La proposta di stabilizzazione del rapporto tra debito e Pil
di Riccardo Realfonzo
L'Unità, 6 marzo 2013
La priorità del futuro governo italiano
non può che essere un dialogo nuovo con l’Europa, finalizzato ad arginare le
politiche di austerità. Si discute molto in questi giorni sui margini di
trattativa che potremmo avere, e spesso vengono avanzate proposte come allentare
i vincoli del Patto di Stabilità per gli investimenti e allungare i tempi di
rientro dai deficit “eccessivi”. Idee anche utili, che però rischiano di non
essere all’altezza della gravità del quadro macroeconomico e dei margini
effettivi di manovra della finanza pubblica di cui disponiamo.
C’è un punto che bisogna tenere ben
fermo: il Paese non è grado di fare i
“compiti” che gli sono stati assegnati negli ultimi due anni. Mi riferisco
al pareggio di bilancio (in termini strutturali, al netto della componente
ciclica) e al sentiero di abbattimento del debito pubblico previsto dal fiscal compact. Per rispettare
pienamente tutti questi impegni dovremmo – nelle ipotesi più rosee – portare
l’avanzo primario (cioè l’eccesso del prelievo fiscale sulla spesa pubblica,
interessi sul debito esclusi) al 5 per cento del Pil e mantenerlo su quel
livello per due decenni. Insomma, il futuro governo del Paese dovrebbe prendersi
la briga di spingere la spesa corrente al di sotto delle entrate fiscali per circa
80 miliardi di euro. È chiaro che una politica delle finanze di questo genere
non consentirebbe alcuna riduzione della pressione fiscale né lascerebbe spazio
per interventi espansivi, ad esempio nel campo delle politiche industriali. E in
questo contesto, qualche limatura del Patto di Stabilità o qualche piccola
concessione sui tempi equivarrebbe a una pacca sulla spalla data al soldato che
va al massacro. Infatti, nelle condizioni attuali, proseguire lungo la linea
del pareggio di bilancio e dell’abbattimento rapido del debito significherebbe esporre
il Paese al rischio di un circolo vizioso fatto di tagli, riduzioni del Pil, peggioramento
delle condizioni della finanza pubblica, nuovi tagli, che potrebbe drammaticamente
concludersi con l’abbandono dell’euro.
È necessario dunque aprire una
riflessione più profonda sulle regole e sugli obiettivi di finanza pubblica in
Europa. In tale direzione sarebbe auspicabile che il Parlamento europeo avviasse
una inchiesta sui reali effetti dell’austerity
e si riuscisse a concordare, anche con l’avallo delle autorità monetarie, un
freno a queste politiche recessive. E quale potrebbe essere allora, anche in una
fase transitoria, la regola di finanza pubblica alla quale potremmo impegnarci?
Una strada prudente e credibile riprende una proposta che avanzai già nel 2006,
all’epoca del governo Prodi, e che sfociò in un appello sottoscritto da un’ampia
parte dell’accademia italiana. Faccio riferimento alla stabilizzazione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil sui
valori correnti, nell’orizzonte temporale della legislatura. Secondo questa
proposta, il governo potrebbe impegnarsi a controllare il debito pubblico, non
nella sua grandezza assoluta ma come quota del Pil, in modo che il valore
attuale pari al 127 per cento del Pil risulti confermato al termine teorico
della legislatura.
Si tratta di una proposta che assicurerebbe
la piena sostenibilità del debito e che libererebbe nell’immediato importanti
risorse rispetto al percorso alternativo dell’austerità. Infatti, per
stabilizzare il debito pubblico al livello corrente del Pil, il governo
dovrebbe fissare conseguentemente il livello dell’avanzo primario, date le
stime prudenziali sui livelli attesi della crescita nominale del Pil e del
costo medio del debito pubblico. Prendendo per buone le stime di queste
grandezze contenute nella “Nota di aggiornamento” redatta dal governo Monti nel
settembre scorso, per stabilizzare il debito sarebbero necessari avanzi primari
inferiori al 3 per cento del Pil, contro avanzi nell’ordine dei 5 punti
percentuali necessari per rispettare le politiche di austerità. Rispetto alla
tabella di marcia prevista dalla “Nota di aggiornamento” di Monti (dove si
prevede un avanzo che dal 4 per cento del Pil nel 2013 raggiungerebbe il 4,8
nel 2015), già quest’anno la stabilizzazione del debito libererebbe risorse per oltre 20 miliardi di euro.
Nessuno si illude che sia semplice
cambiare politica economica in Europa, non fosse altro perché non tutti i paesi
subiscono gli effetti deleteri dell’austerità. Ma bisogna muoversi in questa
direzione. Prima che sia tardi.