale - dimostra come la paralisi istituzionale possa farci perdere occasioni e somme ingenti.
Auguriamoci che le parole di Napolitano siano di monito per la nuova stagione che va aprendosi nel governo regionale e per quella che a breve si schiuderà al Comune di Napoli, e ci aiutino a recuperare un po’ di serietà e di buona politica.

Le distanze crescenti che minacciano l'Europa

Le distanze crescenti che minacciano l'Europa
di Riccardo Realfonzo
Corriere della Sera, 7 giugno 2015

L’allarme lanciato in Portogallo, al termine del mese scorso, dal presidente della BCE Mario Draghi va al cuore del problema: nell’Eurozona sono in atto “profonde e crescenti divergenze” tra i Paesi che “tendono a diventare esplosive” e “possono arrivare a minacciare l'esistenza dell'Unione monetaria”.
In effetti, la scarsa capacità di crescita dell’Eurozona, con il valore complessivo del Pil che resta ancora al di sotto del livello pre-crisi, desta preoccupazione. Ma l’aspetto più grave è proprio la forza centrifuga che sembra dominare l’area euro, con il centro del Continente in crescita e diverse regioni periferiche sostanzialmente ferme, quando non in recessione. I dati ufficiali confermano l’allarme sollevato da Draghi. Dopo il 2007-2008, come registra il coefficiente di variazione del tasso di crescita del Pil pro capite, i differenziali di sviluppo tra i diversi Paesi sono aumentati vistosamente, al punto che ad esempio tra Germania e Italia si sono accumulati 14 punti di differenza nella crescita del Pil. E anche i dati relativi ai tassi di disoccupazione, alle insolvenze delle imprese e alle condizioni della finanza pubblica confermano l’azione dei processi di divergenza.
Queste evidenze empiriche rendono ormai difficilmente difendibile la tradizionale tesi della Commissione Europea. Si tratta dell’idea –  espressa sin dal 1990, nel famoso One Market, One Money e ribadita anche in recenti documenti ufficiali – secondo cui la moneta unica e l’integrazione commerciale, combinate con le politiche di austerità e la flessibilità dei mercati, avrebbero favorito la convergenza e la coesione tra i Paesi. Le stesse evidenze sembrano invece confermare il punto di vista alternativo degli economisti keynesiani, per cui l’integrazione commerciale e monetaria generano processi cumulativi che tendono piuttosto a concentrare lo sviluppo nelle aree più forti, finendo per accentuare le divergenze territoriali. È in fondo questa la tesi del monito degli economisti che abbiamo promosso e pubblicato nel 2013 sul Financial Times, secondo il quale i processi di divergenza, se non arrestati, comprometteranno la tenuta dell’eurozona. Una tesi alla quale tra una dichiarazione e l’altra sembra propendere anche il presidente della BCE.
Come lo stesso Draghi ha sottolineato, in questi anni si sono fatti numerosi passi avanti nella direzione delle riforme strutturali: si pensi alle deregolamentazioni del mercato del lavoro attuate nell’ultimo ventennio e alle riforme implementate nei mercati dei prodotti. Ma per innescare tangibili processi di convergenza tra i Paesi membri dell’euro occorrerebbe un approccio di politica economica più generale, che punti anche a nuove politiche industriali e al sostegno della domanda. Senza affrontare le differenze nelle infrastrutture materiali e immateriali dei territori, nella qualità dei tessuti produttivi, nei modelli di specializzazione e nelle condizioni della domanda aggregata di beni e servizi, che resta asfittica nei Paesi periferici, sarà sempre più difficile contrastare le divergenze che minacciano la sopravvivenza dell’euro e dell’Unione europea.