Né il "partito della spesa" né quello "del rigore"
di Riccardo Realfonzo
Liberazione, 25 ottobre 2009
Gli scontri a cui abbiamo assistito in questi giorni tra i ministri del governo Berlusconi sono stati interpretati come segnali della esistenza di due anime in seno al governo: un “partito della spesa”, uno dei cui sostenitori sarebbe il ministro Scajola, e un “partito del rigore”, di cui Tremonti sarebbe l'esponente di punta. In realtà la contesa è più complessa e va probabilmente declinata nei termini di un conflitto tra uno schieramento pienamente appiattito sulle posizioni di Confindustria e un altro schieramento che cerca di tessere dinamiche aggregative più complesse, anche interclassiste, mettendo insieme gli interessi della piccola borghesia settentrionale e quelli dei lavoratori. La Lega Nord e in buona misura lo stesso Tremonti si collocano in questo secondo orizzonte. Certo, sono spesso costretti a qualche salto mortale logico e propagandistico. Qualche contraddizione c'è pure, infatti, se Tremonti dopo avere nel 2003 sostenuto l'approvazione della legge 30 (la cosiddetta legge Biagi) oggi esalta le virtù del “posto fisso”. E qualche altra contraddizione viene pure fuori se lo stesso Tremonti dopo avere a più riprese attaccato il quadro delle regole di Maastricht può essere annoverato oggi, nei fatti, tra i ministri dell'economia europei più fedeli a quelle regole.
Naturalmente Tremonti potrebbe difendersi, sottolineando che la sua politica economica rigorista ha permesso di tenere sostanzialmente sotto controllo i conti pubblici e in particolare il deteriorarsi dei rapporti deficit/pil e debito/pil che in altri paesi di Europa sono peggiorati in maniera più vistosa che da noi, a causa della crisi. Ma la realtà è che il contenimento della spesa che Tremonti propone non aiuta in alcun modo il rilancio del sistema economico. Insomma, Tremonti pratica prudenza, rigore e tanto attendismo, nella speranza che sia il resto del mondo a ripartire trainando con sé le nostre esportazioni. Una politica di rigore inaccettabile, anche se certo ben pochi vorrebbero vestire i panni di un ministro che comunque qualche rischio di trovarsi al cospetto di un attacco speculativo contro i titoli pubblici pure lo corre.
Dall'altro lato del governo la politica proposta è delle più insulse. I ministri confindustriali chiedono infatti di allentare il rigore di bilancio nella maniera peggiore possibile: quella del taglio alle imposte che gravano sulle imprese e in generale della contrazione dei costi di produzione. Come se non fosse ormai dimostrato che il taglio del cuneo fiscale è stata, tra tutte, la più inutile e deleteria azione dell'ultimo governo Prodi.
Inutile dire che il Paese avrebbe bisogno di ben altro. Non serve vendere illusioni o proteggere i più ricchi dalla crisi. Servirebbe piuttosto una politica espansiva fondata sul sostegno dei redditi da lavoro tramite una politica fiscale nuovamente progressiva, e sul sostegno della occupazione attraverso investimenti pubblici ecologicamente sostenibili nelle infrastrutture materiali e immateriali.
Naturalmente Tremonti potrebbe difendersi, sottolineando che la sua politica economica rigorista ha permesso di tenere sostanzialmente sotto controllo i conti pubblici e in particolare il deteriorarsi dei rapporti deficit/pil e debito/pil che in altri paesi di Europa sono peggiorati in maniera più vistosa che da noi, a causa della crisi. Ma la realtà è che il contenimento della spesa che Tremonti propone non aiuta in alcun modo il rilancio del sistema economico. Insomma, Tremonti pratica prudenza, rigore e tanto attendismo, nella speranza che sia il resto del mondo a ripartire trainando con sé le nostre esportazioni. Una politica di rigore inaccettabile, anche se certo ben pochi vorrebbero vestire i panni di un ministro che comunque qualche rischio di trovarsi al cospetto di un attacco speculativo contro i titoli pubblici pure lo corre.
Dall'altro lato del governo la politica proposta è delle più insulse. I ministri confindustriali chiedono infatti di allentare il rigore di bilancio nella maniera peggiore possibile: quella del taglio alle imposte che gravano sulle imprese e in generale della contrazione dei costi di produzione. Come se non fosse ormai dimostrato che il taglio del cuneo fiscale è stata, tra tutte, la più inutile e deleteria azione dell'ultimo governo Prodi.
Inutile dire che il Paese avrebbe bisogno di ben altro. Non serve vendere illusioni o proteggere i più ricchi dalla crisi. Servirebbe piuttosto una politica espansiva fondata sul sostegno dei redditi da lavoro tramite una politica fiscale nuovamente progressiva, e sul sostegno della occupazione attraverso investimenti pubblici ecologicamente sostenibili nelle infrastrutture materiali e immateriali.