L'afasia della Cgil e del Pd raccontate dagli economisti
I silenzi della sinistra dinanzi alla recessione e l'isolamento del sindacato di Corso d'Italia al centro di un convegno promosso dalla mozione di minoranza
Il Riformista, 21 gennaio 2010
di Mastrobuoni Tonia
Quando si tocca l'argomento tasse qualcuno non si trattiene, «c'è anche Dracula!» e in sala riecheggia qualche risata un po' grassa. Ma Vincenzo Visco sorride, ormai affezionato a un nomignolo che lo accompagna da tre lustri. E quando parla dell'economia italiania, come sempre, ha ragione da vendere. Con un ma che riguarda la sua personalissima visione del fisco. Occasione, un interessante confronto tra economisti di aree molto distanti - da Tito Boeri a Riccardo Realfonzo, da Silvano Andriani a Riccardo Bellofiore - organizzato da "La Cgil che vogliamo" , la mozione di minoranza del sindacato di Corso d'Italia. E insomma, per l'ex ministro delle Finanze «le tasse non sono poi tante: il 29% del Pil», contributi esclusi. Però Visco è lucido sulla vera emergenza. Il fatto che l'Italia stia sprofondando, contranamente all'epica dominanite del "ce la siamo cavata meglio degli altri", in un disastro assolutamente evidente, come mostrano i dati dell'Ocse. Per Visco anche nel crollo della ricchezza pro capite degli ultimi anni si coglie il sintomo chiaro del declino, visto che «quest'anno torniamo ai livelli del 1999».
Forse il dramma vero, tuttavia, è quello culturale, quella che Visco chiama senza fronzoli l'antica, «forte subalternità della sinistra al modello dominante» neoliberista. Al di là di chi rivendica, come Silvano Andriani, autore del delizioso "L'ascesa della finanza" (Doizelli) che dopo la débàcle dei neoliberisti "non possiamo non dirci keynesiani", il problema è capire qual è stata la reattività della sinistra e del sindacato alla crisi più paurosa dal 1929. Sferzante Bellofiore: «ne siamo usciti con politiche di spesa pubblica gestite dai neolibensti. E dall'altra parte c'è stato un totale silenzio». Anche Stefano Fassina, responsabile ecollomico del Pd, ammette che «stiamo utilizzando troppo poco quello che sta accadendo per un'offensiva culturale». Pur non condividendone dei passaggi, «mi pare che l'unico elemento di novità di questi mesi sia stata l'enciclica papale», osserva l'economista del Nens. Da apprezzare «nella critica all'individualismo metodologico e nella riproposizione del tema della politica come dimensione dell'interesse generale». La finestra concessa a un vero dibattito sulla crisi, forse, è stata piuttosto breve ma la sinistra ha indubbiamente fallito. Adesso, insinua Visco, «stiamo uscendo dalla crisi, al meglio, con un'altra fase di crescita basata su bolle speculative». Si ricomincia da capo.
L'orizzonte ancora lungo di uscita dalla crisi - con rischi di una ricaduta "double dip" come hanno sottolineato ieri in molti - impone la programmazione di politiche vigorose di rilancio della crescita, ma anche di una profonda ridefinizione del ruolo del sindacato. Per Realfonzo, ca va sans dire, la Cgil deve riconquistare la sua funzione di sindacato «conflittuale e solidaristico». E lo steccato attorno all'articolo 18 va mantenuto saldo. Non è di questo parere, com'è noto, Tito Boeri, teorico del contratto unico, che ha sottolineato l'importanza di «non proibire la flessibilità», ma trovare il modo, fmalmente, di risolvere il dualismo del mercato del lavoro. Una consapevolezza che è divenuta finalmente tema congressuale della Cgil.Ma è stato Alfonso Gianni ieri a pronunciare l'impronunciabile, dinanzi all'afasia della sinistra: «chiedere che il sindacato torni ad essere supplenza non è una bestemmia: è una necessità». E forse le parole più esplicite sono arrivate da Giorgio Cremaschi, sull'urgenza che la Cgil esca dall'angolo in cui è finita dalla firma separata sulla riforma dei contratti. «Abbiamo costruito per il congresso un documento con sindacalisti riformisti e antagonisti: siamo dinanzi a una crisi drammatica del confederalismo sindacale che va affrontata». Inoltre, per il segretario nazionale Fiom «è chiaro che la Cisl e la Uil una risposta alla crisi ce l'hanno», ed è «il modello socialcorporativo disegnato assieme al Governo e alla Confindustria». Chiosa il leader dei metalmeccanici, Gianni Rinaldini: l'area vasta che si è raccolta attorno alla mozione anti-epifaniana «non costruirà un'altra area programmatica», quella che nei partiti si chiamerebbe "corrente", «per mettersi d'accordo sulle poltrone ai vertici, bensì vuole aprire un dibattito». Questo passaggio, a dire il vero, non convince del tutto. Ma un confronto sui contenuti come quello di ieri aiuta certamente ad apprezzare questa eterogenea coalizione dei volenterosi che va dai riformisti ai massimalisti della Cgil.