Napoli, il Robin Hood urbano

Napoli, il Robin Hood urbano
Intervista a Riccardo Realfonzo
di Francesca Pilla
il manifesto, 17 dicembre 2010

È stato assessore al bilancio del Comune di Napoli dal gennaio al dicembre del 2009 e non si è di certo conquistato la simpatia della giunta Iervolino e del sistema di potere costituito in vent’anni di bassolinismo. Riccardo Realfonzo, economista, ordinario nell’Università del Sannio, è arrivato a Palazzo San Giacomo in un momento delicatissimo, dopo lo scandalo del Global service stradale che vide coinvolto l’imprenditore Romeo e ben 4 assessori, e il suicidio di un altro, Giorgio Nugnes. Realfonzo poteva rappresentare la svolta dopo gli scandali, ma la sua permanenza in giunta ha creato resistenze e ostruzionismo, tanto che dopo le sue dimissioni la Iervolino affermò che il professore “voleva fare il Robin Hood”. “Quello è stato un autogol del sindaco – spiega l’ex assessore – perché paragonarmi a un grande eroe della letteratura è quasi una ammissione di colpa”. E così Realfonzo su questa etichetta ci ha scherzato, trasformandola nel titolo del suo libro: Robin Hood a Palazzo San Giacomo (ed. Tullio Pironti).
Realfonzo domattina il libro sarà presentato all’Istituto per gli Studi Filosofici, insieme a due aspiranti sindaci Umberto Ranieri e Libero Mancuso.
Sì e c’è anche Luigi De Magistris.
Ma nonostante le richieste non sembra intenzionato a scendere in campo…
Non so, mi pare che non abbia ancora sciolto la riserva.
In ogni caso dopo la sua esperienza cosa si sente di consigliare ai candidati?
Chiunque si presenti ai napoletani con il centrosinistra può sperare di vincere solo a condizione di proporre un’analisi severa sulle ragioni del fallimento del ventennio bassoliniano e farsi portatore di una radicale discontinuità. E comunque la situazione è gravemente compromessa: il bilancio comunale è a un passo dal dissesto e il sistema delle società partecipate, che gestiscono i servizi pubblici locali, necessità di interventi radicali.
Che è un po’ quanto hai provato a fare lei attirando molte critiche…
Direi che le critiche le facevo io, ed erano tutte dirette al blocco di potere che ruota intorno alle frange egemoni del Pd, che in questi anni ha portato Napoli al collasso. Il fatto è che ho tentato di affrontare i problemi atavici della città con un’operazione di verità sul bilancio, risanando le casse, tentando di restituire servizi pubblici dignitosi ai cittadini, evitando le privatizzazioni. Con il supporto della sinistra in consiglio comunale. E tutto ciò ha dato molto fastidio.
Nel suo libro parla della crisi rifiuti a Napoli. Non è paradossale che dopo due anni non sia cambiato nulla…
Ci sono gravi responsabilità del governo, dal momento che il piano Bertolaso era inadeguato. Ma ci sono anche gravi responsabilità del Comune di Napoli. Si pensi che la società Asia anziché aumentare la raccolta differenziata continua a diminuirla. E questo perché ha gravi problemi organizzativi e finanziari, e pur avendo oltre 2400 lavoratori appalta a privati parte del servizio. Il fatto è che a Napoli le società partecipate sono state usate in tutti questi anni per garantire un consenso di tipo clientelare, e non per assicurare servizi pubblici decorosi ai cittadini. Come è noto, ho tentato di intervenire su questi gravissimi problemi, ma dopo qualche risultato sono stato bloccato.
Perché?
È chiaro che la mia linea, all’insegna del “rigore nel pubblico per la difesa del pubblico”, entrava in contraddizione stridente con l’utilizzo delle partecipate come strumento di potere. Provavo a vederci chiaro su una serie di questioni relative all’utilizzo dei lavoratori, alle qualifiche dei dirigenti, alle assunzioni. Ma andai a sbattere contro un muro di gomma. Fui ostacolato in tutti i modi. Nel libro dimostro tutto ciò, citando ad esempio una eloquente lettera del presidente della società Stoà, Mario Colantonio, al sindaco.
È successo anche nella battaglia per mantenere le risorse idriche in mano pubblica?
Certo. Intanto, la sentenza della Corte costituzionale (quella che dà ragione allo stato nella definizione dell’acqua quale bene economico, ndr.) conferma la linea che avevo assunto: con la normativa imposta dal governo Berlusconi, per evitare le privatizzazioni occorre attribuire il servizio idrico a società per azioni al 100% pubbliche. Sperando che il referendum consentirà di fare vere ripubblicizzazioni. Quando arrivai all’assessorato bloccai il piano di privatizzazioni del mio predecessore e portai all’approvazione in consiglio comunale una delibera in favore dell’acqua pubblica. Successivamente, mandai una schema di delibera al Cda dell’Ato2, il consorzio di comuni che delibera in materia, che prevedeva l’attribuzione del servizio idrico dell’intera provincia di Napoli all’ARIN, una società al 100% pubblica. Ma quella delibera non fu mai portata ai voti. Si perse una grande occasione, considerato che il centrosinistra governava anche in Regione e Provincia. Ora resta spazio solo per una soluzione pasticciata che riguarda il solo capoluogo.
Perché l’Ato2 non approvò la delibera?
Non dovevano gradire molto l’acqua pubblica. E d’altra parte i rappresentanti del Comune di Napoli in seno all’Ato2 erano i medesimi del tentativo di privatizzazione del 2004. Non a caso, avevo insistito con il sindaco per sostituirli con alcuni sostenitori dell’acqua pubblica, come Alberto Lucarelli e Sergio Marotta. Ma anche qui non ci fu nulla da fare.