Il no ideologico al dissesto

Napoli, il no ideologico al dissesto

di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 28 febbraio 2014

Nelle vicende di politica economica i nodi vengono sempre al pettine. Quando de Magistris si insediò a Palazzo San Giacomo, ormai quasi tre anni or sono, la condizione delle casse comunali era già grave, e ciò non era certo un mistero. Le possibilità erano due soltanto: lasciare scivolare il Comune verso la bancarotta oppure dire la verità alla città e varare un pacchetto di riforme incisive, finalizzate a riorganizzare la macchina comunale e le società che erogano servizi pubblici, esigendo efficienza e spezzando clientele. Ma la volontà politica per le riforme, sbandierata in campagna elettorale, è venuta a mancare quasi subito. Al punto che oggi - come era stato facile prevedere - la Corte dei Conti sancisce nella maniera più netta possibile, rigettando il piano di riequilibrio predisposto dall’amministrazione, che il Comune è “in una situazione irreversibile di squilibrio strutturale”, ed è incapace di provvedere alla erogazione dei servizi essenziali ai cittadini.
Il Comune annega in un buco di bilancio che la Corte stima in circa un miliardo e duecento milioni di euro, causato dalla incapacità di riscuotere tasse e tariffe, di dismettere i beni del patrimonio immobiliare e quote di società inutili, di tenere la spesa del personale entro i limiti di legge, di fare quadrare i conti delle partecipate, di aumentare la produttività del lavoro, di organizzare una seria lotta all’evasione fiscale. Il tutto con una amministrazione che – è la Corte stessa a dirlo – “non ha effettuato una completa verifica della propria situazione economico-finanziaria”, prova ad “eludere” alcune norme, formula previsioni di incasso “illegittime”, mostra “gravi criticità” e “inadeguatezze”.
E a questo punto cosa attende i napoletani? Certo, l’amministrazione ha ancora qualche settimana per rispondere alle critiche della magistratura contabile, ma considerato il piglio della Corte e soprattutto la realtà dei conti, l’esito scontato dovrebbe essere la dichiarazione formale di dissesto. Naturalmente, vi è anche la possibilità che la politica intervenga in qualche modo - magari attraverso un meccanismo che consenta l’elaborazione di un nuovo piano di riequilibrio - consentendo all’amministrazione attuale di galleggiare fino alla scadenza del 2016 senza formalizzare il dissesto.
E cosa accadrebbe se la dichiarazione di dissesto fosse elusa con un intervento politico? Molto semplicemente si procrastinerebbe la drammatica situazione attuale. L’amministrazione continuerebbe ad imporre ai cittadini e alle imprese uno sforzo insostenibile, soprattutto alla luce della crisi in atto: continuare a pagare le tasse e le tariffe locali ai massimi di legge, e in più sostenere il debito contratto dalla amministrazione con lo Stato – circa 850 milioni di euro – che va ripagato nei prossimi trent’anni. Non essendo l’amministrazione attuale in grado di imprimere alcuna azione riformatrice, si tratterebbe di un sacrificio enorme chiesto alla società partenopea in cambio di nulla.
La dichiarazione di dissesto, al contrario, certificherebbe una situazione di fatto, ormai innegabile, e potrebbe costituire una occasione di ripartenza per la Città. Intanto, la pressione fiscale locale non aumenterebbe perché è già ai massimi. Poi la gestione dei conti pregressi verrebbe commissariata, i creditori verrebbero finalmente liquidati con delle transazioni, e l’amministrazione in carica dovrebbe predisporre – secondo precise disposizioni di legge - un vero piano di risanamento, pena lo scioglimento del Consiglio Comunale. Oggi chi si oppone “ideologicamente” al dissesto non fornisce argomentazioni razionali. Opporsi alla dichiarazione di dissesto significa tentare ancora di celare una verità acquisita, provare a mantenere lo status quo, illudersi dell’arrivo di altri aiuti finanziari resi tanto più difficili dalla scarsa credibilità dell’amministrazione attuale, scaricare sulla prossima amministrazione l’onere del riequilibrio finanziario e delle riforme. Al contrario, una onesta e dignitosa presa d’atto della situazione potrebbe essere il punto di partenza per rimboccarci le maniche e costruire il consenso intorno a un intervento efficace della politica, che possa creare – in vista di nuove elezioni comunali – le migliori condizioni per rilanciare la Città. E anche per evitare che i lavoratori del Comune e delle società partecipate finiscano per pagare il prezzo più salato della malapolitica partenopea.