di Roberto Ciccarelli
il manifesto, 14 marzo 2020
Gli economisti Emiliano
Brancaccio, Riccardo Realfonzo, Mauro Gallegati e Antonella Stirati hanno pubblicato un documento sul Financial Times dove chiedono un “piano anti-virus”
per rilanciare l'economia europea. “Pensiamo a uno sforzo coordinato tra i paesi,
con finanziamento centralizzato e collaborazione tra politiche fiscali e
monetarie".
Secondo Riccardo Realfonzo, economista all'università del
Sannio, “l'Italia da sola ha gravi difficoltà, soprattutto nel quadro delle
regole europee. I provvedimenti per evitare la circolazione del virus sono
necessari, ma l’impatto economico è disastroso. I 25 miliardi di euro stanziati
dal governo non saranno sufficienti per una crisi che può farci perdere anche 4
punti di pil. È un ordine di misura già ipotizzato in uno studio prodotto
proprio dalla Commissione Europa nel 2006, nel quale si simulavano le
conseguenze di una pandemia molto severa. In questa situazione, potrebbe
trovarsi presto l’intera Ue. Abbiamo bisogno di una risposta forte, che preveda
strumenti di cui l'Unione Europea sin qui non si è dotata”.
Il Commissario Ue all'economia Gentiloni ha detto che
siamo oltre la flessibilità e le regole del patto di stabilità devono
adattarsi. Sarà un adattamento temporaneo, oppure questa recessione modificherà
per sempre queste regole?
Sia chiaro che la flessibilità dentro le regole attuali
non basta. La Commissione Ue concederà la possibilità di incrementare il
deficit, derogando al principio del pareggio strutturale di bilancio. Ma in
assenza di un intervento rilevante delle politiche fiscali continentali,
coordinato anche con la BCE, e senza forme di controllo dei movimenti di
capitale, gli oneri del debito pubblico italiano cresceranno, e saranno guai.
Speriamo che il coronavirus dia una spallata al quadro delle regole europee e
ci consenta di costruire un sistema più razionale, al centro del quale abbiano
un posto ben diverso cose che stanno a cuore ai cittadini d’Europa, come
sanità, istruzione, ambiente.
Proponete un “piano anti-virus” su scala europea. In quali
settori?
Nella fase di espansione della pandemia è necessario intervenire
per rafforzare le strutture sanitarie, ma anche con importanti trasferimenti di
liquidità alle imprese e alle famiglie. Il rischio che si corre è il fallimento
a catena delle imprese, con conseguenti difficoltà del sistema bancario. Poi
serve un piano di investimenti pubblici che in primo luogo si concentri sulle
infrastrutture sociali: sanità, scuola, ambiente. Solo ora molti capiscono l’errore
commesso nel tagliare la sanità pubblica a vantaggio della privata, che ben
poco serve in emergenze come quella attuale. Naturalmente un consistente piano
“anti-virus” dovrà prevedere investimenti e politiche industriali per
rilanciare il tessuto produttivo messo in difficoltà dalla rottura delle catene
del valore e dalle molteplici strozzature dell’offerta.
Di quale cifra ci sarebbe bisogno?
I 25
miliardi che il governo si appresta a mettere in campo sono insufficienti. Sul
piano europeo bisognerebbe fare come Obama che nel 2010 stanziò circa il 5% del
pil, in buona misura con finanziamento della Federal Reserve Bank. In Europa
oggi significherebbe circa 600 miliardi di euro.
Molte polemiche ha prodotto la frase della presidente
della Bce Lagarde sullo spread. Il suo è stato un segnale di debolezza?
Si è capito che la Lagarde è un falco, una conservatrice
a capo di una banca centrale già orientata per statuto al solo controllo
dell’inflazione. Ieri la BCE ha cercato di correggere il tiro e la Commissione
ha fatto grandi aperture sulla flessibilità. Ma noi abbiamo bisogno di ben
altro. Per cominciare, occorrerebbe varare gli eurobond, che dovrebbero essere
acquistati dalla stessa BCE per finanziare il piano, e la BCE dovrebbe dare
garanzie sul debito pubblico dei Paesi, arrestando la dinamica degli spread.
Questo significa comportarsi da prestatore di ultima istanza.
Lagarde ha criticato i governi che non sembrano ancora
avere compreso la gravità della situazione. Riuscirà dove non è riuscito
Draghi: ottenere una politica fiscale da parte degli Stati?
Direi che dovrebbe riuscire a fare il banchiere centrale,
per cominciare. L’Europa dovrebbe lasciarsi alle spalle gli anni dei vincoli e
dell’austerità e decidersi a divenire una vera “unione” orientata agli
obiettivi dello sviluppo sociale e dell’occupazione. Questo significa dotarsi
di un ampio bilancio centrale, politiche fiscali e monetarie coordinate,
protezione da attacchi speculativi, e un sistema di welfare degno della sua
civiltà. Se anche questa volta prevarranno approcci dogmatici, inettitudini ed
egoismi, l’esperienza dell’unione monetaria rischia di volgere al termine.