Se il Sud butta i soldi. L'incredibile caso del porto di Napoli
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 17 aprile 2015
È proprio vero che i nemici maggiori dello sviluppo produttivo del Mezzogiorno si trovano nel Mezzogiorno stesso. La vicenda illustrata dal Corriere del Mezzogiorno di ieri è solo l’ultimo, vergognoso, caso di sperpero di cui si è resa protagonista la nostra classe politico-amministratrice. Il fatto è che nei giorni scorsi, con alcuni atti notarili, il neocommissario dell’autorità portuale è stato costretto a dire definitivamente addio a ben 42 milioni stanziati con la legge Lunardi nel 2005, che avrebbero dovuto consentire rilevanti opere di ampliamento e riqualificazione del porto di Napoli. Semplicemente, negli anni scorsi non si è riusciti a spendere quei soldi, con buona pace delle imprese, dei lavoratori e di tutti gli operatori che direttamente e indirettamente avrebbero tratto beneficio dalle opere.
E dire che il Mezzogiorno ha una fame disperata di risorse. L’economia sprofonda, la disoccupazione continua a crescere, il divario con il Centro-Nord aumenta e ciò che manca sono soprattutto gli investimenti pubblici e privati. Basti pensare che oggi gli investimenti pubblici in infrastrutture per il Mezzogiorno si fermano solo a un quinto dei valori massimi registrati negli anni ’70 e che in pochi anni, dallo scoppio della crisi del 2008, gli investimenti privati si sono più che dimezzati. Non serve un dottorato in macroeconomia per capire che senza una politica industriale organica, assistita da investimenti infrastrutturali adeguatamente finanziati, il Mezzogiorno non troverà in sé le forze per riprendersi.
E ciò nonostante le scarse risorse che arrivano, a cominciare da quelle europee, continuano ad essere usate impropriamente e dissipate - troppo spesso per inseguire interessi particolari e clientele - o restituite al mittente perché, grazie tante, ma non ne abbiamo bisogno. È una storia che si ripete e che, con ogni probabilità, tornerà a interessare ancora Napoli e il suo porto, considerato che i fondi del Grande progetto europeo per il rilancio del porto (oltre 150 milioni) andrebbero spesi entro il 2015 e a questo punto ci sono poche possibilità che questo avvenga.
Questa storia infinita di sperperi e occasioni mancate dovrebbe farci capire alcune cose. In primo luogo, che non possiamo fare finta di indignarci per i commissariamenti da Roma, e men che meno può farlo una classe amministratrice che ha fatto del “cambiare tutto per non cambiare nulla” la sostanza della propria azione. In secondo luogo, che sul decollo produttivo del Mezzogiorno continua a gravare un tappo sociale costituito da una grigia borghesia politico-amministratrice che si alimenta nell’economia sussidiata ed è ostile allo sviluppo produttivo.