Napoli, non solo camorra. È il clientelismo che governa
di Enrico Pugliese
Liberazione, 23 febbraio 2011
Il libro di Realfonzo è la cronaca della sua breve esperienza di assessore al bilancio al Comune di Napoli e del suo epilogo con la rottura con il sindaco Rosa Russo Iervolino. Il volume, dopo una anteprima partenopea, uscirà nel mese prossimo col titolo Robin Hood a Palazzo San Giacomo. Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli per l’editore Tullio Pironti (pp.195, euro 12, al momento acquistabile sul sito della casa editrice). La storia aiuta a comprendere alcuni aspetti del declino – non ancora del tutto consumato – della esperienza bassoliniana a Napoli, della quale la ormai lunga stagione di Rosa Russo Iervolino fa parte. Il titolo parte da un commento della Iervolino – riportato dalla stampa locale – sulle dimissioni di Realfonzo: “L’ira della Iervolino: Realfonzo credeva di essere un Robin Hood” (Corriere del Mezzogiorno).
In passato i tecnici e le personalità di cultura che hanno fatto parte del governo bassoliniano di Napoli e della Campania, quando hanno valutato l’impossibilità di portare avanti il progetto sul quale avevano investito, se ne sono andati senza troppi commenti, quasi in silenzio. Realfonzo, invece, ha voluto dare una forte risonanza alla sua scelta. Non è questione di carattere: credo che questa scelta esprima una nuova fase di calo della fiducia nell’amministrazione di centro sinistra e dell’asse Bassolino-Iervolino. La scelta di Realfonzo si innesta in una più generale situazione di delusione e in un contesto di oggettivo peggioramento del funzionamento della macchina amministrativa, ma anche della degenerazione del blocco di potere che ha retto fino a poco tempo addietro l’amministrazione provinciale e regionale di Napoli e della Campania e che rischia di determinare un insuccesso anche nella città.
Il libro ha inizio con la telefonata, quasi a sorpresa, del sindaco Iervolino che propone all’autore di fare l’assessore. I patti all’inizio sembrano chiari. Realfonzo fa dure critiche all’operato della giunta. La Iervolino sembra accettare le suo proposte. Ma fin dall’inizio qualcosa che non va nell’attribuzione delle deleghe, che sono la sostanza dell’assessorato. Il nostro si accorge che manca quella ai fondi europei, che rappresenta un grande flusso di denaro e quindi di potere. E qui si innesta un pezzo di storia che aiuta a comprendere il funzionamento del blocco di potere clientelare che governa Napoli. Nel racconto dettagliato e minuzioso c’è una parte che riguarda l’assessore Cardillo, costretto alle dimissioni con accuse di malversazioni piuttosto pesanti. Realfonzo dovrebbe prenderne (e in sostanza ne prende ) il posto ma si rende conto che l’entourage di questo personaggio è ancora tutto lì. Si sente assediato. La moralizzazione sbandierata con le forzate dimissioni di Cardillo non si vede. Tanto più che questi non esce affatto dalla scena. Realfonzo se lo ritrova direttore della Stoa.
Un grande merito del libro è quello di portare avanti un’analisi della gestione del comune di Napoli senza grandi riferimenti alla criminalità organizzata: alla camorra. Non lo dico affatto con ironia: si tratta davvero di un merito. Realfonzo denuncia le pratiche clientelari che caratterizzano la gestione della macchina comunale e – aggiungo io – anche la macchina della regione. Il caso dell’assessore al bilancio è rappresentativo della potenza paralizzante di questa macchina. Essa impedisce il buon governo dell’amministrazione con favoritismi, irregolarità e sprechi senza aver alcun bisogno dell’impegno della criminalità organizzata. È importante, se si vuol capire Napoli e il Mezzogiorno, distinguere i due fenomeni: il clientelismo e le pratiche camorristiche, delinquenziali in senso stretto. La letteratura recente su Napoli le ha identificate o – peggio ancora – si è soffermata sulle violenze, i ricatti e le prevaricazioni dando alla criminalità organizzata un ruolo onnipresente e onnipotente, riducendo tutto alla sua responsabilità. In questo modo i funzionari corrotti, clientelari o semplicemente incapaci, vengono automaticamente assolti o ritenuti una rotella nell’ingranaggio della macchina camorristica. Essi invece agiscono in collusione con tutti (imprese incensurate, imprese camorriste, professionisti legati al potere locale, imbroglioni e basta) senza bisogno di alcuna mediazione. Ed è con questa macchina che si è scontrato Realfonzo.
Come si è arrivati a tutto ciò? Come si è passati dal rinascimento napoletano alla rotta dell’esperienza Bassolino-Iervolino? Vezio De Lucia, nel raccontare di recente la sua esperienza di assessore a Napoli, ha notato come con la nascita e la gestione delle società miste si siano determinate le condizioni per la crescita di un nuovo sistema clientelare. E in merito al funzionamento di alcune di queste entra anche Realfonzo, mostrandone il carattere clientelare, l’inefficienza, le corruttele e gli sprechi, aggravati dall’odiosa pratica di difenderne le attività con la scusa di voler difendere i lavoratori occupati. Ma c’è qualcosa di più complesso. C’è la formazione di un blocco di potere complicato e per molti versi trasversale. Per dirla brutalmente, ci sono i rapporti con la vecchia DC di De Mita e con residuati del PSI di Craxi. L’area bassoliniana non poteva fare a meno, per avere una maggioranza solida, di imbarcarli. Molte scelte che riguardano il sistema socio-sanitario campano, si possono comprendere solo se si tiene conto di questo. E anche per quel che riguarda il comune il processo è analogo. Chi porta voti pretende rappresentanza e ruoli di potere. E se chi porta voti è corrotto o incapace pretende con ancora più forza. A mio avviso questo meccanismo si è andato progressivamente estendendo man mano che si riduceva il carisma di Bassolino e la capacità di tenuta di Rosa Iervolino. Con l’indebolimento della leadership non solo “gli altri” sono diventati più potenti, ma molti dei “nostri”, se con questa parola si intende la sinistra (compresa quella radicale), sono entrati nel blocco di potere e nello stile di gestione clientelare.
Per inciso in questo forse trovo qualche punto di dissenso con l’autore. Non che egli non si renda conto della trasversalità di questo blocco di potere, ma lascia forse troppo sullo sfondo il quadro politico. C’è forse stata una sottovalutazione del contesto nell’accettare la nomina ad assessore. E qui si pone un problema. Chi sorregge ormai un assessore comunale o ragionale in una battaglia.? E’ ovvio che da solo non ce la fa: non ce la può fare. Ci vogliono ben altre forze, ben altri sostegni popolari, per portare avanti un progetto riformatore.