Robin Hood nella politica clientelare

Robin Hood nella politica clientelare
di Ottavio Lucarelli
Repubblica Napoli, 5 dicembre 2010

Professore Realfonzo, a distanza di un anno cosa resta del suo 2009 a Palazzo San Giacomo?
«La triste consapevolezza che la politica, a Napoli e in Campania, è scivolata dalle esperienze del primissimo Bassolino, attente alle istanze generali, verso una pratica finalizzata a un consenso clientelare. Una politica che nemmeno vede i problemi dei cittadini».
Professore di economia politica all’Università del Sannio, assessore al bilancio e alle aziende da gennaio a dicembre 2009, Riccardo Realfonzo ha scritto “Robin Hood a Palazzo San Giacomo. Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli”.
Tutte battaglie perse, professore?
«Non tutte, non all’inizio. Un’azione per restituire servizi dignitosi ai cittadini l’avevo avviata. Poi il tentativo di una reale discontinuità si è scontrato con un pratica politica becera, che non a caso ha portato il centrosinistra campano a due sconfitte alle provinciali e alle regionali».
Quando ha capito il fallimento della sua mission?
«I primi stop all’azione di rinnovamento sono arrivati in primavera. All’inizio del 2009, dopo la bufera giudiziaria di fine 2008, la lervolino era in difficoltà e la giunta dei tecnici riusciva a lavorare. Feci passare alcune delibere significative per riparare al disastro dei conti».
Qualche esempio?
«La delibera contro la piaga dei debiti fuori bilancio, quella che mirava a rafforzare il controllo sulle società comunali. In consiglio comunale ci fu anche la svolta contro le privatizzazioni e a favore dell’acqua pubblica».
Poi cosa accadde?
«I rappresentanti del Comune nell’Ato2 non sostennero la linea dell’acqua pubblica e i miei tentativi di mettere mano ai problemi dei servizi furono stoppati. Tentai di far inserire figure di tecnici, indipendenti dai partiti, nei consigli di amministrazione delle aziende ma riuscii solo a incidere con la nomina da parte del sindaco del presidente di Napolipark Francesco Saverio Lauro e del consigliere Gesac Carlo lannello».
In che modo la bloccavano a Palazzo San Giacomo?
«Non consentendomi di avere accesso alle informazioni più banali. Nel libro parlo della lettera al sindaco da parte di Colantonio, presidente Stoà, in cui mette nero su bianco che il vicesindaco Tino Santangelo gli aveva detto di non rispondere alle mie richieste».
Quando capì che la lervolino non era più dalla sua parte?
«Dopo l’estate 2009. Compresi che i continui rinvii sulle nomine rispondevano alla logica delle frange del Pd forti in giunta, una scelta funzionale alle elezioni ma del tutto estranea al mio obiettivo di migliorare la qualità dei servizi».
Chi era il braccio armato del sindaco?
«La lervolino mi disse che voleva bene a Santangelo, ma che la figura su cui Bassolino contava era Nicola Oddati».
Ma la Iervolino era ostaggio di se stessa o dei bassoliniani?
«Più volte mi ha ripetuto che Bassolino l’aveva esortata a fare il sindaco, facendole promesse di un sostegno che poi non aveva mantenuto e, anzi, che tante responsabilità, come la vicenda rifiuti, erano state scaricate sul Comune».
Il titolo del libro nasce in consiglio comunale dove la destra la definì Robin Hood?
«Mi vedevano come un soggetto estraneo al potere iervoliniano».
Anche la lervolino la chiamò Robin Hood?
«Dopo le mie dimissioni. Un’ammissione di colpa».