Il governo delle metropoli italiane

Il governo delle metropoli italiane
Il servizio di Fanpage, 21 gennaio 2016


Banche in crisi e borse in ribasso. Intervista a Riccardo Realfonzo

Banche in crisi e borse in ribasso. Intervista a Riccardo Realfonzo
Radio Onda d'Urto, 20 gennaio 2016

Giornate difficili per le Borse mondiali e il settore della finanza.
Dalle asiatiche a quelle europee, è il segno meno a farla da padrone.
Sul fronte internazionale pesa soprattutto il prezzo del petrolio, che rimane basso a causa della sovrapproduzione e della grande disponibilità sul mercato.
In Italia invece sono le banche a condizionare maggiormente gli scambi.
Mps e Carige gli istituti più in difficoltà, ma tutto il comparto patisce i timori per i cosiddetti “crediti deteriorati”.
L’analisi di Riccardo Realfonzo, docente di Fondamenti di economia politica all’Università del Sannio.
ASCOLTA L'INTERVISTA

Il governo delle metropoli italiane. Il programma e il comunicato stampa

"Il governo delle metropoli italiane": il programma e il comunicato stampa

Metropoli: iniziativa a Napoli della Scuola di Governo del Territorio
Giovedì assise con esponenti governo e amministratori locali
(ANSA) - NAPOLI, 19 GEN - Il ruolo delle metropoli nella crescita dell'economia italiana, la riforma delle città metropolitane, l'agenda del Governo e il "caso Napoli": questi i temi al centro delle assise "Il governo delle metropoli italiane" che si terranno nell'Università Federico II giovedì prossimo, 21 gennaio (Complesso dei Santi Marcellino e Festo, ore 10-18,30). Si tratta, rilevano i promotori del convegno, ''di una nuova occasione di riflessione offerta dalla Scuola di Governo del Territorio, diretta da Riccardo Realfonzo e istituita lo scorso anno presso il Consorzio Promos Ricerche dalle Università della Campania, dal Cnr, dall'Ifel-Fondazione Anci, dalla Camera di Commercio, dall'Acen e da numerose istituzioni e associazioni scientifiche''. Il convegno vedrà ''una folta partecipazione di rappresentanti del Governo, delle istituzioni e del mondo scientifico''.
Nella sessione mattutina, dopo i saluti dei rettori Gaetano Manfredi, Filippo de Rossi e Lucio d'Alessandro, e del direttore della Scuola, il segretario dell'Associazione nazionale dei comuni, Veronica Nicotra, sottolineerà il ruolo strategico delle città per l'economia italiana. Successivamente, il direttore generale dell'Agenzia per la Coesione Territoriale, Ludovica Agrò, e il presidente della Svimez, Adriano Giannola, affronteranno i temi dei divari territoriali. ''Di rilievo - rileva la nota - oltre l'intervento della presidente dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, Silvia Viviani, sarà anche il confronto tra gli esponenti della Banca Europea per gli Investimenti e della Cassa Depositi e Prestiti, Eugenio Leanza ed Edoardo Reviglio, sulla questione degli strumenti per lo sviluppo delle metropoli''.
Sul tema delle dinamiche sociali e della programmazione urbanistica si incentrerà invece la prima sessione del pomeriggio, presieduta del direttore dell'Ifel-Fondazione Anci, Pierciro Galeone. Alla discussione parteciperanno i professori Maurizio Tira (presidente del Censu), Giulio Mondini (direttore del Siti, Torino) e Francesco Domenico Moccia (Università di Napoli Federico II).
L'attenzione si sposterà, quindi, sulla ''complessa realtà della città metropolitana di Napoli, con una tavola rotonda affidata alla regia del vicedirettore del 'Corriere della Sera', Antonio Polito''. L'attenzione del governo sul tema è assicurata dalla presenza al dibattito del sottosegretario Angelo Rughetti, il quale discuterà con il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, con il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, con il presidente del Cnr, Luigi Nicolais, con il presidente degli industriali partenopei, Ambrogio Prezioso, e con il presidente dell'Anci Campania, Domenico Tuccillo.
Il convegno si chiuderà con l'intervento del sottosegretario agli Affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, che parlerà delle riforme per il governo strategico delle città metropolitane.(ANSA).
   
19-GEN-16 14:58

Un contratto per il futuro. Appello degli economisti

Un contratto per il futuro

Appello degli economisti
L'Unità, 17 gennaio 2016, pag. 1


I prossimi rinnovi dei contratti di lavoro potrebbero consentire alle parti sociali di fornire un prezioso contributo alla rimozione di alcuni ostacoli alla crescita del Paese, riattivando la domanda, favorendo l’aumento della produttività, esortando il Governo a varare nuove politiche industriali. A cominciare dal contratto dei lavoratori metalmeccanici, da sempre riferimento per tutta la contrattazione nazionale, sarebbe indispensabile che le parti sociali raggiungessero un accordo unitario che - come hanno chiesto all’unisono i sindacati confederali dei lavoratori - evitasse di congelare i salari, limitandosi magari a distribuire aumenti in busta paga e dosi di welfare aziendale nelle sole imprese in cui si registri una positiva dinamica della produttività. Un contratto di questo tipo non favorirebbe la ripresa della domanda e insisterebbe nella ricerca di una competitività fondata sulla compressione assoluta dei costi di produzione e sull’utilizzo delle tecnologie più tradizionali.
Per comprendere quale sia la svolta contrattuale di cui c’è bisogno, è necessario ricordare che l’economia italiana ha reagito in modo particolarmente negativo alla crisi del 2008, considerato che ancora oggi il valore della produzione nazionale resta inferiore in termini reali di quasi 7 punti percentuali rispetto ad allora e la disoccupazione rimane quasi doppia. Ebbene, stando a risultati consolidati della ricerca scientifica, le ragioni principali di questo tracollo sono da ricercare principalmente nelle asfittiche dinamiche italiane di lungo periodo della domanda e della competitività.
Per quanto attiene al debole andamento della domanda aggregata di merci e servizi, gli economisti largamente concordano sulle gravi responsabilità del sistema dei vincoli europei e delle connesse politiche di austerità praticate in questi anni. Gli effetti di queste politiche si sono inoltre sommati a una tendenza di lungo periodo al ristagno della domanda interna, causato in certa misura dalla linea di moderazione salariale avviata con il Patto del luglio 1993. A riguardo è sufficiente ricordare, utilizzando i dati della Commissione Europea, che la quota del prodotto interno lordo che remunera i lavoratori si è ridotta nell’ultimo quarto di secolo di circa 8 punti percentuali. Dei rinnovi contrattuali che oggi tendessero a inasprire tali tendenze, tramite il congelamento dei salari, provocherebbero una ulteriore crisi della domanda interna, con effetti deleteri su larga parte del sistema nazionale delle imprese. Ciò che serve, dunque, è sostenere i redditi dei lavoratori per alimentare la domanda.
In tema di competitività, per quanto i vertici di Federmeccanica si ostinino a ribadire che il problema dipenda dal livello dei salari, come ha riconosciuto persino l’ufficio studi di Confindustria “l’andamento delle due componenti del Costo del Lavoro per Unità di Prodotto (costo del lavoro e produttività) mostra che il problema italiano è, soprattutto, la produttività”. È infatti l’asfittica dinamica della produttività che - come mostrano i dati della Commissione Europea – ha generato la progressiva perdita di quote nel commercio internazionale cui assistiamo dai primi anni Novanta. Ed è nel Mezzogiorno che l’evidenza di queste tesi si dimostra con il dato maggiormente eclatante: ai più bassi salari corrisponde il più alto costo del lavoro per unità di prodotto. Alla base della crisi di competitività italiana vi sono quindi alcune insufficienze ataviche del sistema produttivo, che persistono ancora oggi. In vari settori, inclusa l’industria metalmeccanica, continua a persistere un modello di specializzazione produttiva mediamente fondato su imprese piccole, che investono poco nelle nuove tecnologie e nella formazione dei lavoratori, e che operano in un contesto in cui vi sono infrastrutture pubbliche, materiali e immateriali, inferiori agli standard dei Paesi avanzati dell’Unione Europea. Una condizione di inadeguatezza che si sta ulteriormente approfondendo dopo la crisi del 2008 e che le cosiddette “riforme strutturali” difficilmente potranno controbilanciare. Il problema delle imprese italiane, dunque, non verte su un eccessivo peso dei salari, ma nella insufficienza di investimenti pubblici e privati.
Per queste ragioni, il rinnovo contrattuale dei lavoratori metalmeccanici, il più grande comparto dell’industria italiana, può costituire la concreta occasione per riprendere una franca discussione sulle reali “strozzature” alla crescita e per indicare nuove vie di rilancio. Una analisi delle dinamiche del sistema produttivo italiano aiuterebbe a comprendere che a nulla serve, oggi, un nuovo indebolimento del contratto nazionale e la cancellazione della sua funzione perequativa, né aiuta un blocco totale della dinamica salariale. Piuttosto, è necessario un contratto che valorizzi il lavoro, aiuti le imprese ad innovarsi, ed esorti unitariamente il Governo a varare urgenti politiche industriali che sostengano le imprese e che le pongano progressivamente in condizioni di operare in un contesto infrastrutturale più adeguato. Ci auguriamo che le componenti più vitali e lungimiranti delle parti sociali possano chiudere una stagione contrattuale che parli al Governo, e che esorti tutti a porre in essere le innovazioni di cui l’economia italiana ha urgente bisogno.

L’appello è promosso da Giovanni Dosi (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche) e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio).
Il documento è anche sottoscritto da Salvatore Biasco (Università di Roma La Sapienza), Adriano Giannola (SVIMEZ), Maria Cristina Marcuzzo (Università di Roma La Sapienza), Mario Pianta (Università di Urbino Carlo Bo), Gustavo Piga (Università di Roma Tor Vergata), Felice Roberto Pizzuti (Università di Roma La Sapienza), Antonella Stirati (Università di Roma Tre), Leonello Tronti (ISTAT) e Vincenzo Visco (Università di Roma La Sapienza).