Le dimissioni. Intervista al Corriere del Mezzogiorno

L’Assessore Realfonzo si dimette. E accusa
di Marco Demarco
Corriere della Sera-Corriere del Mezzogiorno, 10 dicembre 2009

Entrato nella giunta dei professori formata dalla sindaca nel gennaio 2009, dopo meno di un anno ne è fuori. La sua lettera di dimissioni è già sulla scrivania di Rosa Russo Iervolino. Assessore Riccardo Realfonzo, perché?
Posso dire di avere raggiunto il principale risultato che mi ero prefisso: evitare il dissesto comunale salvaguardando le fasce sociali più deboli. Sono molto soddisfatto per questo, ma al tempo stesso devo constatare che negli ultimi tempi gli spazi per una vera azione di rinnovamento della pratica politica cittadina si sono ridotti, fino a scomparire. Per questo ieri ho rassegnato le mie dimissioni. E' stata una decisione meditata e sofferta, necessaria per rimanere coerente con gli obiettivi di rigore, trasparenza e tutela dell'interesse collettivo che ho sempre perseguito.
Quando si insediò sulla sua poltrona di assessore al Bilancio, lei sembrò animato dalle migliori intenzioni. Ci spiega che cosa è successo dopo?
Quando assunsi l'incarico, da un lato c'era il disastro finanziario ereditato dalla precedente gestione, e dall'altro incombeva una gravissima crisi economica. Dichiarai quindi che avrei portato avanti l'unica linea razionale possibile, fondata sul contenimento dei costi della macchina amministrativa, sull'abolizione degli sprechi e delle consulenze, sulla messa in efficienza delle aziende comunali. Precisai che avrei declinato tale politica in senso progressista, in difesa dei cittadini colpiti dalla crisi e contrastando le linea delle privatizzazioni che in genere portano vantaggi per pochi ed incrementi tariffari per tutti. Per queste ragioni ho a più riprese parlato di un'azione di "rigore nel pubblico per la difesa del pubblico".
E alla fine come è andata?
Dopo undici mesi posso dire che sul versante del bilancio abbiamo ottenuto dei risultati rilevanti. Un esempio lampante è quello dei debiti fuori bilancio, che nel 2008 avevano raggiunto il valore record di cento milioni di euro. Ebbene, dopo i provvedimenti del maggio scorso, si è determinata una fortissima contrazione dei debiti fuori bilancio, che nell'ultima ricognizione hanno appena superato i 5 milioni di euro, contro i 22 dello stesso periodo del 2008. Solo grazie a questa politica di rigore è stato possibile incrementare i rimborsi per la Tarsu, tamponando gli effetti del decreto Bertolaso, che ci ha costretto ad aumentare la tassa. Sulla gestione del bilancio credo dunque di avere dimostrato che a Napoli si può fare buona amministrazione. Diverso però è il caso delle società partecipate del Comune. A questo riguardo, sussiste un nodo politico che è duro a sciogliersi, e che mi ha impedito di avviare un'azione di rinnovamento.
Appunto. La mancata privatizzazione ha fatto sì che tutti i carrozzoni pubblici o semi-pubblici rimanessero lì dov'erano.
Se è per questo abbiamo avuto svariati esempi di privatizzazioni disastrose, persino dentro il Comune di Napoli, come dirò tra poco. I problemi non si risolvono certo affidando ai privati il mercato strutturalmente protetto dei servizi pubblici. Basta chiedere ai cittadini che oggi si trovano a fare i conti con le società private dell’acqua se sono contenti dell’innalzamento delle tariffe. Il problema è un altro, e verte sulla volontà o meno di far funzionare la cosa pubblica. Purtroppo, salvo rare eccezioni, la realtà delle società partecipate del Comune di Napoli resta figlia di un modo di fare politica che ha avuto la meglio in questi anni, che si è annidato soprattutto tra le frange egemoni del Partito democratico e che sta evidenziando i suoi limiti e le sue degenerazioni. Mi riferisco a un complesso scoordinato di strategie che puntano a proteggere interessi particolari, e che tendono ad usare le partecipate come "macchine per il consenso", legate a prebende e a privilegi. Sono criteri di gestione che finiscono col mortificare i cittadini e gli stessi lavoratori delle aziende comunali, in larghissima parte onesti e volenterosi.
Lei fa affermazioni molto pesanti e, del resto, è proprio perché questa realtà era ed è arcinota che da più parti si è indicata la via delle privatizzazioni.
Pensa ancora che la vecchia litania delle privatizzazioni rappresenti la manna dal cielo? Ma si tratta di una ricetta chiaramente superata dai fatti! Se il futuro ci riserva una scelta tra capitalisti imbolsiti a caccia di rendite facili e politici che trattano la cosa pubblica come un affare privato, stiamo proprio freschi. La verità è che quando è nata la "giunta dei professori", in uno scenario politico di emergenza, i rapporti tra i vertici del governo comunale e i vecchi apparati erano tesi, e questo apriva spazi al rinnovamento. Per una breve fase è apparso possibile applicare anche alle partecipate la cultura del "fare bene". In questo senso ho spinto per una riduzione del numero dei consiglieri di amministrazione e per contenere le remunerazioni dei dirigenti, alcuni dei quali si comportano come vera e propria "casta" delle partecipate. Ho evitato di avanzare mie proposte, ma mi sono operato per chiarire che non sarebbero state prese in nessuna considerazione figure professionali non realmente adeguate agli incarichi. Ho anche impostato un osservatorio sui servizi pubblici locali nell'ambito del quale i sindacati e le associazioni dei consumatori avrebbero avuto un potere di controllo sulla qualità dei servizi.
Ecco, fin qui le buone intenzioni. E poi?
Per la verità non ero affatto considerato un portatore di “buone intenzioni”, nell’apparato… Tutt’altro. Ad ogni modo, col passare dei mesi la situazione politica si è "normalizzata", i margini d'azione si sono via via ristretti, fino ad annullarsi. E' diventato difficile per l'assessorato persino acquisire informazioni. Per ottenere dall'amministratore delegato di Napoli Servizi alcuni semplici notizie su curriculum e incarichi dirigenziali è stata necessaria la vostra campagna di stampa e la sollevazione del Consiglio comunale. Un caso simile è quello dell'ex assessore Cardillo, che fu assunto in tempi record come direttore generale dalla società Stoà, nel dicembre scorso, tre giorni dopo le sue dimissioni dalla giunta e due settimane prima di essere arrestato. Ebbene, anche in questo caso non sono riuscito ad avere informazioni sugli incarichi. L'unica cosa che ho capito è che quella società non ha rispettato il codice etico per le assunzioni approvato dal Comune.
Non credo siano gli unici casi.
Un ulteriore esempio è dato dalla Elpis, una società mista - al 51% del Comune e al 49% della srl milanese Aip - che si occupa di affissioni e pubblicità. La Elpis è una specie di buco nero. E desta stupore il fatto che si sia reso necessario ricorrere a privati, dal momento che i grandi comuni, come Milano e Roma, gestiscono direttamente il servizio ottenendo proventi che superano i 14 euro per abitante, contro i 2 euro di Napoli. Come dire che il Comune incassa ogni anno circa 12 milioni in meno di quanto potrebbe. E gli abusi sono fuori da ogni controllo. Tutto ciò la dice lunga sulla vulgata secondo cui i privati aumenterebbero l'efficienza. La verità è che la pretesa di risolvere i problemi con le privatizzazioni è priva di senso, se non quello di assecondare gli interessi di capitali privati senza idee, a caccia di mercati protetti.
Lei dice che per le pubblicizzazioni c'è un modo giusto e uno sbagliato per farle. Potrei dirle che lo stesso criterio vale per le privatizzazioni: dipende tutto da come si fanno.
Potrei ribattere che i decenni Ottanta e Novanta sono stati dominati dalle privatizzazioni e che non è andata affatto bene. Ecco perché sono in tanti a ritenere che sia tempo di sperimentare politiche pubbliche rigorose, feroci coi parassiti, ma pubbliche. Il problema è che, con le nefande strette di bilancio governative che incombono, proprio le resistenze al cambio di mentalità nelle partecipate crea un ottimo alibi per le privatizzazioni. Si tratta di un pericolo che corrono tutti i pubblici servizi, inclusa l'acqua. La recente decisione della giunta regionale della Campania di privatizzare la gestione di due acquedotti costituisce un preoccupante indizio, in questo senso. Così come la volontà del consiglio di amministrazione dell'Ato 2 di continuare a ostacolare la linea dell'acqua pubblica rappresenta un fatto gravissimo, che io non posso accettare dal momento che contrasta con la linea indicata in questi mesi dal mio assessorato e soprattutto dal Consiglio comunale. Le reticenze e i continui rinvii del consiglio di amministrazione dell'Ato 2 rischiano di portarci diritti alla privatizzazione dell’acqua. E’ anche per lanciare un allarme su questo pericolo che mi dimetto.
Ha valutato che le sue dimissioni potrebbero compromettere ulteriormente la tenuta del centrosinistra a Napoli?
I problemi che pongo vanno ben al di là della esperienza specifica mia o del Comune di Napoli. A me pare infatti che in questi anni le forze di centro-sinistra, soprattutto nel Mezzogiorno, abbiano assecondato uno scivolamento verso un uso particolaristico dei servizi pubblici, forse anche in base all'idea che le politiche di effettivo interesse collettivo non avrebbero reso, in termini di voti, quanto le gestioni piegate a fini specifici, e al limite clientelari. Ecco, io credo che questa logica sia stata disastrosa, per motivi non solo etici ma anche strettamente politici. Il motivo è semplice: sul terreno degli interessi particolari le destre riescono molto meglio, e quindi inseguendole o si finisce per diventare esattamente uguali a loro, oppure si perde. Temo fortemente che possa essere proprio questo il triste bivio della politica prossima ventura. Eppure le forze vive e oneste in questa città ci sono e mi sono state vicine, in questi mesi. La loro voglia di riscatto è tanta. Mi dimetto anche per dare una chance futura alle loro istanze. Dopotutto gli uomini possono passare, ma le idee se sono buone restano in gioco, e se riescono a diffondersi alla fine si impongono.