Una politica economica fallimentare

Il nostro Tremonti, con i suoi Tremonti-bond, proprio non è riuscito a rimettere in moto il mercato del credito. E le imprese italiane continuano a restare senza liquidità. A riguardo vi invito a leggere l'editoriale pubblicato da Liberazione.

Una politica economica fallimentare
di Rosario Patalano e Riccardo Realfonzo
Liberazione, 2 ottobre 2009
È di queste ore la notizia che il consiglio di amministrazione dell’Unicredit ha varato all’unanimità un aumento di capitale di 4 miliardi di euro, senza procedere – come recita il comunicato – “all’emissione di strumenti di capitale destinati alla sottoscrizione da parte del ministero dell’economia e delle finanze italiano”. In sostanza, l’operazione di aumento di capitale del più grande gruppo bancario italiano ignora completamente, come già aveva fatto l’Intesa San Paolo qualche giorno prima, lo strumento di rifinanziamento conosciuto come Tremonti Bond. Per il board di Unicredit “il clima sui mercati è cambiato e sarebbe anacronistico richiedere gli aiuti di Stato”. Nelle stesse ore uno dei primi gruppi bancari europei, Bnp- Paribas, annunciava l’emissione di nuove azioni destinati al rimborso di azioni privilegiate dello Stato francese, chiudendo così la fase del ricorso ai sussidi statali, una tendenza che si sta ormai consolidando in tutto il mondo.
Insomma, il mondo bancario sta dando un preciso segnale nel senso dell’indipendenza e dell’autonomia dal potere politico, mentre la crisi è ancora in atto. E dunque sembrerebbe già tramontata l'epoca dei Tremonti Bond, varati poco meno di un anno fa, nel bel mezzo della tempesta finanziaria. I Tremonti Bond sono obbligazioni emesse dalla banche e sottoscritte dal Tesoro che così intendeva sostenere la capitalizzazione degli istituti di credito e per questa via favorire il credito alle imprese . La sottoscrizione di questi strumenti finanziari impone alle banche una serie di vincoli: una valutazione istruttoria della Banca d'Italia, l’impegno da parte delle banche ad assicurare un flusso di crediti alle piccole e medie imprese e alle famiglie e l'adozione da parte degli istituti bancari di un codice etico che stabilisce limitazioni agli stipendi dei vertici amministrativi. Lacci e lacciuoli che evidentemente sembrano ora non necessari (lo ha dichiarato il presidente dell’Abi Corrado Faissola) e troppo costosi. Ora è più vantaggioso ricorrere alla liquidità presente nei mercati, approfittando dei "tassi zero", o alienare cespiti patrimoniali non strategici.
Con ciò di fatto fallisce completamente l’unico strumento messo in campo dal governo per orientare e controllare il mercato del credito a favore delle imprese. Mentre altri paesi hanno proceduto sulla strada delle nazionalizzazioni in modo massiccio e rapido, o hanno direttamente sostenuto l’accesso al credito delle imprese, in Italia l’intervento del governo è stato tardivo e del tutto inefficace rispetto gli scopi. I Tremonti bond in fin dei conti restano quel che sono sempre stati: una riserva assicurativa da utilizzare nel momento della difficoltà, ma non un metodo sistematico di rifinanziamento, né uno strumento concreto per indurre gli istituti di credito a fornire ossigeno all’economia depressa. Si è persa quindi una grande opportunità per ristabilire il primato di indirizzo della politica sul mercato creditizio. Il potere finanziario italiano, nato e cresciuto dal potere politico, oggi finisce per sovrastarlo completamente e neppure questa drammatica crisi è valsa ad invertire questa tendenza. Il colbertismo del nostro ministro del Tesoro si è quindi fermato definitivamente sulla soglia del potere finanziario.