Referendum: quel granello di sabbia nel fiscal compact


di Stefano Feltri
Il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2014

Cari italiani, volete decenni di austerità fiscale o preferite che si possa fare un po' di deficit, per aumentare le spese o ridurre le tasse? Facile immaginare la risposta, nessuno è felice di essere tartassato. Ed è la ragione per cui la Costituzione vieta i referendum in materia fiscale così come li vieta sulla ratifica dei trattati internazionali (è la democrazia rappresentativa: si suppone che i rappresentanti eletti siano più titolati a rappresentare gli interessi generali che l'elettorato consultato direttamente). Il Fiscal compact - il più stringente dei nuovi vincoli di bilancio post-crisi che ha modificato anche la Costituzione - è un trattato internazionale ratificato dal Parlamento che interviene in materia fiscale. Quindi, in teoria, al riparo dai referendum. Ma un gruppo di economisti ha lanciato una campagna per bloccarlo per via referendaria: bisogna intervenire sulla legge 24 dicembre 2012 n. 243 che si occupa delle "disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione".
I quesiti scritti da alcuni economisti, tra cui Riccardo Realfonzo e Gustavo Piga, sono ben congegnati: con piccole modifiche abrogative riescono a neutralizzare il Fiscal Compact, soprattutto i suoi effetti perversi che impongono nella pratica un rigore (tra contenimento del deficit e pareggio di bilancio strutturale) perfino superiore a quello previsto dallo spirito del trattato. Il Fiscal Compact, voluto dalla Germania tra 2011 e 2012, è stato una violenza continentale, perché imposto scavalcando l'ordinamento comunitario con le sue garanzie. Ha creato una gabbia contabile in parte sovrapposta in parte aggiuntiva alle norme decise a Bruxelles (Six Pack, Two Pack ecc). Un obbrobrio giuridico che i nostri parlamentari hanno serenamente votato nell'estate 2012, modificando anche la Costituzione. Un certo grado di coordinamento delle finanze pubbliche europee è necessario (fin dai tempi del trattato di Maastricht del 1992) per dare credibilità all'euro e alle prospettive di integrazione economica. Ma un'austerità violenta su basi giuridiche fragili - basti pensare all'inesistente legittimità della Troika, secondo l'Europarlamento incompatibile coi trattati - è poco popolare e facilmente contestabile.
Il referendum di Realfonzo e Piga difficilmente avrà grandi risultati: il voto alle europee ha premiato il Pd di Renzi che si è impegnato a rispettare i vincoli. Ma l'iniziativa degli economisti è comunque preziosa: per marcare il cambio di fase rispetto all'ossessione rigorista degli anni scorsi, non è necessario ottenere una modifica dei trattati o della Costituzione. Basta mettere qualche granello di sabbia nell'ingranaggio dell'austerità. Con i referendum o per altre vie.