Realfonzo: i dieci anni peggiori
di Simona Brandolini
Corriere del Mezzogiorno, 15 dicembre 2010
Professor «Robin Hood», alias Riccardo Realfonzo, secondo lei l’ultimo decennio è stato il peggiore della storia napoletana?
«Sì —sorride e spiega —, perché alle difficoltà della programmazione negoziata, al fallimento delle aspettative sull’euro come volano del Sud, al taglio ai trasferimenti, le giunte regionali e comunali in difficoltà hanno risposto tentando di mantenere il consenso attraverso clientele e prebende».
Realfonzo è autore di un libro (“Robin Hood a Palazzo San Giacomo”, che sarà presentato sabato) sulla sua esperienza di un anno a Palazzo San Giacomo, da assessore al Bilancio, chiusasi con le dimissioni.
Questo decennio è il fallimento della sinistra o no?
«No, semmai di una parte, di quella parte del Pd che ha inseguito le soluzioni clientelari».
Beh, lei è stato in giunta, poteva incidere. Perché non l’ha fatto?
«E’ ben noto che, dopo qualche risultato, sono stato letteralmente bloccato. Lo dimostro nel libro. La via che indicavo, quella della buona amministrazione, del rigore nel pubblico per la difesa del pubblico, del taglio di privilegi e sprechi, è entrata in contraddizione secca con una gestione becera del sistema delle partecipate».
E la strada del consenso clientelare secondo lei ha funzionato?
«No. La città è in ginocchio e l’elettorato di sinistra ha girato le spalle, come si è visto alle ultime regionali. E sale l’astensionismo».
Il libro comincia con la telefonata della Iervolino, il 4 gennaio del 2009, in cui le chiede di fare l’assessore. Cosa sperava?
«Credevo che nel dicembre del 2008 si fosse toccato il fondo: con le inchieste, gli arresti, il drammatico suicidio di Nugnes. E speravo che con quella giunta di tecnici si volesse provare sul serio a cambiare. Ma dopo pochi mesi ci fu una chiusura totale. Non riuscivo neanche ad avere accesso ad informazioni banali. Un muro di gomma. Il sistema proteggeva le società partecipate».
Che sono realmente il bubbone delle amministrazioni locali?
«A Napoli, a parte qualche eccezione, sì».
Dunque non la stupiscono le inchieste della magistratura su parentopoli.
«In generale, non posso certo dirmi stupito, anche se la critica del mio libro si muove sul piano della politica. E vedo che si continua lungo quella strada. Recentemente è stato nominato Armando Palma nel cda di Napoli servizi. Palma è un consigliere della settima municipalità e quindi per legge non potrebbe essere nominato in una società pubblica. Ma passa in silenzio».
Altre stranezze?
«Nel libro ne racconto tante. Come il caso di una nomina proposta da Tino Santangelo per Napolipark. Mi dà un curriculum di tre pagine di un avvocato trentenne, laurea non brillantissima (92), ma uno spiccato interesse per le arti. Aveva esperienze nel Centro studi danza e ginnastica e in una cooperativa teatrale. Era alto un metro e settantaquattro, castano, occhi verdi e la patente B».
E lei che fece?
«Feci irruzione dalla sindaca. Lei si prese in carico la questione. Dopo qualche giorno mi ridiede il curriculum, diciamo asciugato, di suo pugno».
Questo giovane avvocato fu nominato?
«Certo, nonostante tutte le mie proteste».
Dopo il caso Roma, anche Napoli. Come si fanno le assunzioni nelle partecipate?
«Il meccanismo partenopeo si fonda sul reclutamento mediante società interinali, private. Che hanno una bella libertà di azione nella ricerca del personale. Quando ero assessore ebbi a bloccare diversi meccanismi di questo genere. Nel maggio del 2009 mi arrivarono una serie di note circa presunte irregolarità che riguardavano alcune assunzioni in Arin e Napolipark. Li bloccai cautelativamente».
E in Napolisociale?
«Pur essendo assessore alle partecipate alcune erano sottratte al mio controllo, Napolisociale e Elpis erano due di queste».
Lei è stato ascoltato in Procura dopo le sue denunce, ma dal Comune non c’è stata reazione?
«No. C’è un silenzio, direi un silenzio esilarante intorno a questi temi. Io e i cittadini napoletani non abbiamo avuto risposte nel merito delle questioni».
Di chi è la responsabilità e per le partecipate è solo una questione di uomini inadeguati?
«Dal punto di vista politico mi sembra chiaro che il sindaco abbia gravi responsabilità. E comunque il disastro dei servizi pubblici locali dipende anche da questioni finanziarie. Società come Anm, dove stanno tagliando i servizi, hanno decine di milioni di crediti nei confronti del Comune. Per pagare gli stipendi fanno salti mortali e hanno esposizioni fortissime verso le banche. Altro esempio, la raccolta differenziata: Asìa è molto indietro anche perché il flusso finanziario che dal Comune va alla società è insufficiente».
Questo accade perché il governo ha tagliato i trasferimenti?
«Anche. Ma il Comune di Napoli ha tre miliardi e mezzo di residui attivi, cioé crediti in bilancio per riscuotere i quali il Comune incontra gravi difficoltà. Questo dipende principalmente dalla politiche del bilancio praticate dal mio predecessore, Cardillo, e ha forte un impatto negativo sulle società partecipate, sulle forniture, sui lavori pubblici».
Dunque condivide la lettera pastorale del cardinale Sepe?
«Nel dire che si è toccato il fondo ha ragione. L’esperienza del duo Bassolino-Iervolino si chiude come peggio non potrebbe. Ora bisogna mettere punto e andare a capo».