Bilancio del Comune: una sfida da vincere

Ho molto apprezzato l'articolo di Salvatore D'Acunto, professore di economia politica alla Seconda Università di Napoli. Mi pare un contributo serio alla riflessione sulla manovra finanziaria del Comune per il 2009.


Bilancio del Comune: una sfida da vincere

Repubblica, 23 aprile 2009

di Salvatore D'Acunto
Professore di economia alla SUN

Dopo le note vicende giudiziarie dei mesi scorsi, i cittadini si attendono dal bilancio di previsione del Comune di Napoli qualche segnale di discontinuità. Purtroppo, la Giunta Iervolino non arriva a questo appuntamento nel momento storico più propizio. Tra crisi economica, tagli ai trasferimenti e nuovi vincoli all’autonomia impositiva, le casse comunali suonano vuote. L’unico linguaggio che l’amministrazione può parlare per lanciare messaggi di novità è quindi quello della riconversione della spesa.
Non è detto che sia un male. Con margini di manovra ristretti, la politica si trova costretta a fare i conti con la sua reale essenza. C’è meno spazio per strategie “ecumeniche” di costruzione del consenso e diventa giocoforza mandare alla cittadinanza segnali meno equivoci. Spiegare a chi si vuol dare e a chi togliere. Stabilire una gerarchia di meriti da premiare e bisogni da privilegiare. Definire i contorni di un blocco sociale sul quale investire per la rinascita della città. Insomma, una buona occasione, per la politica, per tornare a fare “politica”.
Sarò cinico, ma credo che Napoli avesse urgente bisogno di questa occasione. I problemi di Napoli sono tanti e complessi, ma un “filo rosso” salta agli occhi: quella complicità perversa tra politica e società civile che si è gradualmente cementata sull’uso delle risorse pubbliche. Da tempo Napoli è una città senza identità collettive forti, che lo smantellamento del suo tessuto industriale ha privato di quel minimo di dialettica sociale che ne aveva a lungo nutrito una sia pur intermittente vitalità. La struttura sociale della città si è andata frammentando in particolarismi esasperati, a cui la politica ha risposto con strategie che, soddisfacendo domande “corporative” con l’unico criterio della funzionalità alla riproduzione del proprio consenso, di quei particolarismi hanno di fatto favorito il consolidamento. Così, una società civile sempre più improduttiva e alla ricerca di rendite di posizione e un ceto politico ormai privo di istanze collettive da rappresentare si sono avvinghiate in un perverso amplesso. Il terreno su cui questo ambiguo rapporto si è consumato è stato il controllo delle risorse collettive: il saccheggio dei bilanci delle amministrazioni pubbliche, lo scempio del territorio, lo strangolamento del ceto produttivo ne sono state le nefaste conseguenze.
Per Napoli è tempo di invertire la rotta, e non vi è dubbio che l’amministrazione comunale possa giocare un ruolo importante in questo processo. L’approvazione del bilancio è una prima occasione per assumere alcuni impegni in tal senso: in primo luogo, l’impegno a porre un robusto argine al saccheggio; in secondo luogo, quello di riassoggettare la direzione dei flussi di risorse pubbliche al controllo di forme democratiche di rappresentanza degli interessi collettivi; infine, quello di indicare gerarchie di priorità coerenti con un progetto di rinascita della città.
Vale la pena di chiedersi in che misura il documento di programmazione proposto dall’assessore Realfonzo all’assemblea consiliare sia coerente con queste esigenze. Circa il primo punto, la relazione al bilancio mette un importante “paletto”: dopo un prolungato chiacchiericcio sull’ipotesi di privatizzazione della gestione delle risorse idriche, ci si impegna a non fare anche di questo settore un’arena di saccheggio. E’ senz’altro una scelta qualificante, legittimata da considerazioni di equità, ma anche di efficienza economica, e che segnala la volontà di valorizzare le risorse pubbliche in funzione di obiettivi collettivi, piuttosto che di sacrificarle sull’altare di interessi puramente speculativi. Sul secondo punto, l’amministrazione si impegna a disegnare le linee di indirizzo della propria azione attraverso un confronto alla luce del sole con le forme organizzate di rappresentanza del mondo della produzione. Si tratta di una mera dichiarazione di intenti, e va pertanto verificata nella prassi, ma segnala una profonda novità di metodo. Sottrarre il controllo dei flussi di spesa ai tanti tavoli di negoziazione “occulta” con la miriade di lobbies affaristiche che tanto hanno condizionato l’azione delle istituzioni locali va infatti considerato un piccolo, ma anche ineludibile passaggio della lunga battaglia necessaria a spezzare la spirale del “particolarismo”. Sul terzo punto, si è fatto uno sforzo importante per spostare risorse verso interventi cruciali per la riqualificazione del tessuto urbano (manutenzione delle strade e delle scuole, verde pubblico), per mantenere i livelli attuali di fornitura dei servizi pubblici senza aggravi di costo per gli utenti e per sostenere i ceti più colpiti dalla crisi. Va anche apprezzata la scelta di affrontare il nodo dell’efficienza della macchina amministrativa con alcune azioni mirate (turn-over del personale, revisione dei meccanismi per i conferimenti alle società partecipate, ecc.). Sono interventi di cui non va sottovalutata l’importanza nell’ottica della costruzione delle precondizioni di un progetto di sviluppo.
Ma la parte più rilevante dell’opera è tutta di là da venire. Qualunque sforzo di “ingegneria finanziaria” risulterà vano se le istituzioni non forniranno agli attori sociali stimoli adeguati ad indurli a cooperare alla riuscita del progetto. Le migliori energie della città sono state in questi anni indotte alla fuga o deviate, da un perverso sistema di incentivi, dall’investimento nel saper fare economico all’investimento nella ricerca di posizioni di rendita. Riconvertire queste energie verso un progetto di sviluppo sarà impresa ardua. Occorrerà “bonificare” risolutamente i meccanismi di allocazione delle risorse (mercato e autorità pubbliche), ricostituendo quel nesso tra mobilità sociale e apporto al benessere collettivo che Adam Smith considerava la “chiave” della ricchezza delle nazioni.
Da anni i cittadini di Napoli si chiedono se la loro classe dirigente abbia immaginazione e coraggio adeguati a progettare il futuro, dove con la parola “futuro” intendo un’epoca molto più lontana della prossima scadenza elettorale. Confesso il mio scetticismo, ma non nascondo qualche residua speranza.