A proposito del riformismo napoletano

L'articolo qui in basso del prof. Patalano mi sembra eccellente. Chiarisce che tra i paradigmi scientifici classici - il marxismo, il keynesismo, il neoliberismo - un posto per il "riformismo alla napoletana" non è concesso.



Difendo Realfonzo. L'arcaico è Allodi

di Rosario Patalano
Repubblica Napoli, 6 febbraio 2009


Il riformismo ideologico mieterà più vittime dell´estremismo politico. Sotto il termine riformismo nell´ultimo decennio sono confluite diverse istanze che nulla hanno a che vedere con una coerente prospettiva riformistica, ma sono diventate né più né meno che coperture ideologiche per nascondere una reale impotenza nell´interpretare i cambiamenti della società e proporre risposte adeguate.
Il riformismo ha finito per negare se stesso, da visione pragmatica, si è trasformato in una astratta panacea, rivendicata all´accorrenza per curare ogni male possibile; da potente strumento politico si è ridotto a una semplicistica "ideologia del cambiamento" i cui esiti o sono stati puramente trasformistici o hanno finito per assecondare interessi reali che nulla hanno a che vedere con obiettivi di progresso e modernizzazione sociale. Questa accezione ideologica di riformismo è diventata il velo dietro cui soprattutto la classe politica dirigente napoletana ha nascosto in questi ultimi anni le proprie scandalose nudità. Molti di questi dirigenti sono passati nello spazio del mattino dall´astratta adesione ai principi del marxismo (nella versione nazionale gramsciana) a una altrettanto astratta concezione del riformismo che si è risolta nella semplice quanto imprecisata massima "meno Stato e più mercato". Ma così come il loro approfondimento dei testi di Marx era lacunoso, così è rimasta del tutto approssimativa e superficiale la loro acritica adesione ai fantasiosi programmi del riformismo progressista. Il dato sconcertante è che a Napoli questo riformismo ideologico ha contagiato anche pezzi importanti della cultura napoletana (mi riferisco ad alcuni interventi del professor Macrì) andando ben oltre l´angusto cortile mentale della classe politica locale.
Di tutti questi viziose accezioni del termine riformismo è ricco il recente intervento su La Repubblica (3 febbraio) dell´assessore provinciale alle risorse strategiche Guglielmo Allodi, che è forse uno degli esempi più riusciti (anche per singolare e brillante intelligenza) della parabola ideologica che accomuna molte storie politiche napoletane e che parte dal conformismo berlingueriano per raggiungere il populismo bassoliniano, e sempre con la stessa metodologica acriticità. Come si potrebbe definire il suo attacco all´assessore omologo al Comune di Napoli, Riccardo Realfonzo, se non come una stanca e tardiva riproposizione della ideologia del riformismo?
Allodi accusa Realfonzo di essere l´esponente di una arcaica concezione ideologica che attribuisce allo Stato e all´intervento pubblico un ruolo decisivo nella vita economica. Per Allodi «il potere pubblico ha solo il dovere di programmare» muovendosi «in un doppio limite: l´interesse pubblico e il pareggio del bilancio», con l´obiettivo di «dialogare con il sistema privato e di spingerlo a investire per il bene collettivo». Qualsiasi lettore informato sarà colpito dall´evidente astrattezza di questa visione. Se Allodi fosse amministratore di una provincia lombarda le sue finalità "riformistiche" potrebbero essere in linea di principio anche comprensibili, ma, se qualcuno non glielo ha ancora fatto notare, egli si trova a essere per sua sventura amministratore di una provincia ai margini del mercato capitalistico, dove l´imprenditore onesto è "spiazzato" dalla economia illegale e dove la logica del profitto s´identifica con la ricerca di rendite permanenti di posizione. Allodi certamente non è così ingenuo e cerca fuori dalla città e dalla Campania quel sistema privato che egli evoca, quando cita come esempio virtuoso la privatizzazione dell´aeroporto napoletano, ma questa visione accomuna la sua strategia alla politica economica dei Borboni, che svendettero asset strategici (come le ferrovie) a società di gestione inglesi, francesi e svizzere, proprio perché erano più preoccupati di far quadrare il bilancio e mantenere a un buon prezzo i titoli di Stato nella Borsa parigina, che di assecondare processi di sviluppo. Il meno virtuoso Piemonte invece si indebitava, con Cavour al ministero, per costruire le infrastrutture necessarie per assumere la direzione del movimento nazionale. Certo, fino a ora l´aeroporto di Napoli va bene, ma che succederà se gli inglesi per esigenze di redditività volessero spostare la loro base logistica altrove? La logica del profitto non obbedisce a finalità sociali, come si illude Allodi. In questo egli pecca dell´ingenuità del neofita, che avendo scoperto una nuova fede (il mercato) e sentendo il peso dei sensi di colpa per gli anni passati nell´errore (il comunismo), ne diventa un seguace fanatico. È sorprendente poi il rapido passaggio a una forma di dissociazione dalle proprie responsabilità di governo. A leggere gli interventi di Allodi e di Impegno (che sono due importanti e stimate personalità del governo locale) sembra che i guasti di gestione delle partecipate e i deficit occultati siano frutto di un esercito di occupazione e non della loro stessa responsabilità, dopo quindici anni di governo ininterrotto della città. Il riformismo diventa così trasformismo.
La strategia di Realfonzo a me pare limpidamente realistica, la sua visione mi sembra pragmatica quando ben conoscendo la realtà napoletana e il nuovo drammatico momento della crisi difende gli asset strategici in mano alla municipalità. La difesa delle risorse strategiche, come l´acqua, che sta diventando sempre di più un bene raro e su cui si concentrano gli appetiti di grandi multinazionali, è un elemento cruciale. Forse Allodi dimentica che qualche anno fa la giunta Iervolino, in seguito a una sollevazione popolare, ha fatto marcia indietro sulla proposta di privatizzare l´Ato napoletano. Forse l´assessore Allodi ignora che il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë, ha vinto la campagna elettorale proponendo di rimunicipalizzare l´azienda parigina di erogazione del servizio pubblico da molti anni in mano ai privati (fornitori di un servizio inefficiente e iniquo). Allodi ignora che in Europa nella sinistra riformista ha assunto un ruolo crescente il movimento per la ri-municipalizzazione dei servizi pubblici locali. Mi pare che di "arcaico" in giro ci sia solo il riformismo ideologico di Allodi e certo sarebbe opportuno, per le responsabilità che gli competono, un rapido aggiornamento del suo bagaglio culturale.

*L´autore è docente di Teoria economica nell´Università Federico II