Il Corriere del Mezzogiorno, 3 dicembre 2010
Pubblichiamo ampi stralci della prefazione del libro Robin Hood a Palazzo San Giacomo, scritto da Riccardo Realfonzo, ex assessore al bilancio del Comune di Napoli (Tullio Pironti Editore), da pochi giorni in libreria.
Questo libro racconta un anno di battaglie a Palazzo San Giacomo, cominciato con la mia nomina ad assessore tecnico del Comune di Napoli nel gennaio del 2009 e terminato nel dicembre, con le mie dimissioni. All’origine di tutto vi è stato un vero e proprio “incidente della Storia”, che si è verificato allorché la crisi della politica partenopea si è manifestata tanto acuta – a seguito di una serie di scandali e alcune inchieste della magistratura – da indurre il sindaco Iervolino a ricostruire la giunta cittadina, pescando nella società civile e in particolare nel mondo accademico. È così che sono entrato in giunta, andando a ricoprire il ruolo chiave di responsabile dell’assessorato alle risorse strategiche, con le deleghe al bilancio e alle società comunali. E ho provato, con la collaborazione di un gruppo di intellettuali e il sostegno di una parte del mondo progressista partenopeo, ad aggredire alcuni problemi atavici di Napoli, nel tentativo di inserire qualche granello di buona amministrazione nella vita cittadina.
Il libro ricostruisce quelle vicende, e mette a nudo – a tratti forse impietosamente – quante e quali siano le debolezze, ed anche le inadeguatezze, di quella ristretta casta di politici che gravita intorno alle frange egemoni del Partito Democratico in Campania, e che ha avuto in tutti questi anni in mano il governo della città. E tuttavia, per quanto la narrazione indugi su quelle figure e sulla loro azione politica e amministrativa, l’insegnamento generale che ho tratto da questa mia esperienza va anche al di là del piano delle responsabilità politiche individuali.
Il punto è che in quell’anno a Palazzo San Giacomo è emerso con sempre maggiore chiarezza un conflitto di fondo tra l’esigenza inderogabile di una azione riformatrice per Napoli, ispirata a principi e istanze di carattere collettivo e generale, di cui ho cercato faticosamente di farmi interprete, e una diffusa pratica politica finalizzata alla ricerca di un consenso di tipo particolaristico e al limite anche clientelare, che continua ad essere portata avanti dal gruppo di potere che controlla il Comune, e che fino a poco fa aveva in mano anche la Regione. Benché la prima strada, quella della politica “alta”, sia stata accarezzata dallo stesso Bassolino nei primi anni Novanta, agli esordi della sua stagione di governo a Napoli, le amministrazioni del centrosinistra progressivamente sono scivolate nella seconda, quella dei particolarismi e delle “intermediazioni improprie”, mettendo in atto un complesso di strategie che insegue confusamente gruppi di interesse e consensi d’accatto. E ciò operando principalmente mediante i fondi europei, non a caso improduttivamente spezzettati e sparsi sul territorio, senza alcuna organicità, e il sistema delle società pubbliche, come veicolo più elastico e meno controllabile per costruire reti di favori e consensi. Una impostazione questa che, dopo una fase di debolezza e apparente apertura al rinnovamento, è risultata presto incompatibile con l’applicazione trasparente dei principi guida che io ho proposto, come il “rigore nel pubblico per la difesa del pubblico”, che poi significa pretendere il massimo sforzo per utilizzare al meglio le risorse pubbliche, restituire dignità e servizi decorosi ai cittadini, evitare la deriva della privatizzazione dell’acqua e degli altri servizi pubblici fondamentali, creando le condizioni per il progresso economico e sociale.
Si capisce così che il problema non consiste tanto nel fissare responsabilità politiche individuali, quanto nel chiarire che il fallimento di questa stagione amministrativa del centrosinistra a Napoli e in Campania – e in altre aree del Mezzogiorno, in particolare – è dipeso dal radicarsi di quel sistema di potere tentacolare, così caratteristico della cosiddetta Prima Repubblica, che ha prodotto sperpero delle risorse, immobilismo sociale, assenza di sviluppo. E che ha finito per aprire la strada alle destre, dal momento che si è rivelato fallimentare sul piano stesso del consenso politico, come poi hanno dimostrato le tornate elettorali del 2009 e del 2010, in Provincia e in Regione.
Ho provato ad arrestare quella deriva, ma dopo un periodo iniziale, in cui la giunta di tecnici dovette far comodo, io e le forze che mi hanno sostenuto ci siamo trovati di fronte a un muro di gomma. E per questo mi sono dimesso, nel dicembre del 2009, anche confidando che la coerenza di quel mio gesto potesse contribuire a tener viva l’idea di una nuova politica economica e sociale, che finalmente offrisse alla città la speranza di un riscatto.
Diversa è stata la lettura che ne ha proposto il Palazzo. Il problema, a dire del sindaco Iervolino, è che io volevo fare il “Robin Hood”.