Crisi, coronavirus e il boomerang del MES. Intervista a Riccardo Realfonzo

Crisi e coronavirus: "I fondi dal Mes rischiano di essere un boomerang. L'intervento sia in mano alla Bce". Intervista a Riccardo Realfonzo
di Raffaele Ricciardi, 26 marzo 2020


Secondo Riccardo Realfonzo, che ha pubblicato un appello sul Financial Times per un piano europeo anti-virus, bisogna dispiegare la Banca centrale come prestatore di ultima istanza. Per non rischiare che i prestiti ora erogati diventino un domani un peso eccessivo sul debito pubblico.

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La crisi derivante dal coronavirus sarà devastante, a detta ormai di molti. Riccardo Realfonzo, ordinario di economia politica all'Università del Sannio, ha portato il suo appello perché l'Europa agisca rapidamente e in modo massiccio, anche sul Financial Times. Professore, ancora non vediamo la fine della pandemia: che aspettative ha per l'economia italiana ed europea?

Nonostante parte della letteratura tenda a derubricare al breve periodo le conseguenze economiche delle pandemie, assisteremo a una contrazione eccezionalmente intensa e prolungata. Goldman Sachs si è spinta a prevedere una caduta del pil italiano di oltre l’11% nel 2020 e del 9% per l’eurozona. Un quadro disastroso. E non è nemmeno detto che siano previsioni pessimistiche. Il fatto è che la crisi impatta su un’economia europea particolarmente fragile, piena di squilibri, conseguenza di un quadro di regole macroeconomiche inadeguate e della incapacità nell’affrontare gli effetti della depressione post-2008. Basti pensare alle politiche di austerità. E d’altra parte, questa è una crisi sistemica, non semplicemente keynesiana, perché non impatta “solo” sulla domanda aggregata ma – alimentata dalle quarantene – determina blocchi della produzione, buchi nei meccanismi di approvvigionamento, “disorganizzazione” dei mercati.

In un articolo pubblicato dal FT, con i colleghi Brancaccio, Gallegati e Stirati propone un piano Ue anti-virus. Cosa pensa della risposta data fin qui dalla Commissione, che di fatto ha dato carta bianca sul deficit e permesso l'uso dei fondi strutturali, oltre ad allentare le maglie per gli aiuti di Stato?

La gravità della crisi impone un cambio di prospettiva. I Paesi dell’UE non devono procedere in ordine sparso ma occorre un grande piano europeo anti-virus, che preveda coordinamento delle politiche fiscali, centralizzazione dei finanziamenti, controlli dei movimenti di capitale. Servono interventi immediati per evitare fallimenti a catena delle imprese, la trasmissione della crisi alle banche, e per sostenere le famiglie;  poi un grande programma di investimenti pubblici. Le risposte che sin qui sono arrivate dalle istituzioni europee sono per certi aspetti scontate e comunque del tutto insufficienti. Sarebbe stato assurdo, nella condizione gravissima in cui ci troviamo, non ricorrere alla clausola d’emergenza prevista dal Patto di Stabilità, che permette ai paesi membri di aumentare il deficit senza curarsi del saldo strutturale di bilancio. Anche una maggiore libertà nell’utilizzo dei fondi europei, peraltro già assegnatici, non rappresenta una grande concessione, così come allentare i vincoli degli aiuti di Stato. Vedrete che le crisi aziendali ci spingeranno a ricorrere alle nazionalizzazioni, altro che vincoli agli aiuti di Stato.

La sua ricetta per la Ue prevede fondi dal Mes agli Stati, senza condizionalità per non incorrere nello stigma dei mercati: come crede che possa esser accettato ciò da chi ha perseguito per anni una politica dell'equilibrio di bilancio?

No, non propongo di ricorrere alla vecchia logica del Fondo Salva-Stati, ovvero il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Sarebbe una pessima soluzione, visto che quei crediti vengono contabilizzati come debito pubblico e che il mercato considererebbe comunque l’effetto-stigma che ne deriva, se ai prestiti accedessero solo alcuni Paesi. Magari l’effetto di questo aumento del debito sulla dinamica degli spread oggi sarebbe contenuto, perché la BCE, dopo gravi tentennamenti, ha varato il Programma di Acquisti di Emergenza Pandemica (PEPP). Ma nel futuro nulla assicura che il prezzo da pagare, ad esempio per il nostro Paese, in termini di oneri del debito pubblico schizzi alle stelle e diventi insostenibile. Ciò evidentemente potrebbe accadere se la BCE si rifiutasse in futuro di garantire il nostro debito sovrano, mettendo fine al programma di acquisti differenziato di titoli del debito pubblico. Insomma, la logica del MES potrebbe mettere in ginocchio l’Italia, sino e rendere impossibile la sua permanenza futura nell’euro e costringerla a recuperare la sovranità monetaria.

Insomma, chiedere che la Bce finanzi direttamente gli Stati è un caposaldo che dovrebbe saltare...

Se si vuole tenere insieme l’eurozona è necessario che la BCE funzioni pienamente da banca centrale, cioè da prestatore di ultima istanza, che garantisce il debito degli Stati. D’altronde non è strano chiedere che la banca centrale sia al servizio degli Stati, e quindi dei popoli, e non viceversa. La BCE dovrebbe semplicemente fare ciò che fanno le banche centrali di mezzo mondo, a cominciare dagli Stati Uniti. La BCE dovrebbe finanziare direttamente il piano anti-virus europeo, senza che ciò determini alcuna crescita del debito dei Paesi dell’Unione. Tecnicamente questo si può fare in vari modi, ad esempio attraverso l’emissione di titoli di debito europeo da parte di una agenzia europea, che sarebbero acquistati dalla BCE, utilizzando gli importi così ottenuti per il finanziamento del piano. Nella condizione presente non vi è alcun rischio inflazionistico né ci sono obiezioni di tipo legale che tengano.

Cosa dovrebbe fare dunque il Governo italiano nella discussione in atto in Europa?

Non abbassare la testa. Chiarire che l’introduzione di titoli del debito europeo e la loro monetizzazione da parte della BCE non è una “semplice” operazione solidaristica a vantaggio dei Paesi più colpiti dalla crisi e con le finanze pubbliche più fragili. È un intervento da cui dipende il futuro stesso dell’eurozona. Se le istituzioni europee si opponessero a questa soluzione credo che tanti cittadini, in Italia e in altri Paesi, giungeranno alla conclusione che non sappiamo cosa farcene di una unione europea che resta indifferente, aggrappata a vecchi dogmi ed egoismi, persino a cospetto della tragedia che stiamo vivendo.