Il Jobs act rimescola ma non crea lavoro




Il Jobs act rimescola ma non crea lavoro
di Riccardo Realfonzo
Corriere del Mezzogiorno, 1 maggio 2015

Oggi è la festa del lavoro ma per tanti il lavoro non c’è più o resta un miraggio. Basti pensare che rispetto al 2008, prima della crisi, la disoccupazione è raddoppiata e solo nel Sud si conta ben oltre un milione di persone in cerca attiva di un impiego. Per questo, molti affidano le speranze al Jobs Act, entrato in vigore a marzo, e agli incentivi alle imprese in forma di “sconti” sui contributi previdenziali e assistenziali (decontribuzioni) per i nuovi assunti, operativi già da gennaio.
Il balletto delle cifre è in corso, sebbene sia ancora prestissimo per valutare gli effetti del Jobs Act, ma temo sia facile prevederne gli esiti. Come chiarito dallo stesso Fondo Monetario Internazionale, infatti, le deregolamentazioni del mercato del lavoro, come quelle previste dal Jobs Act, non hanno avuto effetti occupazionali significativi nella recente storia europea. La verità è che i livelli di produzione e di occupazione delle nostre imprese dipendono dalla domanda di merci e servizi che esse riescono a catturare, e i cambiamenti delle normative sul lavoro in ciò possono ben poco. Sotto questo aspetto, al netto di effetti temporanei, il risultato rischia di essere solo un rimescolamento nel ricorso alle forme contrattuali: una riduzione del numero di contratti di lavoro a termine e un aumento di quelli a tempo indeterminato (a tutele crescenti).
Più efficaci potrebbero essere le decontribuzioni che, abbattendo il costo del lavoro per le imprese, possono renderle più competitive. In questo modo si possono creare le condizioni per catturare una domanda un po’ più ampia, aumentando le esportazioni. Tuttavia, le merci del Mezzogiorno entrano nel mercato internazionale delle merci a tecnologia molto tradizionale nel quale trovano la concorrenza di imprese di Paesi aggressivi – in cui ad esempio i diritti dei lavoratori (che sono costi per le imprese) sono risibili – e i divari nei costi di produzione tra noi e quei Paesi ben difficilmente possono essere colmabili.
Insomma, nel Mezzogiorno anche le decontribuzioni scontano i limiti di un sistema produttivo inefficiente, tecnologicamente inadeguato, in un contesto povero di infrastrutture avanzate e privo di capacità amministrative. Prendiamo il caso Whirlpool. Ora che è scoppiata questa ulteriore crisi aziendale, la giunta regionale campana corre ai ripari e stanzia risorse. Ma domandiamoci come mai la Whirlpool intende chiudere lo stabilimento del casertano e al tempo stesso creare nelle Marche una grande fabbrica per la produzione di piani cottura.