La soluzione alla crisi passa da Francoforte

La soluzione alla crisi passa da Francoforte
di Riccardo Realfonzo
Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2020




La strada maestra per sostenere le politiche contro la crisi del coronavirus consiste nel finanziamento da parte delle banche centrali. La monetizzazione dei nuovi deficit, infatti, permetterebbe di attivare le risorse necessarie a costo zero e senza appesantire il debito pubblico dei Paesi. Anche l’eurozona dovrebbe seguire questo percorso, prevedendo politiche fiscali concertate e finanziate dalla BCE, anche mediante l’acquisto di titoli di debito comune da parte della BCE. Una alternativa è l’emissione di questi titoli verso il mercato: una possibilità più costosa, ma che consentirebbe di non contabilizzare una crescita del debito dei singoli Paesi. Al contrario, strumenti come il Fondo Salva-Stati (MES) si traducono in crediti che vengono contabilizzati come nuovo debito. La discussione in Europa è ancora aperta, ma in assenza di una veloce soluzione, i Paesi con la finanza pubblica più debole – tra questi l’Italia –  potranno venire a trovarsi già nel medio termine in una condizione di insostenibilità del debito. Con la conseguenza di essere indotti a scelte drammatiche.
Vediamo, quali sarebbero gli scenari possibili per le finanze italiane in assenza di una soluzione europea per il finanziamento dell’emergenza. A fine 2020 il rapporto tra debito pubblico e pil in Italia balzerà verso l’alto, per tre motivi. Il primo è la contrazione del pil. Ad esempio, Confindustria stima, forse con ottimismo, una riduzione del pil del 6%; mentre all’opposto Goldman Sachs si spinge a pronosticare un meno 11,6%. Gli altri due motivi rimandano all’aumento della spesa pubblica e al vistoso calo delle entrate fiscali. Da ciò possiamo desumere due possibili scenari per il debito italiano. Assumendo una contrazione del pil del 6% nel 2020 e limitandoci a contabilizzare il conseguente calo del prelievo fiscale e solo le maggiori spese che scaturiscono dai decreti di marzo e aprile (circa 70 miliardi), il debito pubblico salterebbe dal 135% del pil del 2019 al 153% a fine anno. Viceversa, ipotizzando un calo del pil dell’11%, il debito balzerebbe intorno al 164% del pil.
Ebbene, con un debito compreso tra il 153% e il 164% del pil l’Italia si verrebbe a situare in un campo di difficile sostenibilità del debito. Infatti, facendo ricorso alla nota condizione di sostenibilità del debito si può verificare quale sarebbe, sul piano contabile, l’avanzo primario (ovvero l’eccedenza delle entrate fiscali sulla spesa pubblica di scopo) che stabilizza il rapporto debito pil, evitandone l’ulteriore incontrollato aumento. Anche ipotizzando - ottimisticamente, senza un sostegno europeo - per il 2021 un rimbalzo del 2,5% in termini nominali e un costo percentuale del debito invariato, ne seguirebbe la necessità di avanzi primari del 2,3% e del 2,8% nei due scenari. Uno sforzo imponente: già nel 2021 il governo dovrebbe costringere la spesa pubblica al di sotto del prelievo fiscale per oltre 40 miliardi. Uno sforzo anche vano, perché ormai sappiamo che queste politiche di austerità generano decrescita e quindi tendono a fallire nella stabilizzazione del debito.
A ben vedere, nei due scenari la capacità di tenere sotto controllo il debito verrebbe a dipendere da variabili che sfuggono al controllo del governo nazionale, ponendoci pericolosamente in balia degli eventi internazionali. Nessuna stabilizzazione del debito sarebbe infatti possibile se il costo del debito crescesse, ad esempio se la BCE ponesse fine alle politiche di acquisto differenziato dei titoli del debito pubblico, oppure se i Paesi europei decidessero di tornare al Patto di Stabilità ora accantonato. Né il governo potrebbe ricorrere all’inflazione, perché nell’eurozona tale decisione sfugge al potere dei singoli Paesi. Resterebbero altre strade particolarmente impervie, deflazionistiche, come la ristrutturazione del debito, il drastico incremento dell’imposizione fiscale, forme di espropriazione di ricchezza. Infine, l’Italexit, il ritorno alla sovranità monetaria, con la possibilità di ripagare il debito in una moneta emessa dallo stato italiano.
Oggi è ancora possibile evitare questi scenari drammatici. L’Unione Europea può decidere la monetizzazione degli extradeficit da parte della BCE o l’emissione di titoli di debito comune per il mercato. Solo queste soluzioni, non il MES, potrebbero evitare l’esplosione dei debiti pubblici. A tutto vantaggio dei Paesi con le finanze più deboli ma a ben vedere dell’Europa nel suo insieme.



Una versione estesa di questo articolo è apparsa su economiaepolitica.it