di Roberto D'Andrea° e Riccardo Realfonzo*
il manifesto, 6 giugno 2020
L’epidemia da Covid-19 sta
innescando una crisi economica senza precedenti. Secondo alcune previsioni, nel
2020 il pil italiano potrebbe ridursi più del 10% e il debito pubblico rischia
di superare il 160% del pil. La risposta europea alla crisi appare insufficiente
e dunque risulta essenziale riuscire ad attivare il risparmio privato italiano
per il rilancio economico del Paese, limitando la creazione di nuovo debito.
In Italia abbiamo una composita offerta
di strumenti di previdenza complementare, tra cui circa 30 fondi negoziali, che
nascono cioè da accordi contrattuali tra le parti sociali, e nei quali imprese
e lavoratori versano i contributi e viene accantonato il TFR. Il maggiore di
questi è il fondo pensione “Cometa” dei metalmeccanici italiani (con una
raccolta di circa 11 miliardi di euro). In totale, gli iscritti alla previdenza
complementare sono circa 8 milioni di lavoratori e le risorse accumulate totalizzano
circa 170 miliardi di euro, poco meno del 10% del pil del Paese. Gli
investimenti dei fondi pensione sono allocati per circa il 21,4% in titoli del
debito pubblico italiano. Nemmeno il 3% viene investito nelle imprese italiane e
tutto il resto se ne va in acquisto di titoli all’estero (3,7 miliardi; i dati
citati sono presenti nell’ultimo Rapporto Covip).
Negli anni, sono stati varati
diversi progetti per provare a trattenere un maggior volume di risorse della
previdenza complementare in Italia. Ma si tratta di progetti, come quello del “fondo
dei fondi”, che non reggono la sfida del mercato. Infatti, i Consigli di
Amministrazione dei Fondi inseguono, come è assolutamente doveroso, i maggiori
redimenti per i loro aderenti (a parità di grado di rischio) e quasi sempre
questi maggiori rendimenti si trovano all’estero dove ci sono mercati più sviluppati
e redditizi.
C’è però una semplice proposta
che abbiamo avanzato già tre anni or sono in occasione del convegno “Sfide”
organizzato dalla FIOM-CGIL, che è sostenuta dalla stessa FIOM-CGIL e che oggi
è importante ribadire. La proposta è quella di creare, magari attraverso
l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, uno strumento di investimento
diretto che raccolga quote di risparmio spontaneamente versate dai Fondi.
Questi investimenti potrebbero andare a favore, ad esempio, di imprese italiane
che puntino alla crescita occupazionale e che adottino i contratti nazionali, o
potrebbero essere utilizzati per le infrastrutture sociali, di cui il Paese ha
grande bisogno. Per incentivare i Consigli di Amministrazione dei Fondi a
versare quote importanti verso questo strumento controllato da Cassa Depositi e
Prestiti, tutelando come è giusto gli interessi degli aderenti ai fondi,
occorrerebbe però che ci fosse una garanzia di rendimento minimo che potrebbe
essere la rivalutazione del TFR (poco meno del 2% lo scorso anno, al netto
tasse). In questo modo, sarebbe possibile incanalare una quota importante del
risparmio pensionistico verso le imprese italiane, un importo che potrebbe persino
toccare i 20 miliardi di euro, se si riuscisse con questa strategia a
raggiungere la quota che in altri Paesi è dedicata dai Fondi Pensione ai
cosiddetti investimenti in economia reale.
Si tratterebbe di risorse tutte
italiane che finalmente resterebbero nel Paese, senza creazione di nuovo debito
pubblico, dal momento che l’impegno statale, attraverso Cassa Depositi e
Prestiti, sarebbe limitato alla garanzia di rendimento nel caso che gli
investimenti non avessero un ritorno sufficiente a coprire la rivalutazione del
TFR. Una soluzione che potrebbe mettere il nostro risparmio pensionistico al
servizio dello sviluppo del Paese, senza scalfire ma anzi proteggendo il
diritto dei titolari di questo risparmio: i lavoratori.
La legge sulla concorrenza del
2017, la 124 del 4 agosto (art. 39, comma 1), disponeva l’istituzione di un
tavolo di consultazione con le parti sociali per lo sviluppo dei fondi pensione.
Sarebbe stata l’occasione giusta per porre anche questa proposta in
discussione. Ma quella disposizione è rimasta lettera morta e il tavolo con le
parti sociali non c’è mai stato. E così il nostro risparmio continua ad
alimentare gli affari di altri operatori e di altre imprese, ma rigorosamente all’estero.
°Responsabile
previdenza complementare FIOM-CGIL
*Componente
del Cda del Fondo pensione “Cometa” dei metalmeccanici italiani