Altro che case, a Napoli est occorre ripristinare le condizioni per lo sviluppo
di Riccardo Realfonzo
Il Corriere del Mezzogiorno, 9 aprile 2011
Caro direttore,
dopo avere già concesso la costruzione di oltre 600 case a Bagnoli, la settimana scorsa la giunta comunale partenopea ha approvato un piano con cui dà il via alla costruzione di 850 case nell’area della ex Manifattura tabacchi, nella zona orientale di Napoli. Questa non è che una delle tante delibere che il prossimo sindaco di Napoli dovrebbe subito revocare. Il punto infatti è che la difesa degli interessi dei costruttori napoletani - che tanto sembra stare a cuore alla giunta in carica - non si concilia affatto con la ripresa dell’economia partenopea. A Napoli est non si tratta di costruire nuove case e centri commerciali. Si tratta piuttosto di risanare il territorio e rilanciare lo sviluppo del sistema produttivo. Occorrerebbe, insomma, ricominciare finalmente a ragionare con la parte sana dell’imprenditoria napoletana e mettere in atto un insieme di politiche pubbliche atte a ricreare le condizioni per una ripresa delle attività produttive e della occupazione di qualità. Naturalmente, in un quadro di compatibilità con quell’area urbana, che già ha subito sufficienti razzie, e iniziando con il sostenere le imprese che operano nella zona (ad esempio il distretto dell’elettrodomestico).
Quello di Napoli est è solo un esempio del diverso metodo di governo che l’amministrazione comunale dovrebbe mettere in campo: non più inseguire interessi particolaristici e realizzare interventi disconnessi e privi di una qualsiasi logica di insieme, bensì ripristinare le condizioni dello sviluppo. Il che significa anche realizzare una diversa politica dei fondi europei, evitando gli impieghi clientelari e “a pioggia”, e concentrando i fondi per innescare processi virtuosi nel territorio. Ma per tornare a riflettere su una nuova politica dello sviluppo per Napoli, ragionando di questioni concrete e non di aria fritta, occorrerebbe preliminarmente affrontare e risolvere due gravi ostacoli al dispiegarsi delle politiche comunali.
Il primo è quello del buco di bilancio del Comune. Va da sé, infatti, che un Comune che non riesce a riscuotere le entrate e che registra ritardi dei pagamenti di tre anni, più che rappresentare uno strumento di crescita si rivela una palla al piede per l’economia locale. Per non tacere del fatto che lo stato drammatico in cui versa il sistema delle società comunali che gestiscono i servizi pubblici locali – dalla raccolta dei rifiuti al sistema dei trasporti – è in buona misura figlio della crisi del bilancio comunale. Parlare di sviluppo in una città priva di un sistema minimo di servizi pubblici non ha senso. Per questo non ci può essere una nuova politica di sviluppo senza una svolta nella direzione del rigore amministrativo per la difesa del pubblico, che punti sull’efficienza, sulla lotta senza quartiere all’evasione fiscale e che combatta gli sprechi di risorse finanziarie e umane.
Il secondo ostacolo è relativo all’inadeguatezza dell’assetto istituzionale. Mi riferisco al fatto che l’area metropolitana di Napoli è amministrata solo in parte dal Comune di Napoli e la presenza di una molteplicità di Comuni comporta, in un quadro di generale scoordinamento, ad esempio per quanto attiene ai servizi pubblici, una tanto costosa quanto inefficiente moltiplicazione di appalti e società concessionarie. La questione della “città metropolitana” è ineludibile per ridisegnare un programma di sviluppo di ampio respiro per Napoli. Per questo occorre che si avvii un percorso istituzionale analogo a quello intrapreso per Roma Capitale (con la legge 42 del 2009), discutendo con il governo la ridefinizione dei sistemi di governance e le risorse finanziarie che serviranno, anche in sede transitoria.
Certo, si tratta di sfide “alte”: rifondare una cultura della legalità e della efficienza; discutere una revisione dei sistemi di coordinamento tra le istituzioni. Ma si tratta di problemi ineludibili per rilanciare lo sviluppo a Napoli. Le forze progressiste e democratiche napoletane dovrebbero saper coniugare questi temi con la spinta solidaristica, e trovare il coraggio di cambiare. D’altronde una discontinuità nella cultura amministrativa napoletana è indispensabile per tornare a cullare il sogno di una Napoli europea.