Fondi europei per il Sud: una goccia nell'oceano

Fondi europei per il Sud: una goccia nell'oceano
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 26 marzo 2014

La strategia del nuovo governo sul Mezzogiorno non è stata ancora esplicitata, anche in merito alla creazione della Agenzia per la Coesione Territoriale annunciata dal governo Letta. Di certo vi è che se Renzi riuscisse a imporre in Europa lo scorporo di parte degli investimenti dal calcolo del vincolo europeo sul deficit - il famigerato 3% - si potrebbe quanto meno accelerare la spesa dei fondi europei. Una misura necessaria ma che per essere efficace dovrebbe accompagnarsi a nuove risorse e incisive politiche industriali. Per farsene una idea, bisogna sottolineare che la crisi economica ha accentuato sempre più il carattere dualistico dell’economia italiana. Gli indicatori del Pil pro capite e gli indici di sviluppo umano e di qualità della vita confermano che il divario tra il Sud e il resto del Paese è tornato a livelli di oltre cinquant’anni fa, e tende ad acuirsi. D’altronde, il tonfo economico del Mezzogiorno trova i suoi più vistosi riscontri nel pesantissimo saldo negativo della bilancia commerciale meridionale e nella spettacolare ripresa dei flussi migratori verso il Centro-Nord.
In questo contesto, buona parte del dibattito sulla “questione meridionale” si concentra sui temi della scarsità del “capitale sociale” e della inadeguatezza della classe politico-amministrativa locale. Aspetti ben difficilmente trascurabili, anche se è arduo dire in quale misura si tratti di fattori causali o piuttosto delle conseguenze di un tessuto produttivo arretrato quando non addirittura evanescente. Di certo vi è che per cogliere i termini nuovi della “questione” bisogna considerare il quadro internazionale. Infatti, se una volta il dualismo dell’economia italiana era una eccezione, oggi non lo è più. Come abbiamo sottolineato con il “monito degli economisti” pubblicato a settembre dal Financial Times, l’unificazione monetaria e il depotenziamento delle politiche economiche nazionali, dovuto all’austerità, hanno accentuato in Europa un processo di polarizzazione tra aree centrali sviluppate (in forte avanzo della bilancia commerciale) e aree in ritardo di sviluppo. Insomma, sussistono spinte sistemiche verso la concentrazione dei capitali e dello sviluppo nelle aree centrali d’Europa, mentre le regioni “periferiche” appaiono sempre più emarginate. È il processo di “mezzogiornificazione” europea.
A cospetto di queste potenti spinte alla divaricazione tra centri e periferie, i fondi europei (una ventina di miliardi per il Mezzogiorno continentale e la Sicilia, per l’intero periodo 2014-2020, cui si aggiunge il cofinanziamento nazionale) costituiscono una “goccia nell’oceano”. Eppure, l’Europa avrebbe dovuto imparare proprio dalla Storia italiana. Infatti, già con l’unificazione monetaria che si ebbe oltre 150 anni fa in Italia, all’insegna della lira, con la creazione dello Stato unitario, sperimentammo che la moneta unica e la cancellazione delle protezioni commerciali esaltano i processi cumulativi del mercato, accentuando il divario tra regioni prospere e regioni in ritardo. Oggi in Europa e in Italia, servirebbe una ferrea volontà politica – quindi una svolta espansiva delle politiche economiche – per contrastare quei processi. In assenza di una svolta in questa direzione, la desertificazione produttiva delle periferie europee procederà inarrestabile.