In Campania servono discontinuità e rigore. Liberazione intervista Riccardo Realfonzo

Intervista a Riccardo Realfonzo: "In Campania va dato un chiaro e forte segnale di discontinuità e rigore nei programmi"
di Gemma Contin
Liberazione, 7 gennaio 2010
Riccardo Realfonzo, economista, professore ordinario e direttore del Dipartimento di Analisi dei sistemi economici e sociali dell'Università del Sannio, membro della consulta economica nazionale della Fiom-Cgil, assessore "tecnico" al bilancio del Comune di Napoli dal gennaio al dicembre 2009. Lo abbiamo intervistato sulle prospettive che si apriranno in Campania con le elezioni regionali del 28 e 29 marzo.
Professor Realfonzo, lei è stato per circa un anno assessore al bilancio di Napoli nella giunta di Rosa Russo Jervolino, poi ha dato le dimissioni. Cos'è successo?
Accettai l’incarico nel gennaio dello scorso anno con l’obiettivo di contribuire a una nuova politica economica cittadina. Consapevole della disastrosa eredità che raccoglievo, impostai una politica di risanamento del bilancio comunale allo scopo di evitare il dissesto, di sostenere i ceti meno abbienti colpiti dalla crisi, di bloccare le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, a cominciare dall’acqua. Una azione che ho definito di “rigore nel pubblico per la difesa del pubblico” e che è stata sempre sostenuta dalla sinistra in consiglio comunale, pur nelle condizioni di debolezza e frammentarietà che conosciamo. Credo di avere conseguito risultati evidenti, tagliando le spese della macchina amministrativa, implementando una politica di trasparenza e rigore, conducendo una lotta serrata all’evasione, aumentando la spesa sociale. Ma sui temi delicati del risanamento delle numerose società partecipate del Comune e della difesa dell’acqua pubblica si sono mano a mano chiusi tutti gli spazi per una azione di rinnovamento. Qui è prevalsa una difesa di interessi particolari consolidatisi in questi anni, rappresentati dalle frange egemoni del Pd campano, che vedono nelle società partecipate dei meri strumenti di consenso, legati a prebende e a privilegi. A quel punto, non potendo spezzare questo meccanismo perverso, nel dicembre scorso ho dato le dimissioni.
Il Comune di Napoli è uno dei punti in cui la crisi economica, politica e sociale è più acuta, ma in Campania rimangono aperte gravissime questioni come i posti di lavoro a rischio, il degrado ambientale e amministrativo, le inflitrazioni e il peso della camorra. Con le elezioni regionali cosa accadrà?
Napoli, la Campania, il Mezzogiorno intero vivono condizioni croniche di marginalità, accentuate dalla crisi. Molte di queste difficoltà sono il frutto di una politica economica nazionale del tutto inadeguata e che politicamente guarda altrove, oltre che di un quadro istituzionale europeo che spinge le aree in ritardo verso la desertificazione economica. Ma le responsabilità delle amministrazioni locali di centrosinistra in Campania sono purtroppo evidenti. La mia esperienza al Comune di Napoli è testimonianza di quante resistenze si incontrino nel tentativo di implementare una politica di rigore, difesa del pubblico, sostegno dei ceti meno abbienti. D’altra parte, i dati sugli scarsi risultati conseguiti dalla Regione Campania con i fondi europei parlano chiaro. Adesso sarebbe necessario mettere in campo una proposta realmente e credibilmente innovativa, che rompa con il passato. Una strada impervia, ma forse l’unica per non rischiare di essere travolti dal giudizio critico degli elettori sulle amministrazioni di questi anni.
Secondo lei quali sono le priorità che una forza politica di sinistra dovrebbe darsi, tenendo conto del problema ineludibile delle alleanze e del lascito di due legislature bassoliniane?
La parola d’ordine dovrebbe essere discontinuità. Serve una discontinuità nel personale politico-amministrativo e soprattutto serve discontinuità nel merito delle politiche che sono state implementate in questi anni. Penso, ad esempio, all’utilizzo dei fondi europei, che sono stati dispersi in mille rivoli, inseguendo la logica della programmazione negoziata che ha finito per premiare la piccola imprenditoria locale e le presunte vocazioni locali. Soldi gettati al vento. Gli unici punti di forza dell’economia campana e meridionale restano le grandi imprese nate negli anni dell’intervento straordinario. E poi c’è da difendere i servizi pubblici locali, mettendo in campo un sistema locale efficiente, razionale, difendibile economicamente e politicamente. Qualsiasi alleanza politica credo che dovrebbe fondarsi sulla discontinuità. Mi sembra una condizione irrinunciabile.
Lei che uomini e donne vedrebbe alla guida della Campania, dato che alla corte di Berlusconi corrono e soccorrono personaggi di antico e recente potere locale, da Nicola Cosentino a Clemente Mastella?
Come dicevo prima penso sia più importante discutere nel merito dei programmi. Ma è certo che servono donne e uomini nuovi, del tutto estranei al sistema di potere che nel centrosinistra campano di questi anni ha pensato più alla autoconservazione che ai cittadini.
Che ruolo stanno svolgendo, e potrebbero o dovrebbero svolgere in una situazione così pesante, le forze sociali, gli intellettuali, il mondo del lavoro?
La mia esperienza all’assessorato al bilancio è stata un lungo braccio di ferro con le inefficienze del blocco di potere consolidatosi in questi anni a Napoli e in Campania. Una esperienza dura nella quale ho sempre avuto il sostegno della sinistra e di una parte consistente del sindacato. Ma ho avuto anche e soprattutto il supporto di larga parte della società civile, come l’Assise che si raccoglie intorno all’Istituto per gli Studi Filosofici e che mi ha sostenuto con un appello pubblico. Insomma a Napoli e nel Mezzogiorno c’è tanta società civile che chiede un gran colpo di reni al centrosinistra. Da questa società civile ancora vitale credo occorrerebbe attingere per rilanciare un’azione progressista a Napoli e nell’intero Mezzogiorno.