di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 30 marzo 2010
Le elezioni regionali consegnano la Campania al centrodestra. Rispetto al dato crudo e disarmante che emerge dalle urne c’è ben poco spazio per proporre letture fuorvianti e trovare capri espiatori. La semplice verità è che il sistema di potere politico che si è venuto costruendo negli ultimi 16 anni, intorno alla figura del leader carismatico Antonio Bassolino, due volte sindaco di Napoli e due volte presidente della Regione, è franato rovinosamente trascinando con sé l’ultima speranza che il centrosinistra conservasse il governo della Regione.
Certo, non si faranno attendere quanti ancora proveranno a spiegare la debacle con le geometrie delle alleanze tra i partiti, a cominciare dal mancato accordo con l’UDC. E stiamo pur certi che ingenerosamente qualcuno sosterrà che la scelta di candidare De Luca si è rivelata sbagliata: si dirà che è salernitano, mentre le regionali si vincono a Napoli; che è sottoposto ad indagini penali, e questo ha urtato l’anima giustizialista dell’elettorato; che ha assunto posizioni leghiste sul tema degli extracomunitari, e la cosa è risultata indigesta a una parte della sinistra. Ovviamente, come corollario di queste letture, tutte terribilmente riduttive perché caparbiamente concentrate sulla vicenda strettamente elettorale, emergeranno argute considerazioni circa le contromosse e gli errori che si sarebbero dovuti, rispettivamente, attuare ed evitare.
Ma alzando un po’ lo sguardo dal politichese e dai ragionamenti brevi, la realtà dei fatti è chiara: l’elettorato ha punito la malapolitica, la malamministrazione di tutti questi anni. Quella del sistema di potere che si è strutturato principalmente nelle frange del PD più vicine al leader Bassolino è stata infatti una parabola drammaticamente discendente. Il tempo delle promesse formulate negli anni ’90, con l’annunciato rinascimento per Napoli e per la Campania, e gli entusiasmi che esse suscitarono, è ormai lontanissimo. Da anni, infatti, la fiducia nel leader e nel suo entourage si è progressivamente erosa, con il palesarsi di una negligenza politico-amministrativa che ha visto nello scandalo dei rifiuti, nello sperpero dei fondi europei, nell’incapacità d’affrontare i nodi atavici dell’economia campana e nel disastro dei servizi pubblici locali gli aspetti più macroscopici. Insomma, siamo stati traditi da una classe politica locale che si è rivelata incapace e inaffidabile; e questo spiega come mai il forte astensionismo registrato in Campania si sia concentrato proprio a Napoli.
Certo, qualcuno correttamente replicherà che per spiegare quegli insuccessi occorre anche chiamare in causa i limiti della politica economica nazionale per il Sud e gli effetti del processo di unificazione monetaria sulle aree in ritardo di sviluppo.
Non mancano quindi corresponsabilità. Ma tutto ciò non giustifica la penosa deriva cui abbiamo assistito in questi anni, particolarmente a Napoli e in Campania. Da noi infatti, una volta sperimentato quanto sia complesso implementare politiche di pubblica utilità in un contesto socio-economico tanto problematico, non c’è stata volontà politica e capacità tecnica per insistere. Ed è così che, almeno da un decennio, abbiamo visto il potere politico locale progressivamente scivolare verso un uso particolaristico dei fondi europei e dei servizi pubblici. Insomma, non più razionalità programmatrice e scelte strategiche; bensì lo sminuzzare i fondi per distribuirli a pioggia, l’andare incontro alle istanze di imprese e partenariati in una logica assistenziale, l’utilizzare i servizi locali e le società che li erogano per accrescere gli addentellati nella società. Una sorta di deriva clientelare, che ha finito semplicemente col puntare alla conservazione del potere: l’arte di rimpiazzare il consenso vero, quello legato alla fiducia, che non si è più in grado di mantenere, con consenso e voti opportunistici e di scambio. Una logica inaccettabile sul piano etico e - come prevedevamo e oggi sappiamo - perdente su quello politico.
E ora, perse Provincia e Regione, al vecchio sistema resta il Comune di Napoli. Qui - come ho denunciato alla opinione pubblica in occasione delle mie dimissioni dall’assessorato al bilancio - l’uso particolaristico delle risorse impera. Ma ormai dovremmo aver capito che o assisteremo a un sussulto dei partiti del centrosinistra e della società civile, un sussulto che non sia tardivo e di facciata, o con le elezioni del prossimo anno si perderà anche il Capoluogo.