di Carlo Di Foggia
Il Fatto Quotidiano, 14 maggio 2014
La flessibilità produce occupazione? “È la grande bugia dei nostri tempi. Basterebbe esaminare i dati ufficiali per scoprire gli insuccessi di queste politiche”. Dati che Riccardo Realfonzo, economista, docente di economia politica all’Università del Sannio ed editorialista del Sole 24ore ha pubblicato sulla rivista economiaepolitica.it. Uno studio che comprende tutti i Paesi dell’Eurozona e copre un quarto di secolo, dal 1990 ad oggi: “Vi è evidenza empirica che gli interventi di liberalizzazione del mercato del lavoro, anche con specifico riferimento al lavoro a termine, hanno fallito nel determinare la crescita occupazionale - si legge nello studio - Non si comprende, quindi perché l’Italia e l’Europa dovrebbero continuare lungo una strada che ha ampi costi sociali”. Lo studio si fonda sui dati Ocse, “cioè quell’istituzione di cui il ministro Padoan è stato capo economista, ma che sorprendentemente ignora quando difende il decreto Poletti”. Meno protezioni e vincoli per le imprese, liberalizzazione dei contratti a termine, tutto rientra negli indicatori dell’organizzazione parigina. “Basta incrociarli con la media delle variazioni del tasso di disoccupazione, secondo le metodologie tradizionali”.
E cosa si scopre?
Che non c'è alcuna correlazione. Prendiamo l’indice che misura il grado di protezione del lavoro in un Paese (Epl). Negli anni, a eccezione di Francia, Austria e Irlanda, tutti i Paesi dell’Eurozona hanno ridotto le tutele. Per l’Italia, l'indice è calato di oltre il 40 per cento dal 1990 a oggi.
Con quali risultati?
Nessuno. Incrociando si osserva che all’aumentare della flessibilità la disoccupazione nell’Eurozona tende semmai ad aumentare. Paesi come Spagna e Grecia hanno deregolamentato molto il mercato del lavoro, senza alcun effetto.
Però nel frattempo è intervenuta la crisi.
Per questo abbiamo effettuato anche una analisi relativa al solo periodo pre-crisi, fino al 2007, e il risultato non cambia. Ma questo studio non può destare sorpresa. Già l’Employment Outlook pubblicato nel 2004 dall’Ocse spiegava che la maggiore flessibilità non determina più occupazione. Ma Padoan non è stato capo economista dell’OCSE? Non ha letto quei lavori? Come fa a difendere la liberalizzazione del lavoro a termine? E poi nel passato l’OCSE non è stata nemmeno una voce isolata.
Chi altro?
Anche l’attuale capo economista del FMI, Olivier Blanchard, nel 2006 ha spiegato che la flessibilità non favorisce l’occupazione.
Perché intervenire sulla flessibilità non è servito?
Evidentemente perché frena i salari, rallentando la domanda interna. Inoltre, queste politiche spingono le imprese verso un modello di specializzazione produttiva fondato sui bassi costi di produzione, non sulle nuove tecnologie. E anche questo frena la crescita.
Il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha detto che il decreto produrrà occupazione.
Poletti crede nella precarietà espansiva, l’idea che la flessibilità possa aumentare l’occupazione. Una idea totalmente smentita dall’analisi scientifica. Le confesso che sono preoccupato. Gli spunti più interessanti del Jobs Act, e cioè gli interventi di politica industriale, sembrano accantonati per la mancanza di risorse dovute al rispetto dei vincoli europei. E l’unica cosa che viene fuori è la precarietà espansiva di Poletti. Che non ci porterà da nessuna parte.