Realfonzo: "de Magistris sarà ricordato come il sindaco delle tasse"



Il Corriere del Mezzogiorno, 19 febbraio 2013

Il piano per accedere agli aiuti del decreto salva-Comuni è stato inviato al governo ma il Comune resta, secondo i dati ufficiali pubblicati recentemente dal Sole 24 Ore, il più sprecone d’Italia. Il sindaco accusa le vecchie amministrazioni e l’assessore Palma scrive che hanno lasciato un “disastro”. Lei che pensa?

Penso che la situazione del Comune, già grave al momento dell’insediamento di de Magistris, oggi è diventata disperata. Ma ciò nonostante la Giunta non mette in campo misure adeguate. E anche i comportamenti non sono seri. Prenda ad esempio il caso di Palma. Fino a pochi mesi fa era il presidente dell’organo di controllo dei conti del Comune, il Collegio dei Revisori, e le ultime manovre della giunta Iervolino sono state tutte approvate dal suo Collegio. Ebbene, oggi Palma non ha meglio da fare che denunciare disastri: forse siamo di fronte a un clamoroso caso di sdoppiamento della personalità?

Dunque, secondo lei de Magistris sbaglia a scaricare tutte le responsabilità sul passato?

Come sa, fui molto critico con la Iervolino e mi dimisi da quella giunta perché non ero messo nelle condizioni di imprimere una svolta riformatrice. Ma questa ormai è storia, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Da quasi due anni abbiamo un nuovo sindaco, che ci aveva promesso mari e monti e che invece non ha impresso una svolta riformatrice al Comune e alle sue società partecipate. Un sindaco che sin dall’inizio si è isolato rifiutandosi di chiedere aiuto al governo, perché questo significava ridimensionarsi sul piano politico, e che si è sottratto al lavoro sui problemi veri della città. E che per dedicarsi senza ostacoli agli eventi mediatici e alle passerelle ha addirittura preferito disfarsi di quanti, a cominciare da me, volevano affrontare le questioni più aspre e dare risposte ai cittadini, coerentemente con il programma elettorale. La conclusione è che il Comune è stato lasciato cadere verso la bancarotta, e la città versa in condizioni pietose.

Era possibile fare di più?


Certo. D’altronde, come è ormai noto, quando la giunta de Magistris si insediò io feci redigere un documento che riassumeva tutte le criticità della gestione di cassa per trarne indicazioni utili a orientare le strategie finanziarie. Ne scaturì un’analisi corposa, una due diligence, che metteva in evidenza la gravità dei conti e che consegnai formalmente al Sindaco. Il Comune andava dritto verso il dissesto a meno di attuare un piano di riforme incisive, che pure descrissi nel dettaglio in un ulteriore documento che gli feci avere unitamente a una serie di richieste da discutere con i parlamentari e da inviare al governo e all’Anci.

Ma…?

…Ma erano tutte cose che gli rovinavano il gioco, e magari una rapida scalata alla politica nazionale. D’altra parte lo strappo tra de Magistris, da una parte, e Narducci e me, dall’altra, risale principalmente alla delibera che noi imponemmo nel maggio 2012, con la quale si avviava la revisione straordinaria dei residui e la quantificazione del disavanzo. È chiaro che con quella delibera non c’era più spazio per eventi e passerelle; ma così il giocattolo era rotto e noi eravamo responsabili di avere impedito un futuro radioso. Credo si capisca perché il sindaco finché ha potuto ha preferito ignorare i miei allarmi e anche i documenti che mostravano la gravità della situazione, a cominciare dalla due diligence. Dubito anche che tutti questi documenti siano stati consegnati ai Commissari che hanno analizzato i conti del Comune.

Però il sindaco afferma che il piano con il quale intende colmare il buco di bilancio e chiedere gli aiuti previsti dal decreto salva-Comuni avvierà il risanamento. Parla di un momento storico per Napoli.

Il momento effettivamente è storico, ma si tratta di una nuova pagina buia. E de Magistris si candida a passare alla storia come il sindaco che ha introdotto una pressione fiscale senza uguali in altre città d’Italia e senza precedenti storici. Le uniche certezze del piano sono l’aumento ai massimi dell’IMU, dell’addizionale IRPEF, della tassa sui rifiuti e della tassa per l’occupazione di suolo pubblico. Per non parlare degli aumenti vertiginosi delle tariffe di mense scolastiche e asili nido, e dei tagli alla spesa sociale. Poi ci sono i tagli al salario dei lavoratori del Comune, senza uno straccio di piano di riorganizzazione complessiva della macchina comunale.

Il piano però dovrebbe consentire di risanare i conti.

Su questo ho forti dubbi. La parte propositiva del piano è descritta in quindici paginette e poggia su alcuni assunti ottimistici e infondati. Solo delle tasse c’è certezza. O, per meglio dire, delle tasse che saranno imposte ma non di quelle che saranno riscosse. Ed è proprio questo il punto: le riscossioni effettive del Comune, che in questi anni hanno registrato livelli bassissimi e che sono la causa del buco di bilancio, dovrebbero improvvisamente, non si sa perché, schizzare a livelli vicini al 100 per cento. In realtà non è previsto alcun piano credibile o nuovo strumento operativo che faccia ragionevolmente sperare di aumentare le riscossioni. E poi ci sono, ad esempio, le previsioni eroiche che riguardano la vendita del patrimonio immobiliare, quantificate in 730 milioni di euro, e che dovrebbero essere realizzate da una società comunale, la Napoli Servizi, che non ha competenza in materia. Soprattutto, all’interno del piano non c’è alcun progetto di riforma del sistema che ingloba il Comune e le sue società, con una visione strategica tale da tagliare sprechi e aumentare l’efficienza. Gli unici spunti riformatori – come la vendita di Stoà o la fusione delle società di trasporto – sono estratti dai miei vecchi documenti. Ma da soli non sono all’altezza della sfida cui è chiamata l’amministrazione comunale. E poi ci sono molte lacune, come dire, sospette.

Cosa intende dire?

Il piano trascura il fatto che se cancello dei residui perché penso di non riscuotere l’entrata non ne incasserò neanche gli interessi dovuti per il ritardo; mentre invece gli interessi passivi maturano eccome. Insomma, occorreva quantificare la differenza che, a seguito della cancellazione, si è generata tra interessi attivi e passivi prevedendone la copertura, ragionevolmente in misura ben superiore rispetto ai 50 milioni all’anno inseriti nel piano per la soccombenza nei giudizi e per i debiti fuori bilancio. Per fare un altro esempio, è stato previsto nel piano uno stanziamento annuo per coprire i rischi dei derivati, che proprio a partire da quest’anno faranno sentire il loro peso negativo sul bilancio? Tutto ciò significa che il piano non rimuove le cause strutturali del buco di bilancio, che tenderà inevitabilmente a ripresentarsi.

Non mi pare che si sia discusso di queste questioni in Consiglio Comunale, e anche successivamente. Come giudica ciò?

La mia opinione è che il Sindaco abbia sottaciuto ancora una volta al Consiglio Comunale e alla città la gravità della situazione e le conseguenze drammatiche del piano. Dal sindaco sono venuti solo proclami trionfalistici in un clima da “basso impero”, dato che il parere del Collegio dei Revisori è arrivato ai consiglieri solo il giorno stesso della discussione in aula. Un parere reso dai due membri residui del Collegio su una manovra redatta da colui che fino a qualche mese prima li presiedeva…

Ma, al di là della sua opinione sulla qualità del piano redatto dalla Giunta, l’alternativa non era forse il dissesto? C’era alternativa?

Questo è il punto più importante e che i cittadini napoletani devono tenere bene a mente. Come ho detto prima, quando de Magistris si insediò c’era la possibilità di evitare questa condizione così penosa: avviare subito le riforme che erano nella sostanza già contenute nel programma elettorale del Sindaco. Ma una volta comprese quali fossero le misure, mancò del tutto l’intenzione di attuarle ed evitare il peggio. Con meno populismo e un po’ di buona amministrazione si sarebbe potuto risparmiare questo salasso ai napoletani. E anche il rischio di ulteriori futuri salassi, visto che il Comune non sarà in grado di rispettare il piano di riequilibrio, senza ulteriori manovre.